Storie in pellicola /
Al via il set della nuova serie tv La Lunga Notte
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Sono in corso a Roma, le riprese della nuova serie, in sei episodi, La lunga notte, interpretata da Alessio Boni per la regia di Giacomo Campiotti (noto al pubblico per Braccialetti rossi, Bianca come il latte, rossa come il sangue, Chiara Lubich – L’amore vince tutto, anch’esso ambientato nel 1943, e La sposa), una coproduzione Rai Fiction – Èliseo entertainment di Luca Barbareschi.
Accanto ad Alessio Boni, Duccio Camerini, Ana Caterina Morariu, Aurora Ruffino (che ha già lavorato con Campiotti in Bianca come il latte, rossa come il sangue e in Braccialetti rossi), Flavio Parenti, Marco Foschi, Lucrezia Guidone, Martina Stella, Luigi Diberti e Giuseppe Antignati. Poche le notizie che trapelano…
Sceneggiata da Franco Bernini, Bernardo Pellegrini, con la consulenza alla sceneggiatura dello stesso regista e la consulenza storica di Pasquale Chessa, la serie narra le tre settimane precedenti la notte tra il 24 e il 25 luglio 1943 in cui si svolse l’ultima riunione del Gran Consiglio del Fascismo, organo supremo presieduto da Benito Mussolini, che sancì la fine del regime fascista, con 19 voti favorevoli, 7 contrari e 1 astenuto.

Saranno quindici le settimane di ripresa dedicata alla narrazione dei fatti che condussero a quel momento fatale, raccontando la Storia unitamente alle storie di uomini e donne che agirono da protagonisti e misero in gioco il loro destino personale oltre a quello del Paese.
Molte splendide location della Capitale si avvicenderanno con luoghi altrettanto evocativi nell’hinterland romano e si fonderanno con i costumi e auto d’epoca per richiamare con potenza narrativa i tormenti di Dino Antonio Giuseppe Grandi, Presidente della Camera dei fasci che decise di opporsi alle scelte di Mussolini in maniera legittima, convocando il Gran Consiglio, per rimettere il Paese nelle mani dei Savoia. Accanto alle sue vicende, quelle della famiglia Reale, di Edda e Galeazzo Ciano e di Claretta Petacci.
Perché, come ha indicato in un’intervista, Giacomo Campiotti, che ha avuto come maestro il grande Mario Monicelli, di cui è stato assistente e poi aiuto regista in Il marchese del Grillo (1981), Speriamo che sia femmina (1985) e I picari (1987), da regista ama raccontare storie di valore e aprire varchi.
Foto in evidenza Di Benedetto, ufficio stampa Eliseo entertainment
Simonetta Sandri
Caro lettore
Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.
Se già frequentate queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.
Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani. Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito. Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.
Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta. Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .
Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line, le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.
Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e di ogni violenza.
Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”, scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.
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Francesco Monini
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