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Osservando l’immagine grafica di Samuel Granados (geniale visual designer spagnolo specializzato in design dell’informazione) pubblicata recentemente sulle pagine di La Lettura, speciale domenicale del Corriere della Sera, si pensa di essere vittime di un colpo di sole .
L’Italia tra i consumatori di alcol è l’ultimo tra i 27 paesi UE. Appena 6.7 litri di alcol puro per persona all’anno a fronte degli 11.8 della Germania e dei 15.4 della Lituania in testa alla classifica (Fonte: Global staus report on alcohol and health 2014. OMS).

E l’emergenza alcol di cui tanto si parla dove è finita? Gli allegri e tradizionalmente consumatori di grappa e vino del Nord Est hanno improvvisamente deciso che, la cedrata è meglio? Cosa ne è stato dei 500 mila minorenni a rischio di abuso alcolico?
Non è escluso che le campagne di sensibilizzazione e prevenzione abbiano avuto successo, ma è ancor più probabile che gli italiani siano per una volta in testa alla classifiche europee per meriti propri scegliendo la qualità a discapito della quantità.
Da vent’anni il consumo di vino è in diminuzione e quello della birra si è stabilizzato su medie ragionevoli. Un altro dato salta agli occhi e favorisce la posizione virtuosa dell’Italia: le donne bevono poco, appena 3.9 litri di alcol a testa. La meta delle donne inglesi (6.9) o tedesche (7.0). Francia (7.1) per non parlare delle signore di Portogallo (7.6), Repubblica Ceca (7.8), Lituania (7.9).
Naturalmente non mancano emergenze, che l’Istituto Superiore di Sanità ribadisce nel rapporto 2013: “…nonostante segnali positivi specialmente laddove sia stata praticata una costante informazione attiva i minorenni, specialmente nella fascia 14-18 anni, continuano ad essere la categoria più a rischio”.

Happy hour, binge drinking, chupito, sono parole e modalità di consumo largamente diffusi tra i ragazzi che aggirano divieti e raccomandazioni ricorrendo ad amici e gestori compiacenti o facendo incetta di rum e wodka nei discount per poi travasarli in bottigliette d’acqua e, già forniti, presentarsi a feste e frequentare discoteche.
Una varietà di modi di bere che non esclude l’abuso di alcol come fattore di ‘allarme sociale’.

La famiglia denuncia, la polizia indaga. Parafrasando il titolo di un vecchio film abbiamo il quadro del clima post coma etilico di una 13enne ferrarese. Ma il panel delle reazioni sarebbe riduttivo se non prendessimo in considerazione anche gli interventi di specialisti più o meno titolati; politici che non si fanno mancare l’occasione per dichiarare; articolisti che cavalcano l’onda dell’emotività del lettore da bar e da salotto.
Ma tempo qualche giorno e il caso passerà in cavalleria. Fino alla prossima denuncia; fino al prossimo ricovero o peggio. Ma i problemi dell’abuso, sia esso di alcol quanto di sostanze come di internet nelle mille declinazioni possibili, rimane. Ed è un problema che non si risolve a colpi di convegni, seminari, tavoli interistituzionali di più o meno estesa metratura. E tantomeno saranno i titoli più o meno ad effetto quelli che avranno la capacità di invertire l’andamento di un costume che vive più di casi eccezionali che di fenomeni reali.

