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Il supermercato che gioca a guardie e ladri:
il ladro è finto, il licenziamento è vero

Il supermercato che gioca a guardie e ladri: il ladro è finto, il licenziamento è vero

Da bambino giocavo a mosca cieca, palla avvelenata, bandiera, figurine. Adesso si gioca a chi ammazza più gente per finta su uno screen, o a chi corre su un circuito ed esce di strada morendo per finta, o a chi compra con soldi finti giocatori per la squadra finta che gareggia nel campionato finto, o Fantacalcio. Nei giochi veri, la parola chiave è finto. La finzione è parte necessaria del gioco. Sembra un gioco di parole, ma non lo è. Il poker, se metti in palio denaro vero, non è un gioco, perché puoi perdere un sacco di soldi.  Si chiama anche “gioco d’azzardo”, dove la parola chiave è azzardo. Uno sport quando diventa professione non è più un gioco: se perdi guadagni poco, la carriera si ferma, e ti devi trovare altro da fare per campare.

L’antropologo Gregory Bateson (cito Wikipedia) “individua l’essenza del gioco nel suo essere metalinguaggio: dato che i giochi sono qualcosa che “non è quello che sembra”, perché un’attività ludica sia veramente tale ogni giocatore deve poter affermare: “Questo è un gioco”, cioè ci deve essere la consapevolezza che l’azione è fittizia e che “meta-comunica” questa sua finzione. La metacomunicazione, quindi, per Bateson serve per rivelare la natura del “come se” del gioco, e la sua creazione di un mondo irreale in cui azioni fittizie simulano azioni reali”.

Ho giocato anche a guardie e ladri. Se il compagno della tua squadra ti toccava correndo, da prigioniero tornavi libero, ma non esisteva nessuna prigione: era solo una finzione del gioco. Al supermercato Pam Panorama di Campi Bisenzio l’azienda ha deciso che mantenere o perdere il posto di lavoro vero dipende dal “gioco del carrello”. Cito Fabio Giomi, il lavoratore della Pam di Campi Bisenzio (all’interno del centro commerciale I Gigli), cassiere d’ esperienza che, leggo, aveva addirittura ricevuto dei premi, diventato protagonista mediatico del “gioco”:

“Si è presentato in cassa un ispettore fingendosi un normale cliente. Nella spesa aveva nascosto una serie di articoli minuscoli, addirittura nelle fessure laterali delle confezioni di birra da 15 lattine. Gli oggetti erano molto piccoli: lacci per capelli, matite per gli occhi, maschere per il viso e altro. Finito il test mi ha detto che avrei dovuto rompere la scatola per controllare bene dentro. Mi disse che volendo, con questo sistema mi avrebbe “rubato l’anima” e che questa cosa avrebbe avuto delle conseguenze. Difatti mi è arrivata una lettera di contestazione a cui ho risposto spiegando le mie ragioni. Poi è arrivata la sanzione disciplinare che è stata massima: licenziamento in tronco per giusta causa”.

Capito? Uno stronzo di ispettore (non intendo usarli come sinonimi, quindi distinguo), travestito da cliente, nasconde dei prodotti piccoli dentro delle casse di birra, e se non li trovi mentre passi allo scanner la spesa vieni licenziato per “omesso controllo”. Immagina di essere un cassiere che blocca ogni cliente per controllare minuziosamente se non ha nascosto qualcosa dentro qualcos’altro: il modo migliore per spingere l’azienda ad eliminarti e sostituirti con una macchina perchè rallenti il traffico e gli incassi calano; però contemporaneamente se non ti accorgi del finto furto vieni licenziato. Questo non è un gioco: è una trappola per fregarti il lavoro, lo stipendio, la vita, e per diminuire il numero di quelli da licenziare collettivamente – decisione che peraltro l’azienda ha già preso, annunciando la chiusura del punto vendita e il licenziamento di tutti quelli che ci lavorano, 45 persone.

Campi Bisenzio è diventata una specie di Triangolo delle Bermuda del lavoro: invece di sparire navi e aerei, spariscono i lavoratori. Il comune toscano è infatti anche la sede della GKN, fabbrica meccanica chiusa e tenuta aperta artificialmente da un manipolo di lavoratori autoorganizzati che resistono alla dismissione del sito, ai licenziamenti, alla stanchezza e alla disperazione. Con un tessuto così degradato si può anche credere alla direzione di Pam Panorama, quando lamenta furti e taccheggi nei suoi punti vendita al punto da rilevare ammanchi per un controvalore (immagino complessivo) di 30 milioni di euro. Quello a cui non si può credere è che il test del carrello sia il modo per fronteggiare il fenomeno. Più banalmente, e cinicamente: Campi Bisenzio è in caduta verticale dei redditi, con pochi soldi in tasca la gente si arrangia come può, bisogna pur mangiare qualcosa quindi i microfurti aumentano e gli incassi calano, Pam fa i suoi conti e decide di licenziare le persone e chiudere. A conferma peraltro che il fenomeno non è locale, Filcams CGIL Toscana denuncia che negli ultimi dieci anni gli addetti di Pam in regione sono passati da quattromila a mille.

Queste lacerazioni nel tessuto sociale si producono di norma nel silenzio dei mezzi di informazione. Quando i media se ne occupano è perché sono incuriositi dalle modalità del sopruso, e vi individuano un tratto folkloristico da sfruttare per vendere copie: un licenziamento comunicato via whatsapp la sera prima, o durante una riunione da remoto, oppure costruito con una trappola. Quello che deve colpire, che deve destare un misto tra sorpresa e indignazione, non è tanto il fatto che una persona perda il suo lavoro, quanto l’audacia o l’arroganza dei modi. E’ un meccanismo del quale io stesso sono ingranaggio: questo articolo prende appunto le mosse dalla “trappola del carrello”.

Per un verso questa arroganza, che reintroduce in misura generale il “nutum“, cioè il cenno del capo del padrone per liberarsi di una persona, ristabilisce quel diritto di recesso reciproco che presuppone un concetto puramente privatistico, piatto, astratto del rapporto tra lavoro e capitale. Un concetto esemplificato dal nostro ineffabile Marattin quando, per spiegare la bontà del jobs act, lo paragonò al divorzio, dicendo in tv che quando una delle due persone non sta più bene nel rapporto, è giusto concedere una separazione.

D’altro canto, quando questa spiccitudine dei modi verrà sdoganata mediaticamente e non farà più notizia, arriverà a compimento la parabola regressiva del concetto di lavoro: da strumento della propria emancipazione sociale, come sta scritto nella nostra Costituzione, a puro scambio fintamente simmetrico tra manodopera e salario, che avviene in un vacuum di apparenti pari opportunità.

 

Photo cover rawpixel.com

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Nicola Cavallini

E’ avvocato, anche se lo stipendio fisso lo ha portato in banca, dove ha cercato almeno di non fare del male alle persone. Fa il sindacalista per colpa di Giorgio Ghezzi, Luciano Lama, Bruno Trentin ed Enrico Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.

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