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Facce allucinate e inquietanti ti guardano mentre passi lungo i vicoli stretti e appartati della parte antica di Ferrara. Un uomo mascherato se ne sta incollato alla cabina elettrica dietro al muro di via Capo delle Volte, nel tratto tra Porta Reno e via Boccaleone. Un altro è messo tutto di traverso sullo sportello di metallo di una cabina più piccola in un altro tratto della via acciottolata, quasi all’angolo con via Croce Bianca dove c’è il bar Korova, e lì vicino un altro volto assalito dal fuoco è disegnato sopra al simbolo di avvertimento di infiammabilità.

Un volto disegnato da Alessandro Brome in via Capo delle volte a Ferrara (foto Giorgia Mazzotti)

Sono ritratti fatti con penna e pennarelli dentro a fogli riquadrati e incollati, come immagini segnaletiche di gente ricercata. In alcuni casi gli occhi sono cerchiati con un tratto nervoso e ripetuto che rende l’espressione sconvolta.

Un volto disegnato da Alessandro Brome in via Capo delle volte a Ferrara (foto GM)
Disegno di Alessandro Brome in via Capo delle volte a Ferrara (foto GM)
Un volto disegnato da Alessandro Brome in via Capo delle volte a Ferrara (foto GM)

Girando a piedi per il centro della città mi è successo di incrociare questi sguardi. Dopo il primo e il secondo, lo stile che tratteggia volti da fuggiaschi espressionisti mi diventa familiare e finisco per guardarmi intorno alla ricerca di elementi ricorrenti, magari di altre facce simili in mezzo a quelli che fino a poco fa mi parevano solo scarabocchi indistinti, mescolati ad adesivi e scritte varie. Adesso che ci ho fatto caso, mi colpisce la velocità di un segno che con pochi tratti materializza una presenza così forte, poche righe buttate lì che danno forma a una personalità che vibra, nervosa e primitiva. La curiosità cresce e mi viene la voglia di sapere di più, capire, dare un nome all’autore e un significato più sistematico ai disegni.

L’arte disseminata sulla strada è come un segnale che marca il territorio. Uno stile riconoscibile può trasformare le opere randagie in indizi, tracce che portano verso una direzione, che però non si sa bene quale sia. In certi casi – come questo – qualcosa ti colpisce in modo particolare. La curiosità diventa una sfida: quella di riuscire a intercettare altre immagini create dalla stessa mano, intuire il messaggio che ci sta dietro, sapere chi è che le ha fatte. Inizia un dialogo, una ricerca, una specie di corteggiamento.
“Per me è così la musica indie – dice mio figlio, che ha 16 anni – la scopri per i fatti tuoi, quasi per caso, attraverso amici o canali che ti trovi da solo, e la senti come una cosa tua, qualcosa che riguarda te e pochi altri”: quelli che ci sono arrivati per vie traverse, un gruppo ristretto che dà un senso di appartenenza, una cerchia esclusiva.

Alessandro Brome su un muro dipinto in un’immagine postata su facebook un paio di settimane fa

La street art è un po’ questo. Se ne sta in un’area a parte, fuori da gallerie e mostre, palestra di creatività senza regole, tante volte fastidiosa, imbrattante, dissacrante. Colpisce, spesso disturba anche, copre, sporca; in qualche caso, attrae e si crea una specie di legame speciale tra chi dipinge e chi guarda.
Quel segno veloce e figurativo dei fuggiaschi mi resta in testa e mi sembra possa avere qualcosa in comune con quello che vedo sull’annuncio di una delle iniziative in corso alla Porta degli Angeli per “Algorithmic”, il progetto di esposizioni, musica e performance ideato da Andrea Amaducci che fino al 31 maggio 2017 fa convivere creatività diverse. Vado alla mostra, nella torretta di guardia sulle mura in fondo a corso Ercole d’Este, sperando di ritrovare quel segno lì. Non è lui, però, l’autore del volto che compariva su una locandina (opera di un ragazzo che frequenta il liceo artistico Dosso Dossi di Ferrara, che non c’entra nulla coi fuggiaschi appesi nei vicoli di Ferrara). La visita si rivela comunque fruttuosa. Chiacchierando tra le mura che ospitano i giovani artisti, scopro l’identità dell’autore di quei disegni. “Dev’essere Alessandro Brome”, mi dicono.

Appena a casa, vado a guardare sul suo profilo Fb ed eccolo: una faccia espressionista e ancora più informale è usata come immagine del suo profilo sul social network. Digito lo stesso nome su Instagram e con mia grande soddisfazione mi escono altre facce e schizzi tracciati indiscutibilmente dalla stessa mano. Un volto mostruoso fa pensare a quello dei Giardini di Bomarzo, in particolare mi ricorda la fotografia fatta nel dopoguerra da un grande reporter della Magnum, Herbert List. Là il faccione di pietra inghiottiva un pastore che aveva invaso il meraviglioso parco dei mostri con le sue pecore. Qui il dipinto sembra stia per inghiottire il suo autore, immortalato nell’atto di realizzare l’opera sui muri del magazzino dell’ex Mof, in Rampari di San Paolo a Ferrara.

Alessandro Brome nel parcheggio del magazzino ex Mof, Ferrara
Uno dei mostri del giardino di Bomarzo fotografato da Herbert List nel 1952

L’indole espressionista e sofferta del segno fa pensare a Egon Schiele (1890-1918) e il paragone – a un secolo esatto di distanza – trova particolare conferma in uno schizzo che lui ha postato proprio su Instagram: un uomo e una donna stretti uno all’altra e realizzati con un segno grondante d’inchiostro. La didascalia dice “Unione” e ricorda un sacco la tensione de “L’abbraccio” realizzato cento anni prima (1917) dall’artista austriaco.

