Ventimila cavi sotto i mari
Ventimila cavi sotto i mari
di Giuseppe Ferrara e Sergio Foschi
Recentemente due cavi sottomarini per le telecomunicazioni che attraversano il mar Baltico sono stati danneggiati con una sospetta azione di sabotaggio: il primo cavo che ha smesso di funzionare era lungo circa 218 chilometri e collegava la Lituania all’isola svedese di Gotland; il secondo cavo, lungo 1.200 chilometri e che collegava la capitale della Finlandia, Helsinki, al porto tedesco di Rostock, ha smesso di funzionare praticamente dopo un giorno dal primo.
I due cavi distavano tra loro circa 100 chilometri. Come detto si tratta di cavi usati per trasmettere telecomunicazioni in fibra ottica, quindi soprattutto comunicazioni via Internet ad alta velocità . Questo tipo di cavi ha una fondamentale importanza nell’economia globale, e un loro malfunzionamento o un loro sabotaggio causano danni enormi e su vasta scala.
Attualmente la rete di cavi sottomarini regge il 99 per cento del traffico Internet. E il suo ruolo diventa sempre più critico man mano che si infuoca il panorama geopolitico. Eppure i rischi che i Paesi, Italia inclusa, stanno correndo, associati a questi incidenti/sabotaggi, sono ben poco considerati. Ancora meno sono nell’agenda dei governi e delle scelte di politica industriale che quei governi saranno chiamati a fare.
Ci sono guerre che non si vedono, anch’esse decisive per gli equilibri geopolitici del mondo. Guerre invisibili, sotterranee anzi più propriamente, sottomarine. Come ha scritto l’Economist: “… i dati sono immagazzinati nella nuvola ma scorrono in mare”.
Le nostre e-mail, TikTok e tutti i video, foto, playlists, clouds, ma anche le comunicazioni interne alle multinazionali, le transazioni bancarie (per 10mila miliardi di dollari al giorno!) e, naturalmente, i dispacci diplomatici e militari. Tutto scorre come direbbe qualcuno, nei “ventimila cavi sotto i mari”.
Attualmente, nei fondali degli oceani sono presenti circa 500 cavi sottomarini che coprono una distanza complessiva di 1,3 milioni di km, ovvero più di tre volte la distanza che separa la Terra dalla Luna.
In realtà queste cifre potrebbero essere prudenziali: la rete di cavi sottomarini è una componente critica dell’infrastruttura globale di Internet e le informazioni specifiche su alcuni cavi potrebbero non essere disponibili al pubblico per motivi di sicurezza.
Ma come sono fatti questi cavi?
Al di là della componente funzionale (quella opto-elettronica) il materiale preponderante è quello che costituisce l’involucro esterno tubolare nel quale viene immersa la fibra ottica portante il segnale. Questo materiale è la plastica, per la precisione un particolare tipo di poliolefina, cioè un determinato grado di polietilene e/o polipropilene.
Sì proprio quella famiglia di materiali che è stata prodotta per la prima volta nella città di Ferrara e che ancora oggi viene prodotta dalle aziende insediate in quel petrolchimico italiano.
Quando parliamo del problema della plastica o disquisiamo se sia il caso o meno di dismettere la filiera della petrolchimica, bisognerebbe tenere conto di queste cose che, tradotte in termini pratici, significano:
“non possiamo fare a meno della plastica”.
Ed infatti la produzione di plastica nel mondo continua ad aumentare assestandosi oggi a circa 500 milioni di tonnellate (fonte Global Plastic Market Size 2023-2033: https://www.statista.com/statistics/1060583/global-market-value-of-plastic/), ma continuando a crescere nel prossimo decennio.
