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Un Festival che parla al femminile, con sette registe donne in concorso. Palma d’Oro a Justine Triet: e il cinema si fa portavoce sociale.

Il Festival di Cannes 2023 ha riservato tante sorprese. Nonostante i nostri canali televisivi nazionali non abbiano ritenuto di alcun interesse presentare agli spettatori la cerimonia di premiazione finale del 27 maggio, gli appassionati cinefili hanno potuto seguirla in diretta sul canale YouTube del Festival.

Udite, udite! Questa settantaseiesima edizione, per la prima volta nella sua storia, ha visto in gara sette registe, lo scorso anno erano state cinque. Sono l’italiana Alice Rohrwacher (La chimera), l’austriaca Jessica Hausner (Club Zero), la tunisina Kaouther Ben Hania (Les filles d’Olfa), la francese Justine Triet (Anatomie d’une chute), la francese Catherine Breillat (L’été dernier), la francese, di origini senegalesi, Ramata-Toulaye Sy (Banel et Adama) e la francese Catherine Corsini (Le retour). Molta Francia.

Se nel 2012 in gara non c’era nessuna regista, qualche progresso è stato fatto (non è mai abbastanza), anche se, generalmente, la parità è maggiore nelle sezioni parallele del Festival. La Settimana della critica, ad esempio, ha selezionato sei lungometraggi su undici di registe donne.

La sfida della parità non è però solo a Cannes. La Berlinale, che pubblica le sue statistiche dal 2002, ha come record il numero di sette registe in gara, ma pare faccia molta fatica a superarlo (record quest’anno eguagliato dall’evento francese).

A Venezia gli ultimi tre Leoni d’Oro sono andati a registe donne: Chloé Zhao (Nomadland nel 2020), Audrey Diwan (La scelta di Anne nel 2021) e Laura Poitras (Tutta la bellezza e il dolore nel 2022).

A Cannes, solo due donne avevano vinto la Palma d’Oro: la francese Julia Ducournau nel 2021 con Titane e la neozelandese Jane Campion a pari merito nel 1993 con Lezioni di piano. Quest’anno arriva la terza: Jane Fonda ha premiato, con la Palma d’Oro, la francese Justine Triet, classe 1978, per Anatomie d’une chute, thriller psicologico di una madre che deve difendersi dall’accusa di aver ucciso il marito.

Justine Triet, dopo aver conseguito il diploma presso l’Ecole Nationale Supérieure des Beaux-Arts di Parigi, ha realizzato due opere sul ruolo dell’individuo all’interno di un gruppo: Sur Place (2007), girato durante le proteste studentesche, e Solférino (2008), realizzato durante le elezioni presidenziali. Nel 2009, ha girato Des Ombres dans la maison a San Paolo. Successivamente, il suo primo cortometraggio di finzione, Two Ships, ha vinto numerosi premi in festival francesi e internazionali, tra cui l’European Film Award alla Berlinale nel 2012, il Gran Premio al Festival Premiers Plans D’Angers e al Festival di Belfort, e riceve la candidatura al César nel 2013. Il secondo lungometraggio, Tutti gli uomini di Victoria (2016), esce nelle sale parigine nel settembre 2016. Nel 2019 ha diretto Sibyl – Labirinti di donna.

La regista, al momento del ritiro del premio, si è scagliata contro la riforma delle pensioni del governo francese, una contestazione in atto importante che riguarda anche il mondo del cinema, e la “mercificazione della cultura difesa dal governo neoliberista, in procinto di rompere l’eccezione culturale francese. Questa stessa eccezione culturale – ha aggiunto – che mi ha cresciuta e formata e senza la quale oggi non sarei qui, davanti a voi”.

Scatenando, con le sue affermazioni, la dura reazione del Ministro della cultura Rima Abdul Malak, felice della vittoria ma “disgustata dal suo discorso così ingiusto. Quel film non avrebbe mai visto la luce senza il nostro modello di finanziamento francese al cinema che permette una diversità unica al mondo. Non dimentichiamolo”.

Secondo premio per importanza, il Gran Premio della Giuria è andato all’inglese Jonathan Glazer per il suo drammatico The Zone of Interest, storia di una famiglia nazista che vive accanto al muro di Auschwitz, tratto dall’omonimo romanzo di Martin Amis scomparso pochi giorni fa. Entrambi i film vincitori dei riconoscimenti più prestigiosi hanno la stessa attrice protagonista, la tedesca Sandra Huller.

Justine Triet e Sandra Huller a Cannes 2023 foto Victor Boyko, GETTY IMAGES

Miglior attrice è invece è la turca Merve Dizdar, per Kuru Otlar Ustune (Dried Herbs) di Nuri Bilge Ceylan, nel ruolo di una donna che si innamora di un insegnante in una remota provincia turca. “Vorrei dedicare questo premio a tutte le donne che lottano per superare le difficoltà di esistere in questo mondo e per mantenere viva la speranza”, ha detto, aggiungendosi alle artiste che hanno posto al centro della Croisette il tema della donna.

La tedesca Gunnur Martinsdóttir Schlüter è infine la vincitrice della menzione speciale per i cortometraggi con Far & Flóra mentre Flóra Anna Buda ottiene la Palma d’Oro per i cortometraggi per 27 anni.

Tante le dichiarazioni a favore della parità di genere, dunque. Finché, per dirla con Jane Fonda, non diventerà la normalità.

Immagini copyright Festival di Cannes

Trailer del film vincitore della Palma d’Oro, Anatomie d’une chute

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Da sempre appassionata di scrittura e letteratura, ha pubblicato su riviste italiane e straniere, è autrice del romanzo, “Il Francobollo dell’Avenida Flores”, ambientato fra Città del Messico, Parigi e Scozia e traduttrice dal francese, per Curcio Editore, di La Bella e la Bestia, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Ha collaborato con BioEcoGeo, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, Mosca Oggi, eniday.com e coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma. Scrive su Meer (ex Wall Street International Magazine).

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