Innamorarsi con gli Elbow a primavera
Non sono una persona mattiniera, e forse non lo sarò mai. L’animale notturno che è in me si è adattato al passare degli anni e all’aumentare delle responsabilità, ma in fin dei conti è ancora qui a farmi compagnia nel silenzio della cucina. D’altronde, sto scrivendo quest’articolo all’una di notte, e, nonostante un venerdì piuttosto intenso, potrei andare avanti ancora un bel po’.
Insomma, è raro che il picco della mia produttività, e quindi delle mie energie, si faccia vivo prima dell’ora di pranzo. Tuttavia, ci sono delle cose che in certi periodi dell’anno hanno il potere di “ribaltare il risultato”: l’eccitazione di un viaggio in estate, l’odore di pancake ed Earl Grey in inverno, le passeggiate domenicali in autunno e l’ascolto di una canzone al risveglio della primavera.
Sì, una canzone che alle mie orecchie è l’equivalente musicale di quel momento lì: l’istante in cui la luce vivida, e non più soffusa, del mattino ti coglie di sorpresa, e tutt’a un tratto ti ricordi quant’è bella l’ora legale. Una sensazione così inebriante che pensi: “finché il prezzo da pagare per averla indietro è un’ora di sonno, possiamo ritenerci fortunati”.
L’attacco è da manuale del pop: un accordo di pianoforte, un riff orchestrale che ti si appiccica addosso e una ritmica puntuale e martellante. E chi se la scorda più One Day Like This degli Elbow, raffinata band mancuniana che spazia con disinvoltura dal progressive al pop-rock sinfonico.
La voce di Guy Garvey, gentile e mai sopra le righe, guida l’ascoltatore con leggerezza e un pizzico di autoironia, senza prendersi troppo sul serio. Del resto, One Day Like This è una canzone d’amore squisitamente british, e in quei sei minuti e mezzo ci sono i Verve di Bitter Sweet Symphony, i Blur di Tender e i Beatles di Hey Jude.
Quindi, se uno di questi giorni primaverili vi svegliate innamorati – di una persona, della vita o del sole che fa capolino così presto – sapete cosa fare.
“Cause holy cow, I love your eyes
And only now I see the light
Yeah, lying with you half awake
Oh, anyway, it’s looking like a beautiful day”
Paolo Moneti
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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Cari lettori,
dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.
Se già frequentate queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “giornale” .
Tanto che qualcuno si è chiesto se i giornali ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani. Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport… Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito. Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.
Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e riconosce uguale dignità a tutti i generi e a tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta. Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia; stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. Insomma: un giornale non rivolto a questo o a quel salotto, ma realmente al servizio della comunità.
Con il quotidiano di ieri – così si diceva – oggi “ci si incarta il pesce”. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line, le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.
Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e di ogni violenza.
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Pezzo magnifico, senza esagerare lo definisco uno dei miei preferiti di sempre.