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“Instrumentum Regni”. La difesa del luogo

Diario in pubblico. Instrumentum Regni. La difesa del luogo

La storia insegna che ogni luogo per sopravvivere ha bisogno di essere difeso e in tal modo produce un esercito e armi che lo possano, in caso di pericolo, salvarlo.

Anche il Laido ha prodotto un esercito e le armi difensive, ma mantiene un segreto che si tramanda da generazione in generazione. L’arma è????? Udite! Udite! La Scopa! Poi, come accade in ogni territorio aperto alle innovazioni militari e quindi dotate di ordigni “atomici”, ecco farsi spazio il soffiatore a batteria, che con rumore infernale e sollevando grandi polveroni riduce in cumuli sempre più compatti il nemico, vale a dire gli aghi di pino.

Va da sé che l’esercito è formato dai proprietari e dagli affittuari delle case laidesche, che s’alzano al mattino con la scopa in mano e si coricano con vicini al letto l’arma di tanto valore. Li vedo dal balcone d’osservazione, mentre con aria pensosa spingono gli aghi invadenti in mucchietti, che poi diligentemente stipano in grandi sacchi neri e da qui depositano nei luoghi dei rifiuti, anche questi in via di rinnovamento.

Passano allora, trainati da biciclette, bidoni atti all’uopo e la via viene investita da chiacchere condominiali che ne prescrivono l’uso e la difesa, in quanto se uno viene fatto fuori, il costo del successivo ricade sullo sventurato gladiatore.

Dopo l’irreale silenzio decretato per i giorni ferragostani dalla costruzione del monstrum, il battere ritmico di clave e martelli ci riporta alla forza e al mito di Ercole, che sembra sovrintendere alla novità del luogo, esaltando grattacieli e torri per la gioia e il comfort futuri.

Passeggio per la via principale, avendo come luogo imprescindibile la farmacia e con il segreto intento di giocare con Maia, la star cagnolona che attende umani e pelosi per poter giocare con il frisbee sempre ai suoi piedi. Passano a decine i pelosi i più piccoli dei quali hanno comodi trasporti sulle biciclette o in speciali carrozzini.

Poi, ci si sposta con tanta fatica (almeno per me) sotto il tendone in spiaggia, dove la coppia di amici, soprannominata Giugi dall’incontro dei due nomi, produce una serie di giuggiolate con le carte e i racchettoni, mentre lo zio regista assiste pensoso seduto sulla sua seggiola inviolabile.

Sfoglio i giornali, mentre sempre più l’orrore della guerra aggredisce alla gola chi ancora pensa al diritto etico e civile di poter sentirsi uomini. La Storia implacabile non dà requie e io, con le lacrime dentro, ricordo la mia Elsa di cui il 19 ricorreva la nascita e quando partendo per gli USA negli anni ’80 del secolo scorso apprendevo della sua scomparsa.

Ora mi sorride dalle foto del tempo mentre rileggo i suoi capolavori – primo fra tutti Aracoeli ricordando antichi tempi, quando la letteratura, la poesia, la cultura formavano giovani e vecchi in un carosello che ora affida solo alle parole il senso della vita.

Chiuderò a breve le stanze del Laido. Riguarderò con affetto i segni del tempo affidati alle cose che ancora mi parlano e mi sorridono, poi, mentalmente mi appresto a chiudere casa, portandomi dietro il sacco nero dei ricordi.

Cover: https://pixabay.com/it/images/search/free%20image/

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

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