Pur essendo una “banale” plastica, tale materiale deve essere messo nelle condizioni (grazie a una buona ricerca applicata) di poter essere utilizzato per il tipo di applicazione come quella dei cavi sottomarini. Questo tailor-made plastic material (materiale plastico fatto su misura come un vestito in una sartoria artigianale) deve avere determinate caratteristiche che non sarebbero affatto soddisfatte da altri tipi di materiali analoghi, come quelli provenienti ad esempio dal riciclo meccanico, né dalle cosiddette plastiche biodegradabili.
Ci auguriamo che bastino queste poche e, si spera, chiare informazioni per capire perché sarà complicato sostituire la plastica in molte delle attuali applicazioni e perché il recycling meccanico – che più opportunamente dovrebbe essere definito downcycling – non potrà rappresentare per moltissime filiere produttive ( p.es. automotive, edilizia, elettronica, manifattura in generale e bio-medicale) una soluzione al problema innescato da un “altro tipo di problema”: quello della dispersione della plastica nell’ambiente.
L’alternativa di sostituire l’ingente massa di plastica con materiali cosiddetti biodegradabili o, addirittura tornando ai vecchi materiali tradizionali (carta, vetro, etc…), avrebbe comunque importanti impatti sull’ambiente, per lo meno gli stessi impatti che hanno infine resa vincente la materia plastica nei confronti dei precedenti materiali e che la rendono ancora insostituibile in tante applicazioni come appunto quella dei cavi sottomarini per telecomunicazioni.
Negli ultimi anni, le comunicazioni satellitari hanno guadagnato attenzione grazie a progetti come Starlink di SpaceX, che promettono connettività globale attraverso una costellazione di satelliti in orbita bassa. Tuttavia, i cavi sottomarini rimangono la spina dorsale dell’infrastruttura Internet mondiale, trasportando oltre il 99% del traffico globale.
I vantaggi dei satelliti includono la copertura in aree remote e la rapidità di implementazione, ma presentano limiti in termini di latenza, capacità e vulnerabilità alle condizioni atmosferiche. I cavi sottomarini, al contrario, offrono maggiore stabilità, larghezza di banda e sicurezza, sebbene siano più costosi da installare e soggetti a danni fisici.
In sintesi, le due tecnologie non sono necessariamente concorrenti, ma complementari: i satelliti possono servire come supporto in zone non raggiunte dai cavi, mentre le dorsali sottomarine garantiscono la robustezza e la velocità necessarie per i flussi di dati su larga scala.
Concludiamo ripetendo quello che risulta ormai chiaro a tutti o a quasi tutti: il problema dell’inquinamento ambientale da rifiuti plastici lo si risolverà nel momento in cui si incentiveranno i metodi di riciclo chimico, l’unico sistema che permetterà di valorizzare il rifiuto plastico come vera e propria fonte energetica rinnovabile e che quindi ne favorirà la sua vantaggiosa – ambientalmente, socialmente ed economicamente – raccolta e il suo “sfruttamento” per la produzione di virgin nafta di origine non più legata alla raffinazione del petrolio.
D’altra parte se la ricerca è riuscita a “solidificare” del gas, perché la ricerca non dovrebbe fornire soluzioni per “liquefare” la plastica? Basta volerlo. Responsabilmente.
Bibliografia
- Ambrosetti (2025). Rapporto Strategico sull’Industria della Plastica in Italia.
- TeleGeography. Submarine Cable Map. https://www.submarinecablemap.com/
- Cisco. Global IP Traffic Forecast. https://www.cisco.com/c/en/us/solutions/executive-perspectives/annual-internet-report/index.html
- McKinsey & Company. Circular Economy and Plastic Waste Reports. https://www.mckinsey.com/business-functions/sustainability/our-insights
- Statista. Global Plastic Market Size 2023–2033. https://www.statista.com/statistics/1060583/global-market-value-of-plastic/
Cover: immagine tratta da https://pixabay.com/it/images/search/free%20image/
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Davvero interessante, con dati inediti su cui riflettere, abbandonando gli approcci superficiali e disinformati al problema/risorsa della plastica.