“Unione” di Alessandro Brome su Instagram
“L’abbraccio” di Egon Schiele, olio su tela, 1917, Osterreichische Galerie di Vienna

Il nome di Brome compare tra quello dei graffitisti censiti dalla “Ferrara street map”, il progetto di schedatura degli autori di graffiti e murales attivi in terra ferrarese, realizzato dal Servizio Giovani del Comune di Ferrara col sostegno della Regione Emilia-Romagna e messo in rete. Lì si vede che è opera sua quella specie di testa di Minotauro sulla staccionata del cantiere attorno alla palazzina in ristrutturazione che dal parcheggio ex Mof di via Darsena si affaccia su corso Isonzo.

Testa di minotauro di Alessandro Brome sui pannelli dell’impalcatura davanti all’edificio del parcheggio ex Mof (sito web Ferrarastreetart)

Visto che Alessandro Brome è sui social, provo a vedere se c’è qualche informazione in più. In realtà no. Allora provo a chiederglielo con un messaggio.

Domande e risposte su Instagram

Ciao. Belle le cose che fai. Da quanto tempo dipingi?
“Dipingo da quando ho sei anni, ma su muro dal 2008. Ho iniziato a farlo con un altro mio amico, che come me dipinge ancora mischiando due stili differenti”.

Quanti anni hai?
“Ventisei”.

Quindi disegni da vent’anni ininterrottamente…?
“Si può dire di sì, ma è poco tempo che lo faccio visibilmente al pubblico. Sono sempre rimasto un po’ al di fuori di tutto”.

Lo facevi solo per te, come cosa che ti veniva da esprimere.
“Sì, esatto. All’inizio sì. Una sorta di gavetta o forse anche una sensazione di non sentirsi pronto o maturo, ecco”.

Hai fatto l’Accademia o qualcosa del genere?
“Mai fatto scuole artistiche, ma è sempre stata una passione mia. Avevo uno zio pittore in Toscana che dipingeva ad olio questi volti. E probabilmente da lì è nato tutto lì”.

Faceva volti così, tuo zio pittore?
“Sì, non proprio così, in realtà. Ma sicuramente mi ha influenzato. E’ stato lui a regalarmi tempere e pennelli da piccolino”.

Quali sono gli artisti che ami di più?
“Non ho artisti preferiti in generale, nel senso che seguo tanti artisti e stili anche diversi appunto per cercare di migliorarmi sempre di più (ci si prova) ma apprezzo tanto l’astratto quanto come il figurativo. Amo il bianco e nero uso pochi tipi di altri colori. Sto provando ad andare su questa strada”.

Hai un modo di disegnare quasi da espressionista tedesco, mi ricorda i disegni di Schiele.
“Beh grazie, lo prendo come un grosso complimento”

Nella vita oltre all’arte che fai? Lavori? Studi?
“Lavoro, faccio l’artigiano in giro per la città ma ho uno studio con altri ragazzi tra cui anche Paolo (Psiko) dove tutti i giorni ci troviamo per dipingere insieme confrontarci”.

I volti sono la cosa che hai sempre disegnato di più o sono solo la cosa che ti interessa in questo momento?
“I volti sì, li ho sempre disegnati negli anni, poi ovviamente sono cambiati. Otto anni fa ho iniziato a dipingere per strada facendo scritte per poi praticamente abbandonarle”.

Non ti interessano più?
“Sì, al momento non mi interessano senza un vero motivo. Però sento che è il figurativo la mia strada. E’ quello che voglio continuare a fare e valorizzare”.

Dove lavori di più: su carta, tela, muri?
“La carta la uso solo per bozze veloci… In questo momento sto preparando 5-6 tele da esporre un po’ qua a Ferrara e forse anche qualcosa fuori, ma senza fretta. Alterno sia muro che tela in base ai tempi a disposizione, che non sono così tanti causa lavoro. Quindi dipingo tempo permettendo. Comunque uso sia le tele sia il muro, in poche parole”.

Dipingere per te è anche un modo per mandare messaggi critici rispetto alle cose che vedi in giro, che senti intorno?
“Innanzitutto è un modo per sfogarmi, perché se non lo faccio non sto bene, mi libera in senso buono, ma è tutto. Si può dire che c’è tanto di ciò vedo intorno a me, ma soprattutto ciò che ho dentro la mia testa e che quindi devo tirare fuori in qualche maniera. Non intrigo politica o proteste, onde evitare la libertà di pensiero al di fuori di questo contesto. E’ qualcosa di “sano” e bello per me,  sperando che la apprezzi sempre di più questo mondo, la gente”.

Ultima cosa che ti volevo chiedere è sulla musica. Cosa ti piace? ascolti musica quando dipingi?
“Sì, sì, la musica è importantissima per me. Ascolto di tutto, ultimamente jazz, hip hop sperimentale, ma di tutto. Amo la musica”.

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Giorgia Mazzotti

Da sempre attenta al rapporto tra parola e immagine, è giornalista professionista. Laurea in Lettere e filosofia e Accademia di belle arti, è autrice di “Breviario della coppia” (Corraini, Mantova 1996), “Tazio Nuvolari. Luoghi e dimore” (Ogni Uomo è Tutti Gli Uomini, Bologna 2012) e del contributo su “La comunicazione, la stampa e l’editoria” in “Arte contemporanea a Ferrara” sull’attività espositiva di Palazzo dei Diamanti 1963-1993 (collana Studi Umanistici Università di Ferrara, Mimesis, Milano 2017). Ha curato la mostra “Gian Pietro Testa, il giornalista che amava dipingere”

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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