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Testimonianze dalla Israele che si oppone al suprematismo dei suoi governanti

Testimonianze dalla Israele che si oppone al suprematismo dei suoi governanti

La cronaca dalla Palestina occupata si arricchisce giorno per giorno di testimonianze sempre più sconvolgenti. Dopo avere riportato la voce dei medici d’urgenza che hanno prestato servizio a Gaza, gli incontrovertibili testimoni delle atrocità commesse (e subite), tanto più importanti come testimoni in assenza della stampa internazionale, non ammessa, e della stampa locale, assassinata, in questo articolo mi concentro su alcune osservazioni e analisi esclusivamente provenienti da politici, giornalisti e attivisti israeliani.

Dov’è papà?

Inizio da QUI .

Nel link sopra, Orly Noy, giornalista israeliana, illustra con raggelante chiarezza quello che Israele intende quando afferma che Hamas usa i civili come “scudi umani”. Israele ha un sistema di intelligenza artificiale che localizza i sospetti terroristi o comunque i suoi obiettivi umani – che spesso l’IA battezza come terroristi sulla base di algoritmi le cui indicazioni vengono assunte senza verifica – e una volta individuati sa sempre dove si trovano. Sa quando sono da soli e quando sono a casa con le loro famiglie. Questo metodo di seguimento ha un nome: “where is daddy?”. Spesso non vengono colpiti quando sono fuori dalle loro case: i cecchini digitali aspettano che siano a casa, e preferiscono bombardarli quando sono lì. In questo modo non fanno fuori solo la loro famiglia, ma tutti gli abitanti del palazzo in cui quella famiglia vive. La domanda sorge spontanea: chi sta usando gli umani incolpevoli come scudi?

Gershon Baskin è un giornalista e attivista ebreo israeliano, nato a New York e immigrato in Israele nel 1978, che ha svolto anche il ruolo di negoziatore per conto di Israele. In una recente intervista comparsa su La Stampa a firma Rula Jebreal,  Baskin afferma che Netanyahu ha rifiutato nel 2024 un’offerta di Hamas per liberare tutti gli ostaggi in cambio del ritiro da Gaza e di un governo palestinese civile. Bibi avrebbe accettato un’ipotesi che prevedesse solo una liberazione parziale di ostaggi. Alla domanda “per quale ragione?”, la risposta di Baskin è lapidaria: “perché vuole continuare la guerra”.

In questo video, Ehud Barak, che è stato primo ministro di Israele, e Ami Ayalon, che è stato a capo dello Shin Bet, il servizio di sicurezza interna di Israele – quindi non esattamente due pensionati che chiacchierano al bar – confermano quello che numerose ricostruzioni facevano sospettare, ma che detto da loro assume la veste di notizia certa: Netanyahu ha favorito il consolidarsi di Hamas come autorità di Gaza, autorizzando massicce entrate di denaro contante a suo favore provenienti dal Qatar. Ayalon ne spiega anche il motivo: Netanyahu lo ha fatto per dividere i palestinesi di Gaza da quelli della Cisgiordania, dove invece “comanda” l’Autorità Palestinese. La logica era di mettere gli uni contro gli altri ed evitare la saldatura tra palestinesi. Divide et impera. 

Nota mia: se c’è una cosa che possiamo constatare con desolazione, è che al di là delle kefiah esibite come simbolo di riscatto in giro per il mondo, una leadership palestinese credibile non esiste da un pezzo, perlomeno a piede libero. L’ultimo leader potenzialmente unificante, Marwān Barghūthī, è in carcere dal 2002, a seguito di una serie di sentenze emesse da tribunali israeliani di cui lui ha contestato la giurisdizione, essendo residente in Cisgiordania. La sua figura era scomparsa dai radar dell’opinione pubblica mainstream: ci ha pensato il fanatico ministro Ben Gvir, con una visita pubblica in carcere tanto tracotante quanto idiota, a fare in modo che i media parlassero nuovamente di lui (che peraltro appare decisamente in cattive condizioni di salute).

Nota mia numero due: siccome Hamas, che gli faceva comodo, gli è sfuggita di mano perché ha coltivato in seno una serpe di violenti vendicatori – cosa che forse poteva essere preventivata, dopo che una popolazione da circa ottant’anni viene espulsa o confinata da un regime di oppressione edificato su base razziale -, Netanyahu adesso non trova di meglio per contrastarla che affidarsi anche ai servigi di un noto criminale e trafficante di droga, Abu Shabab. Come si può leggere su Il Manifesto del 7 giugno scorso (qui), “prima del 7 ottobre, Abu Shabab era stato incarcerato da Hamas con l’accusa di furto e traffico di stupefacenti. È tornato in libertà grazie ai bombardamenti israeliani che hanno distrutto gran parte delle strutture civili di Gaza, comprese le prigioni. Al suo comando ci sarebbero 200-300 uomini, armati di fucili Ak-47 (Kalashnikov) e vestiti con uniformi di una sedicente «Unità antiterrorismo»”.  Shabab è un fondamentalista jihadista, che considera Hamas un’organizzazione troppo moderata. Per la serie: il nemico del mio nemico è mio amico. Peccato che di questo passo finisci per ingaggiare come “amici” i peggiori tagliagole della galassia. Quello che è successo in Libano coi maroniti ed i falangisti ed in Afghanistan coi talebani evidentemente non ha insegnato nulla nè a Israele nè agli Stati Uniti.

