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Ferrara. Petrolchimico, innovazione e ricerca. Uno sviluppo sostenibile si realizza insieme

Da diversi anni lo sviluppo della provincia di Ferrara, a partire dal Comune capoluogo, sembra avere come scelta di fondo l’adattamento ad un declino sempre più accentuato, soprattutto in confronto al resto della Regione.

L’attuale Amministrazione della città sembra finalizzare in particolare lo sviluppo verso il commercio, la ristorazione, gli spettacoli, gli eventi, ecc., come diretta fonte di guadagno per gli addetti e svago temporaneo per i cittadini, con la cultura mordi e fuggi e la mega-programmazione musicale in “piazza”, senza avere una visione di lungo periodo.

La stessa Università sembra essere apprezzata  soprattutto per il valore aggiunto arrecato dai 28.000 studenti, di cui il 45%  fuori sede, grazie agli introiti per i fornitori dei vari servizi, che superano i 90 milioni di Euro, a partire dagli alloggi, la ristorazione, gli spettacoli, ecc.

Poco più di un anno fa, appena nominato, il presidente provinciale dell’Ascom,  in sede di presentazione, confidò l’importanza strategica che riveste l’Università di Ferrara per la città, con una espressione molto significativa:

«Unife – disse in modo esplicito – è tanta roba».

Impossibile contraddirlo.

Io credo che non sia questa la scelta giusta per la nostra città, soprattutto tenendo conto delle potenzialità che ha il nostro territorio e i rischi di un decadimento che si presenta davanti agli occhi, se non si punta a progetti di lungo periodo con il supporto dell’Università e delle competenze presenti nel territorio.

È l’innovazione che, traguardando nel lungo periodo, assicura lo sviluppo ed esalta le potenzialità, mentre vivere di episodi rischia di drogare l’ambiente e, senza sbocchi, creare frustrazione, anche in chi vorrebbe impegnarsi.

L’Innovazione è sostenuta dalla Ricerca e ne è un esempio evidente l’assegnazione nei giorni scorsi del Premio Nobel per la medicina alla ungherese Katalin Karikò e all’americano Drew Weissman, grazie alla messa a punto del vaccino anti Covid 19; è un risultato ottenuto grazie all’impegno di tanti altri colleghi che si sono impegnati per decenni, senza arrendersi mai, valorizzando anche gli errori, con tenacia e umiltà, doti fondamentali dei Ricercatori.

E per quanto riguarda l’innovazione faccio riferimento al nostro Petrolchimico, che da circa 80 anni ha assicurato benessere a decine di migliaia di famiglie ferraresi e non solo e all’interno del quale sono stati ottenuti eccezionali risultati scientifici e industriali, a partire dalla plastica, nata a Ferrara.

Il polipropilene in particolare, fiore all’occhiello della Ricerca italiana e ferrarese, è un materiale fondamentale per l’umanità soprattutto nella sanità, nell’imballaggio, nell’automotive, nell’edilizia, ecc.

Di plastica se ne producono circa 400 milioni di tonnellate ogni anno, in tutto il mondo, pari a un cubo di lato 800 metri, in grande parte dopo l’uso, passate negli inceneritori, nelle discariche o disperse nell’ambiente.

In Italia si mettono a rifiuto 3.000.000 ton all’anno di plastica, di cui 900.000 ton costituite da polipropilene e polietilene, le plastiche di cui il Petrolchimico di Ferrara è il massimo detentore delle conoscenze.

Le materie plastiche (rifiuto) bruciate, o comunque disperse, rappresentano, oltre che un grave problema ambientale anche una incredibile distruzione di ricchezza, che non può permettersi il nostro Paese che importa il 93% del petrolio di cui ha bisogno.

A Ferrara è in atto un fenomenale percorso innovativo presso il centro Ricerche Giulio Natta, purtroppo però i risultati di tale percorso avranno ricadute industriali non da noi ma in Germania e negli Stati Uniti, anche a causa di alcune scelte produttive che stanno avendo potenziali effetti disastrosi, come la fermata del cracher di Porto Marghera.

L’innovazione di cui parlo, il progetto MoReTech con il processo molecolare, potrebbe caratterizzare un’epoca, in quanto permette di riciclare la plastica a fine vita, ossia la plastica rifiuto, con effetti positivi dal punto di vista ambientale, occupazionale, economico, scientifico.

