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di Loredana Bondi

Il giorno 20 ottobre 2016 è stato approvato e licenziato dalla Camera dei deputati il disegno di legge “Misure per prevenire e contrastare condotte di maltrattamento o di abuso, anche di natura psicologica, in danno dei minori negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia e delle persone ospitate nelle strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali per anziani e persone con disabilità”. Nonostante sia ancora in corso di approvazione definitiva da parte del Parlamento, ne è stata data un’ampia diffusione mediatica, anche se con accenti e dichiarazioni non sempre completi dei dovuti approfondimenti.
Come rappresentante ferrarese del Gruppo nazionale Nidi e Infanzia, ritengo doveroso evidenziare la mia profonda preoccupazione sugli aspetti non trascurabili che questo disegno di legge porta avanti, soprattutto per le premesse e condizioni che lo stesso provvedimento, qualora applicato, potrebbe inevitabilmente ingenerare sull’intero sistema educativo.
Vorrei perciò proporre alcune riflessioni e questioni, prima che il ddl giunga al Senato per la valutazione di competenza e valutazione finale.

Certamente – come sostiene la pedagogista Sandra Benedetti del gruppo nazionale in un recente approfondito intervento – gli episodi di violenza sui bambini praticate in alcuni servizi educativi salgono agli onori della cronaca e riempiono le testate dei giornali, i blog, arrivano come un pugno chiuso nello stomaco di chi legge e vengono percepiti al pari di qualsiasi atto di violenza a cui si assiste nei luoghi attraversati da guerre e catastrofi. Solo che in questo caso i luoghi in cui si praticano queste violenze sono luoghi situati in contesti pacifici, considerati affidabili e pertanto percepiti come al di sopra di ogni sospetto, luoghi e persone ai quali i genitori affidano le persone più preziose: i bambini piccolissimi, incapaci di esprimere il proprio dissenso, impossibilitati a difendersi, in una fase della crescita in cui stanno strutturando, attraverso la relazione con gli adulti, i coetanei e il contesto, i fondamentali sui quali costruire i propri riferimenti simbolici, emotivi, cognitivi.
Non posso che condividere il grande malessere su questi fatti, ma contemporaneamente, constato che dietro la vicenda di cronaca che viene presentata attraverso i media, parte la generalizzazione del ‘sistema malato’ e l’indicazione ineludibile del correttivo: il controllo serrato su tutti i servizi, attraverso strumenti come le telecamere, ritenute risolutorie per l’intercettazione dei gesti di violenza perpetrati sui bambini. Su questo genere di soluzioni non si può che avere una valutazione negativa, perché questi interventi non porterebbero altro che a minare il sentimento di fiducia fra genitori e personale educativo, sentimento costruito su un preciso patto che va reso esplicito e monitorato sempre.
Mi piacerebbe però che su questi fatti il personale educativo, i coordinatori pedagogici, gli insegnanti e i dirigenti scolastici si esprimessero e, nel contempo, avessero la forte determinazione di sottoporre prima di tutto al loro interno, alle famiglie, oltre che ai referenti politici locali di Parlamento e Governo, una serie riflessioni sul contenuto di questo ddl che, a mio avviso, non coglie adeguatamente l’inopportunità e la pericolosità delle soluzioni che propone.

Dovrebbe essere impostata, altresì, una riflessione generalizzata, di carattere nazionale, sul sistema educativo, nella direzione non solo della predisposizione di percorsi di studio per il raggiungimento di specifica professionalità da parte degli educatori e del personale della scuola (solo in parte già definita), ma della necessaria, continua e obbligatoria formazione in servizio, del rispetto dei contratti sia da parte di chi opera, sia da parte dei datori di lavoro, perché un’attività così profondamente delicata e difficile deve essere governata con il massimo delle garanzie. L’orario di lavoro, le compresenze orarie del personale, il rapporto numerico insegnante-bambini, il confronto sistematico su modelli educativi e pedagogici, la definizione di precise responsabilità, il reale controllo di qualità del sistema: sono aspetti ineludibili della qualità dell’ambiente formativo, cui va affiancato un serio sistema di controllo gestionale, organizzativo e pedagogico, che non può certo essere basato sulla sfiducia preventiva dell’azione educativa e sullo ‘spionaggio investigativo’ a mezzo di telecamere installate nei locali delle scuole, così come previsto dal disegno di legge in oggetto.
Uno dei requisiti fondamentali su cui si fonda il patto educativo tra il servizio e le famiglie è proprio la fiducia reciproca che, ovviamente non è data in natura, ma va conquistata attraverso la constatazione che il luogo e le persone cui i bambini vengono affidati, corrispondono davvero ai requisiti dichiarati dall’ente gestore (Comune o altro soggetto privato a cui è stata concessa la gestione del servizio in convenzione o in appalto).