 

I palestinesi non esistono

Il doloroso, lucido acume delle denunce ed analisi di sponda israeliana che ho sommariamente riportato, potrebbe trasmettere la sensazione che in Israele stia montando una consapevolezza critica di massa dell’insostenibilità, per la stessa sopravvivenza di Israele come democrazia, di una prospettiva di oppressione, segregazione, apartheid, colonizzazione permanente. A smontare questa speranza, che almeno sul breve periodo somiglia piuttosto a un’illusione, ci pensa Gideon Levy, giornalista israeliano, che sul quotidiano Haaretz riporta (qui) le dichiarazioni “rubate” e trasmesse dall’emittente israeliana Channel 12 del generale Aharon Haliva (che si dimise da capo dell’intelligence all’indomani del 7 ottobre), considerato in Israele un moderato perché critica le posizioni dei falchi fanatici ministri Smotrich e Ben Gvir. Il “moderato” Haliva afferma testualmente: “Per ogni vittima del 7 ottobre 50 palestinesi hanno dovuto morire. Non importa se erano bambini. Non sto parlando di vendetta ma di un messaggio per le generazioni future. Non c’è niente che possiamo fare: periodicamente, hanno bisogno di una Nakba, in modo da sentire il prezzo”. Personalmente non ragionerei in questi termini nemmeno per “rieducare” uno sciame di mosche: in Israele invece ci sono esponenti “moderati” che parlano in questi termini degli arabi. Rammento sempre che, nel dibattito embedded israeliano, i palestinesi letteralmente non esistono, e se qualche suprematista si lascia sfuggire la parola “palestinese” commette una gaffe. Sono arabi, e le parole del generale Haliva chiariscono bene, oltre ogni fraintendimento, la considerazione prevalente di cui godono in Israele gli arabi: membri di una razza inferiore.

La mini rassegna di fatti e misfatti raccontati solo da cittadini israeliani, che da diversi punti di osservazione, alcuni avendo ricoperto ruoli chiave di potere nello Stato di Israele, disvelano il cinismo, la ferocia ma anche la miopia del regime israeliano attuale, mi serve anche per sentirmi confortato dentro questa tragedia. In compagnia (intellettuale e virtuale) anche di tante persone israeliane. Una minoranza dentro Israele, ma significativa. Una fiammella: anche se le manifestazioni di piazza sono sempre più partecipate, esse sono incentrate fondamentalmente sulla sorte degli ostaggi israeliani, e basta. Una fiammella che serve prima di tutto a me, per distinguere bene un governo dal suo popolo. Non è una cosa scontata: anzi, la confusione tra un governo e il suo popolo è proprio la base per consumare sanguinose vendette contro gli innocenti, anziché prendersela con i colpevoli. Tra l’altro, una crescente marea di intollerante e strumentale utilizzo dell’argomento antisemita sta inquinando lo specchio d’acqua della discussione pubblica in Italia, e questo senza che ci sia ancora una legge (ma cova sotto le ceneri) che definisca antisemita ogni critica o manifestazione contro lo Stato di Israele. In questo articolo,  abbiamo già avuto modo di confrontare le idee dei “semiti” che sono considerati antisemiti dai fanatici della terra promessa, con le dichiarazioni cieche e le pratiche criminali dei cosiddetti “semiti” al potere, che stanno attirando – loro sì – sull’etnia ebraica sparsa per il mondo l’antisemitismo di ritorno. Considero inaccettabile lo schiacciamento delle opinioni dentro il recinto della “razza”: oltre ai nazisti, ai jihadisti e ai fanatici di ogni bandiera e culto, se c’è qualcuno di razzista sono proprio i suprematisti al potere in Israele. La realtà distopica odierna invece conferisce dignità a confabulazioni che settant’anni fa sarebbero state considerate frutto di una deriva psichiatrica: così abbiamo una parte di opinione pubblica suggestionata dall’idea che nel girone degli infami antiebrei debbano essere collocati alcuni figli dell’Olocausto, e nel girone dei difensori dell’identità ebraica debbano annoverarsi i figli dei redattori del Manifesto della Razza e delle successive leggi razziali. Questo passa il miserabile convento italiano.

 

Immagine di copertina tratta da https://creativecommons.org/licenses/by/3.0/

 

 

 

 

 

 

 

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Nicola Cavallini

E’ avvocato, anche se lo stipendio fisso lo ha portato in banca, dove ha cercato almeno di non fare del male alle persone. Fa il sindacalista per colpa di Giorgio Ghezzi, Luciano Lama, Bruno Trentin ed Enrico Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.

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