A livello nazionale, solo per il trattamento dei manufatti di plastica (rifiuto) di polipropilene e polietilene, sarebbero necessarie almeno 7 – 8 di linee di riciclo molecolare da 125.000 ton all’anno, con a valle un cracker nel nord (a Porto Marghera) e con un cracker nel sud (in Sicilia), possibilmente sostenuti da fonti energetiche rinnovabili, per l’ottenimento del propilene e dell’etilene, per fare altra plastica senza avere bisogno del petrolio.

Ora questa importante ricchezza industriale, il Petrolchimico, la più grande nel nostro territorio, con un prestigioso Centro Ricerche di livello mondiale, rischia di decadere trascinandosi dietro il decadimento di tutta l’area ferrarese, se non prosegue nel percorso dell’innovazione.

Il Petrolchimico potrebbe trovare nel riciclo integrale della plastica il suo futuro e quello del territorio che lo contiene e mai come ora è possibile realizzare tale prospettiva, in quanto esiste la disponibilità di tecnologie efficaci, competenze diffuse, sensibilità positive.

Perchè non si muove nulla a Ferrara in questa direzione ?

Il progetto di efficientamento energetico del Petrolchimico, pubblicizzato nei mesi scorsi, è una buona cosa, ma non ha nulla a che vedere con l’innovazione strategica che può garantire sviluppo per i prossimi decenni.

Questo è quanto si realizzò negli anni ‘80 con i fenomenali breakthrough del processo Spheripol, caratterizzato da notevoli risparmi energetici ed enormi vantaggi ecologici, seguito alcuni anni dopo dal processo Catalloy, processi inventati a Ferrara e applicati in oltre cento linee produttive in tutto il mondo.

Chi ha inventato la lampadina ad incandescenza non aveva come obiettivo quello di migliorare l’efficienza delle candele di cera, praticamente scomparse con l’invenzione strategica dell’americano Edison e dell’italiano Cruto, che hanno puntato a innovare non a migliorare.

La Petrolchimica nel nostro Paese non avrà un futuro se non avvierà un ciclo virtuoso di innovazioni, che sappiano affrontare lo strapotere delle grandi aziende petrolifere che hanno stabilimenti petrolchimici di enormi dimensioni, a “bocca di pozzo” e di raffineria, con costi delle materie prime sensibilmente inferiori a quelli sopportati in Italia.

All’estero sono in atto numerosi progetti innovativi su questo argomento che coinvolgono centri ricerche, università, petrolchimici, società di ingegneria, industrie di trasformazione, società di servizi, trainati da pubbliche amministrazioni, ad esempio i Land in Germania, che stanno “mettendo a terra”, come si dice in gergo, progetti di linee di produzione che garantiscono occupazione di qualità e risparmio di materie prime fossili.

In Germania, inoltre, le pubbliche amministrazioni sono impegnate in progetti che coinvolgono competenze tecniche e scientifiche per la realizzazione di cracher elettrificati che possono ridurre del 90% l’emissione di CO2 e rendere tali impianti, fondamentali per la tecnologia del riciclo chimico della plastica, come quella del progetto MoReTech, favorevoli per l’ambiente.

In Italia con LyondellBasell, ENI Versalis e Yara abbiamo società petrolchimiche importanti, abbiamo centri ricerche di prestigio e così pure università, aziende di raccolta dei rifiuti strutturate ed efficienti, associazioni di volontariato sensibili al tema ambientale, istituti scolastici desiderosi di conoscere e operare, ecc.

Perchè non si muove nulla per realizzare innovazioni che possono portare ad uno sviluppo win-win di lungo periodo, ossia  dove si vince insieme: l’ambiente, l’impresa, lo sviluppo sostenibile, il lavoro e l’occupazione, la scuola, l’identità del territorio e la partecipazione dei cittadini ?

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Sergio Foschi

Ho avuto la fortuna di fare un mestiere, il Ricercatore presso il Petrolchimico, che mi è sempre piaciuto e che cerco di applicare anche ora che sono in pensione, che mi ha permesso di venire in contatto con tanti colleghi competenti in diverse discipline e apprezzarne il loro valore.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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