In tali culture, quindi, a influenzare il modo di bere non sarebbe l’età in cui avviene il primo assaggio delle bevande alcoliche bensì il modo e il contesto in cui tale approccio si verifica. I pochi studi effettuati in Italia che prendono in considerazione il fattore della socializzazione all’alcol (Strunin et al. 2010; Osservatorio Permanente sui Giovani e l’Alcol 2012; Bonino et al. 2003) confermano quanto detto finora. Nello studio di Bonino et al. (2003), la maggior parte dei bevitori moderati ha iniziato a bere in famiglia, mentre i consumatori non moderati hanno prevalentemente cominciato all’interno dei gruppi dei pari. Stessi risultati a cui arrivano gli altri due studi, a dimostrazione del fatto che bere per la prima volta in famiglia, anche se si è in giovane età, sotto il controllo dei genitori, può rappresentare un fattore di protezione. Come già sottolineato in altre ricerche (Beccaria 2013), anche nello studio condotto dall’Osservatorio Permanente sui Giovani e l’Alcol (2012) su un campione di adolescenti sui 13-14 12 anni, in Italia, nonostante molti parlino di un abbandono della “cultura bagnata”, il primo approccio continua a essere in famiglia. Il 73% degli intervistati risulta aver avuto la prima esperienza insieme a genitori e parenti, mentre solo il 18.3% l’ha avuta all’interno del gruppo dei pari. Da aggiungere il fatto che, mentre nel primo caso la situazione di consumo è legata all’alimentazione, nel secondo caso avviene fuori dai pasti. Infine, tra i non bevitori e i bevitori occasionali la maggior parte ha cominciato a bere in famiglia e duranti i pasti mentre la percentuale più alta dei bevitori abituali ha cominciato all’interno del gruppo dei pari, durante feste o comunque in situazioni fuori dai pasti. Stesse conclusioni a cui arriva lo studio di Strunin et al. (2010), secondo i cui risultati, a differenza dei bevitori moderati, coloro che non hanno avuto un primo approccio alle bevande alcoliche in famiglia risultano essere per la maggior parte forti bevitori.

Si tratta di uno stile permissivo-protettivo (Beccaria e Rolando 2010), in cui i genitori permettono ai figli di assaggiare le bevande alcoliche, ma allo stesso tempo assumono un ruolo protettivo in quanto educano gli stessi a un consumo moderato. In questo senso, il monitoraggio, le regole e il controllo da parte dei genitori rappresentano una protezione (Bellis et al. 2007; Jackson, Henriksen, e Dickinson 1999; Ledoux et al. 2002; Reifman et al. 1998; Van Der Vorst et al. 2006; Wood et al. 2004; Jiang Yu 2003) così come un dialogo aperto coi figli, in grado di educarli ad un consumo moderato di alcol (Cox et al. 2006). Di conseguenza, un’introduzione al bere in un contesto al di fuori di quello familiare come quello dei pari, senza regole, controllo e monitoraggio da parte di adulti che assumano una funzione educativa, può rappresentare un rischio (Laghi et al. 2012; Strunin et al. 2010; Digrande et al. 2000; Osservatorio Permanente sui Giovani e l’Alcol 2012). L’influenza del gruppo di amici nel comportamento, come si sa, è un fattore importante e in molti studi si registra come l’appartenenza a gruppi caratterizzati da forti bevitori aumenti la probabilità di abuso (Laghi et al. 2012; Osservatorio Permanente sui Giovani e l’Alcol 2012; Reifman et al. 1998).
L’eccessivo allarmismo con cui si sta dando risalto alla questione dei giovani e dell’alcol, sta portando molte famiglie ad abbandonare il loro ruolo nell’introduzione dei giovani all’alcol (Beccaria 2012), adottando spesso posizione più proibizioniste, che possono portare al pericolo di un avvicinamento alle sostanze alcoliche in un contesto senza regole e con significati che vanno verso la direzione della trasgressività. I consumi in Italia sono cambiati, sia per le nuove generazioni ma anche per le vecchie, ma persiste tuttavia quel significato conviviale e alimentare del bere (Allamani et al. 2006) e una trasmissione di valori intergenerazionale che può costituire un importante fattore di prevenzione all’abuso di alcol da parte dei giovani. È importante, quindi, continuare ad investire affinché permanga quel ruolo educativo esercitato dalla famiglia, il quale può costituire un importante fattore di protezione nei confronti dell’abuso di alcol.

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Redazione di Periscopio


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di Piermaria Romani

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