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Il Festivaletteratura di Mantova e la balena
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Vite di carta. Il Festivaletteratura di Mantova e la balena
Mantova anche per un giorno solo è pur sempre Mantova. Intendo il suo Festivaletteratura, giunto quest’anno alla edizione numero 29. Ci sono stata giovedì 4 settembre, in una giornata di sole e con amiche che erano alla loro prima esperienza col Festival. Una meraviglia: l’atmosfera che si respira in città ti cattura subito, la prima come la ventinovesima volta.
Come dice Nadeesha Uyangoda, nel commento conclusivo che le è stato chiesto su questa edizione 2025, “Mantova dilata il tempo, ci proietta dentro mondi possibili, accende scintille, porta la bellezza e l’orrore del mondo dentro le sue mura, avvicina la geografia, crea comunità”.
Ho seguito tre eventi, un po’ pochino rispetto alle scorpacciate che mi sono fatta in tanti anni di volontariato insieme al gruppo degli studenti. Facendo servizio agli eventi, erano in media cinque incontri al giorno.
Eppure. Giovedì ho conosciuto un’autrice al suo esordio, una ricercatrice del comportamento animale, un poeta e romanziere ormai noto nel mondo. Prima non li conoscevo e li ho scelti nel mare del programma proprio per questo.
Eleonora Daniel è al suo primo romanzo, La polvere che respiri era una casa. Le fa domande Elsa Riccadonna alla Piazza dei libri, la incalza a svelare dove stia per lei il fuoco sacro della scrittura, che è anche il titolo della rassegna. Come si nasce e come si resta scrittrici o scrittori viene chiesto a dieci autori italiani e stranieri nel corso del Festival, da mercoledì 3 a domenica 7 settembre.
Ascolto parlare Eleonora, che con i suoi trent’anni mi sembra una bambina, anche se dice cose esperte sulla scrittura ed è precisa nel dare le coordinate del suo libro. Tanto alla trama, tanto e anche di più alla forma narrativa.
Tiziana, la mia amica che ha comprato il libro e lo ha incominciato, mi conferma che persino la punteggiatura è inusuale. Lo leggerò, ora sono proprio attratta dall’idea di incontrarlo e di poter scrivere a lei, l’autrice, cosa ne penso.
Ho conosciuto Eva Meijer, scrittrice, filosofa, ricercatrice all’Università di Amsterdam, studiosa della filosofia animale e delle comunità multispecie. Volevo sentire la sua conversazione con Marco Filoni sul grande tema del rapporto tra umano e non-umano, sulla necessità che abbiamo di reimpostare la relazione con il resto del creato. Il tema mi attizza e ne ho scritto recentemente (Vite di carta, Tra “umano” e “non-umano”, 20/08/2025).
Non è un’idea da poco, questa con cui torno a casa guidando nella campagna mantovana, poi veneta, poi ferrarese fino a casa. I gruppi sociali che formano gli animali sono ispirati a principi etici. Così i topini da laboratorio che Meijer ha preso a vivere con sé si prendono cura gli uni degli altri in caso di bisogno e seguono alla morte di uno di loro dei rituali funebri codificati.
Gli animali possono insegnarci molto, in particolare in questo tempo di sconvolgente cambiamento climatico, possono insegnarci a fondare una società basata sulla cura.
Ho finalmente ascoltato Ocean Vuong, che ha nel nome il mare più vasto, lo desideravo fortemente e sono uscita dall’evento presso Santa Maria Della Vittoria con nuove parole in testa, nuove possibili bussole da consultare nei giorni.
Da Vuong sono arrivate parole forti sulla violenza storica che ci dilania, sul desiderio che ci fa vivere, sulla creatività che ci salva dalla sofferenza e dalla distruzione, sulla perdita delle radici e sulla lingua che sa scavare nella profondità delle cose facendoci rinascere.
Ho comprato a scatola chiusa L’imperatore della gioia, il suo ultimo romanzo che è in libreria da due giorni, dopo aver sentito il suo autore parlare della letteratura come di qualcosa che aiuta a capire cosa sia il bene, facendo domande profonde sul mondo. La trama arriverà, la delega come lettrice al suo narratore l’ho già firmata.
È stato come entrare nella pancia della balena, sondarne il buio come prezzo da pagare per restare a bordo e solcare con lei le distanze più grandi. Pinocchio ha avuto in sorte la medesima avventura, finendo però per trovare lì la sorpresa più speciale che è ritorno e rinascita, suo padre Geppetto.
Per trovare la propria casa si deve anche andare lontano e solcare altre prospettive di sguardo come fossero mari in tempesta.
Dice bene, ancora, Uyangoda quando parla dell’acqua sporca che resta dei giorni mantovani, un’acqua impregnata dei gesti, delle parole, dello spaesamento che uomini e donne si sono procurati “come testimoni all’erta” tracciando il ritratto del mondo e dei loro sogni.
Nota bibliografica:
- Ocean Vuong, L’imperatore della gioia, Guanda, 2025
- Eleonora Daniel, La polvere che respiri era una casa, Bollati Boringhieri, 2025
Cover: la foto è stata scattata dall’autrice durante l’incontro con Ocean Vuong
Per leggere gli altri articoli di Vite di carta la rubrica quindicinale di Roberta Barbieri clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice
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