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Abbiamo letto con particolare interesse le intenzioni di un illustre ferrarese che di recente ha assunto il ruolo complicato e difficile di ministro della Repubblica, per di più della cultura e del turismo.
Il primo passo sembra mirato a oliare la macchina organizzativa, partendo da una sorta di “revisione della spesa”, cominciando a sfoltire seggiole e a togliere pigrizie, là dove la polvere albergava da tantissimo tempo.
Poi, il Dario (ci permettiamo di chiamarlo così con affetto e ci scuserà) si è messo a guardare cosa fanno, di meglio, in altri Paesi europei come la Francia, la Germania, la Spagna, il Regno Unito, e ha fatto un duro confronto con il nostro bel Paese.
Il ministro si è messo le mani nei capelli e, toccata la folta barba nera con alcuni spunti bianchi, il look che lo contraddistingue da qualche anno, ha pensato, subito dopo, che serviva un cambio di passo e forse di più.
Pare che l’idea del procedere di Franceschini sia presa dall’esperienza francese, dalle detrazioni e agevolazioni fiscali all’ecobonus, dal mecenatismo alle liberalità, dalle partnership pubblico-privato alle donazioni, in un quadro che coinvolga anche gli stakeholder e con l’individuazione dei siti di interesse storico-artistico e ambientale-culturale in area vasta e con una filiera predefinita.
Basterebbe elaborare un progetto di turismo “incoming”, mettendo in rete fra loro (e magari online) i punti forti dei beni culturali e le bellezze di una geografia dei territori, per richiamare i tanti turismi che la costa e il primo e secondo entroterra registrano nei classici flussi vacanzieri e nei fine settimana.
Al riguardo, la visione non può che ricadere su quella fascia ampia e lunga di una parte dell’alto Adriatico cha va da Venezia a Ravenna, e che passa per il Parco del Delta del grande fiume Po, culla di tante storie: dagli Estensi agli Etruschi, ai Romani, alla Serenissima, ai Bizantini, ai legati, solo per citarne alcune.
Pensiamo anche al nostro territorio che sta dentro al gioco delle geografie: e allora si vedono Schifanoia, i Diamanti e il Castello Estense, in città; le delizie estensi, le ville storiche e i palazzi negli itinerari delle terre di mezzo, oltre all’abbazia di Pomposa e ai Tre ponti sulla costa; ma anche un rilassante picnic nei tanti parchi e itinerari cicloturistici come quello del destra Po, a villa Giglioli.
Ma per non sognare servono strumenti e risorse: pensiamo ad una “Società veicolo” che incorpori l’utilizzo dei beni culturali ed ambientali, affidando, con una organizzazione leggera ed efficiente, regia e governance ad alti management, mentre per la gestione si dovrebbero ricercare sia gli operatori del settore, sia nuove forme di associazionismo culturale e sociale del terzo settore, e con una guida-controller dei Comuni, come stanno pensando l’Anci e alcuni Sindaci.
Attendiamo con interesse la rivisitazione del Titolo V per le competenze, funzioni e ruoli e alcuni suggerimenti dati da esperienze acquisite e da esperti, oltre all’ausilio delle letture e delle lezioni dell’Economia della cultura e del turismo che alcune università ci stanno già offrendo.
Ci permettiamo, infine, di rivolgerci anche a Ferrariae Decus, a Italia Nostra, al Cai, a Casa Cini, alle Fondazioni bancarie, agli scrittori ferraresi, al circuito delle biblioteche e dei musei e dai tanti nascosti portatori di interessi che con il sistema delle imprese, potrebbero mettersi insieme e vedere cosa ne esce.
Scusate dimenticavo le risorse. Qui Dario deve fare il miracolo, e attivare autorevolezza internazionale di Padovan, alle buone relazioni, nei paesi emergenti, di Lapo Pistelli.
Arabi, russi, indiani, cinesi e qualche americano non sanno più dove investire, non basta più la montagna di liquidità nel materasso, serve allocarla là dove c’è il più grande patrimonio culturale del mondo e dove i ritorni sono possibili e buoni.
Se il ministro ci ascolta e ha un po’ di tempo per leggerci su questo quotidiano online, e noi faremo il possibile affinché gli giunga la notizia, capirà che non è la ferraresità che si fa viva ma un’articolazione di tanti territori che si mettono insieme, che guardandosi come costa potranno muovere i trenta milioni di persone che ogni tanto lasciano l’ombrellone della spiaggia e vanno in cerca delle bellezze della nostra lunga storia tra terre e acque.
Attendiamo almeno un sms, una chiocciola o uno squillo per poter andare oltre e cambiare correndo.

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Enzo Barboni


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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