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Tra gli innumerevoli riciclaggi anche l’importante onomastico di San Giuseppe diventa la ‘Festa del Papà’, con tutte le lacrime televisive che ci scorrono addosso, non distinguendo più se si deve lacrimare per gli orfani ucraini o per la nascita nel giorno della festa della nascita di un bimbetto tenuto in braccio dal padre collaboratore del parto.

Per ragioni personali ho sempre rifiutato la figura del padre, ma non ho mai potuto non accettarla nel mondo della cultura, addirittura chiamando i miei libri ‘i miei bambini, a cui ho voluto procurare casa e protezione’.

Intanto si consolidava un’altra figura: quella dello zio che ormai fa parte dell’immaginario familiare. Quando si dice ‘zio’ s’intende ‘zio Gianni’, per tutti nipoti e pronipoti e affini.

Ma di un ragazzo, nato dalla penna della mia divina Elsa, mi sento padre. È Arturo. E in questo giorno mi sento di ripubblicare una lettera che le indirizzai e che uscì nel 2012 sulla Nuova Ferrara indirizzata a Lei, l’amatissima.

E non San Giuseppe né padre, ma il fortunatissimo adorante seguace della – per me – più grande scrittrice del secolo breve.

Carissima (posso chiamarti adorata?) Elsa.

Così sono sulla tua isola; anzi, sull’isola di Arturo e improvvisamente tutto si chiarisce quando scrivesti della differenza tra i F.P e gli I.M. Nel Mondo salvato dai ragazzini che tu mi dedicasti con un severa ammonizione: di non rendere carcerario il tuo mondo con le mie armi da critico, i “Felici Pochi” contrastano il male della Storia abitata dagli “Infelici Molti”, (la Storia, quella tremenda, con la S maiuscola) con la loro innocenza, con lo sguardo terribile di Useppe e di Bella, la cagna madre, che non riescono più a capire il canto degli uccellini che commentano le vicende del mondo, della Storia insomma, e sussurrano: “E’ tutto uno scherzo”.

E così muoiono

Purtroppo, la Storia non è uno scherzo. È forse il male da cui i paradisi – perché Procida è un paradiso – non sono immuni. Qui dove la bellezza ha fatto dell’isola il suo regno, la sua giustificazione, viene cacciata con le armi del progresso. È l’incubo del traffico che rende irrespirabile l’aria: è l’indifferenza degli sguardi che affermano il diritto di sporcare la bellezza con la convulsa e purtroppo giustificabile esigenza della ricerca di un lavoro che gli ex marinai procidani ricercano trasformandosi in bottegai, in ristoratori, in cuochi. Cosa conta avere eletto la marina di Coricella, dove Arturo si sarà bagnato, in sito Unesco, se per arrivarci occorre respirare i veleni di un traffico che nulla ha di umano? I colori festosi del borgo ancora saldamente in mano agli abitanti dell’Isola, quei colori che non possono essere cambiati perché così la tradizione ha voluto fossero per rendere più amato e più festoso il ritorno:

Era già l’ora che volge il disio
ai navicanti e ‘ntenerisce il core
lo dì c’han detto ai dolci amici addio;

 e che lo novo peregrin d’amore
punge, se ode squilla di lontano
che paia il giorno pianger che si more

O la presenza di bellissime ragazze, le tue Nunziatelle, Elsa, di una bellezza matura e consapevole che conservano nei visi occhi e labbra di divinità greche.

In questo furore che scambia la bellezza con l’utilità e il godimento del forestiero (quello non avvertito, che nemmeno s’accorge di calpestare la terra degli dèi) Procida sta per subire la stessa sorte delle isole consorelle, quella sorte che ha trasformato Capri e Ischia in luoghi per famosi proponendo memorie irrintracciabili e per sempre cancellandone la qualità. Ancora per poco, la tua isola, adorata Elsa, Procida la bella che un amico marinaio mentre mi porta sulle spiaggette così definisce porgendomi furtivamente un foglietto dove aveva scritto nella lontananza dei viaggi il suo amore per l’isola “ca t’ammalia ‘o core//cu canti e cu surrise assaje cianciuse/c’’a zenniata d’uocchie a labbra schiuse” sarà l’sola di Arturo che vive nelle tue pagine mentre i pesanti limoni dei “giardini di Elsa” cadono al suolo e il luogo dove sei vissuta e hai amato Arturo e la sua giovinezza si è trasformato nella sede “prestigiosa” di uno Yacht Club. 

Per leggere tutti gli altri interventi di Gianni Venturi nella sua rubrica Diario in pubblico clicca  [Qui]

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

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Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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