Quello che manca nei servizi e che porta verso queste inconcepibili situazioni è di fatto l’assenza di una gestione comunitaria del servizio educativo. Il controllo è un punto fondamentale e dirimente di tutti i servizi rivolti alla persona, tanto più quando essa è fragile e non può o riesce a difendersi. Questo controllo però non deve essere praticato con la telecamera, che è un modo molto rapido di risolvere il problema e non evita di certo l’atteggiamento increscioso di chi pratica violenza, poiché nel momento in cui lo rileva, il gesto è già compiuto. Occorre fare leva piuttosto sulla cultura della valutazione permanente del lavoro di cura, che si esprime a più livelli e che deve contemplare alcuni punti fondamentali, indispensabili per la qualità minima dei servizi educativi, sia pubblici che privati. Il concorso di più fattori costa molto di più in termini di impegno e richiede una esplicita scelta di campo, anche di natura politico-sociale. Alla logica del controllo basato sul pregiudizio e sulla presunta sfiducia che è sottintesa dall’uso della telecamera, è indispensabile sostituire la pratica della valutazione pedagogica, che chiama in causa più attori e li induce a svolgere ciascuno il proprio ruolo.
Si tratta di un tema troppo delicato e complesso, indubbiamente grave e che non va assolutamente sottovalutato, nonostante la casistica limitata, ma ritengo che non possa assurgere ad ‘allarme sociale’ a cui dare come unica soluzione la risposta dell’installazione della video sorveglianza in ogni scuola. Per questa ragione allora, in base a quanto emerge dai dati nazionali, dovremmo installare le telecamere anche in ogni casa, dal momento che la maggioranza delle violenze sui minori viene perpetrata fra le mura domestiche!
La proposta di legge, il cui contenuto è sicuramente stato amplificato a dismisura dai media, punta a incrinare un sistema complessivo che, per colpire il grave e deviante comportamento di un singolo, colpisce un intero contesto sociale, utilizzando strumentalmente l’argomento della legalità: fa passare il messaggio che, senza il controllo a distanza, nulla emergerebbe e i violenti rimarrebbero impuniti.

Perché non proviamo a riprendere in mano seriamente il problema dell’educazione, dei principi fondamentali alla base della professionalità educativa? Perché proprio ora che si sta discutendo a livello di Regione Emilia Romagna, la cui legislazione in materia è sempre stata all’avanguardia, non solo in Italia, ma a livello internazionale, il nuovo testo di legge proprio sui servizi educativi, sembra sia sottovalutato il sistema di valutazione della qualità, ridotta a valutazione interna al contesto educativo? Certo il processo di valutazione delle attività va costantemente monitorato all’interno del sistema educativo, ma sia il gestore pubblico, che il soggetto gestore privato – che dev’essere accreditato – devono soggiacere anche a una valutazione terza, a un controllo esterno, che mettano seriamente in evidenza tutti gli aspetti organizzativi, gestionali e pedagogici. In questo percorso, l’Ente pubblico ha l’obbligo della governance, termine molto usato e non sempre praticato. E, nel contempo, con strategie adeguate, si devono coinvolgere necessariamente i genitori come attori reali di questo processo.
Penso che sia importante non tacere sul fatto che sono necessari confronti non solo mediatici, ma reali, nella vita comune di ogni giorno, nella scuola, nelle aule consiliari, nelle associazioni culturali e politiche, nelle famiglie, a livello di cittadinanza. Purtroppo, questo è tutto un altro discorso, che ha a che fare con le attuali condizioni sociali e politiche e la cultura stessa del nostro paese che, pur presentando ancora delle eccellenze, sta perdendo di vista valori come il saper ascoltare, la collaborazione, il confronto e la solidarietà, che si nutrono di onestà morale e intellettuale, non di superficialità e indifferenza.
Non sono certo riflessioni nuove, ma l’emergenza della situazione impone un nuovo percorso generale di “riappropriazione” di dignità di un lavoro indispensabile come quello dell’educare.

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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