L’energia nascosta nei rifiuti e… nella letteratura
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L’energia nascosta nei rifiuti e… nella letteratura
In uno dei suoi racconti giovanili più enigmatici e profetici l’autore americano Thomas Pynchon invitava a riflettere su un concetto che va ben oltre la termodinamica.
L’entropia è un concetto che ha a che fare con la seconda legge della termodinamica ed è, in poche parole, funzione di stato che misura il grado di disordine ed inefficienza in un sistema chiuso. Per Thomas Pynchon questo concetto di fisica è una metafora dell’esistenza, della vita dei protagonisti del suo racconto Entropy, scritto nel 1960.

La storia racconta la vita di due coppie che vivono nello stesso condominio: una delle due coppie è totalmente aperta agli scambi e il loro… disordine è in costante aumento e senza freni. L’altra coppia rappresenta invece un sistema chiuso: i due si occupano di un piccolo orticello all’interno del proprio appartamento, sforzandosi di essere quasi autosufficiente
Anche questa coppia però, come la prima, non riuscirà a combattere l’avanzata instancabile dell’aumento entropico e così entrambe le coppie andranno, inevitabilmente, incontro al caos.
Entropia ha segnato la svolta della letteratura contemporanea statunitense verso le tematiche della scienza e della fisica quantistica.
L’entropia, per lo scrittore americano, non è solo la misura del disordine o della perdita di energia in un sistema chiuso, ma diventa metafora della civiltà dei consumi, del suo spreco sistematico e della sua incapacità di vedere nei rifiuti una risorsa.
In un mondo dove le materie prime si avviano verso l’esaurimento, Pynchon, già allora, suggeriva una via alternativa: imparare a leggere l’energia residua nei materiali scartati, a riconoscere il potenziale nascosto nei rifiuti. E invitava a superare la visione lineare del consumo e ad abbracciare una logica circolare, dove il riciclo non è solo un gesto etico, ma una necessità epistemologica e culturale.
Oggi lo sappiamo bene: riciclo chimico vuol dire sia rigenerare la materia che recuperare l’energia.
Se il riciclo meccanico si limita a separare, triturare e rifondere i materiali, il riciclo chimico interviene sulla struttura molecolare dei rifiuti, trasformandoli in nuove materie prime. È una forma di “alchimia industriale” che, come già suggeriva Pynchon nel suo racconto, cerca di invertire il corso del disordine, recuperando l’energia latente nei materiali scartati.
In Italia, diverse realtà industriali stanno investendo in questo tipo di tecnologie, con progetti innovativi e sostenibili:
– LyondellBasell – Ferrara: impianto pilota MoReTec® basato su pirolisi rapida per trasformare rifiuti plastici in oli sintetici.
– Versalis – Mantova: tecnologia Hoop® per trattare rifiuti plastici eterogenei e produrre materia prima per packaging.
– Plasta Rei – Cisterna di Latina: modello brevettato di riciclo chimico “short-loop” per plastiche non riciclabili.
– Circular Materials – Padova: tecnologia SWAP (Supercritical Water-based Advanced Precipitation) con acqua supercritica per estrarre metalli strategici da rifiuti industriali.
– PolimeRES – Isernia: impianto di pirolisi modulare per plastiche miste, in collaborazione con BlueAlp.
– Aliplast – Treviso: sistema Closed Loop per recuperare film plastici e produrre materiali riciclati ad alte prestazioni.
Questi esempi dimostrano come il riciclo chimico possa diventare un pilastro dell’economia circolare italiana, contribuendo alla decarbonizzazione, alla riduzione della dipendenza dalle materie prime vergini e alla valorizzazione dei rifiuti complessi. Si tratta di un tentativo concreto di recuperare l’energia dispersa, trasformando il rifiuto in risorsa e il caos in ordine.
Recuperare l’energia dei rifiuti significa recuperare anche una parte della nostra responsabilità collettiva. In un’epoca segnata dalla crisi climatica e dalla scarsità di risorse, il messaggio di Pynchon risuona con forza: non possiamo più permetterci di ignorare ciò che scartiamo. Ogni rifiuto è una storia incompiuta, un frammento di energia che attende di essere riattivato.
La letteratura contemporanea ha spesso affrontato il tema del consumo, dello spreco e dell’entropia sociale. Don DeLillo, in opere come Underworld, esplora il destino dei rifiuti e il loro impatto sulla memoria collettiva.
David Foster Wallace, con il suo sguardo ironico e profondo, ha indagato l’accumulo compulsivo e il sovraccarico informativo come forme di inquinamento mentale. Dave Eggers e Ben Lerner hanno riflettuto sull’ansia ecologica e sull’incapacità della società di gestire i propri “scarti”.
Questi autori, come Pynchon, ci invitano a ripensare il concetto di scarto: non come fine, ma come possibilità. Il riciclo, meccanico o chimico, è il gesto che trasforma la fine in un nuovo inizio. È un atto di rigenerazione materiale e simbolica, che ci permette di immaginare un futuro dove l’entropia non è destino, ma sfida da affrontare con intelligenza e creatività.
In questo contesto, è fondamentale riconoscere il ruolo unico che la letteratura può svolgere nella comunicazione dei temi ambientali. A differenza degli articoli tecnici, spesso accessibili solo agli addetti ai lavori, e a differenza degli slogan che rischiano di semplificare e banalizzare concetti complessi, la letteratura offre uno spazio di riflessione profonda e sfumata.
Attraverso la narrazione è possibile tradurre le tensioni ecologiche e sociali in esperienze intime e condivisibili. Perché anche la scienza e la tecnologia – come la storia – non sono solo eventi che accadono ma eventi che accadono a qualcuno, che possono coinvolgere tanti e addirittura minacciare altre specie e l’intero pianeta.
Anche in questo caso, come quello già ampiamente illustrato da Chiaromonte a proposito della Storia, il romanzo può diventare un ponte tra Scienza e coscienza collettiva, capace di veicolare idee complesse con chiarezza e aggirare le pericolose trappole tese dalla ignoranza e dalle fake news.
Cover: Foto di <a href=”https://pixabay.com/it/users/ermaf62-5401910/?utm_source=link-attribution&utm_medium=referral&utm_campaign=image&utm_content=2324335″>Ermanno Ferrarini</a> da <a href=”https://pixabay.com/it//?utm_source=link-attribution&utm_medium=referral&utm_campaign=image&utm_content=2324335″>Pixabay</a>
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Combattere l’entropia e il caos incombente con il riciclo, forse non è la soluzione, ma almeno ci avvicina alla salvezza. Scrive Ferrara: “non è solo un gesto etico, ma una necessità epistemologica e culturale”. Giusto, a patto che si ricicli TUTTO. quello che ci apparecchia la società dei consumi, ma anche ogni attimo della nostra vita. Mi pare che Il RICICLO debba cioè accompagnarsi alla MEMORIA, quella intima e personale e quella collettiva. Anche la memoria è un antidoto alla malattia della modernità, l’entropia.
Hai ragione Francesco: prima l’informazione era un antidoto al caos era cioè prima un modo di “fare ordine” anche e soprattutto nelle nostre teste, ma oggi? Oggi dove il presente sembra più agire sul passato che sul futuro? Ecco perché credo che bisognerebbe affidarsi a una “informazione sentimentale”, quella della letteratura, del romanzo, della poesia, della pittura; tornare cioè a una lingua… matrice che oggi puoi trovare solo nel “linguaggio” artistico.