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Nell’introdurre l’incontro “Erdoğan piglia tutto. Democrazia, minoranze, Europa. Tutte le sfide del presidente”, Marco Ansaldo, inviato speciale di Repubblica per il Medio Oriente, traccia un breve e chiaro profilo della Turchia odierna: “E’ un Paese che negli ultimi anni si è avvicinato all’Europa, ma che sta prendendo derive sempre più autoritarie. Nei fatti degli ultimi giorni gli occhi del mondo sono puntati sulla Turchia perché rappresenta un caso: la testa di ponte che può fermare l’Isis.”

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L’incontro alla Sala Estense, gli ospiti

Ansaldo è tornato qualche giorno fa dalla Turchia, e dice di aver trovato un Paese molto diviso, “con dinamiche che portano ad un’accelerazione delle istanze islamiche; un’opposizione frammentata e divisa, che non riesce ad esprimere un’alternativa politica, ossia un leader politico da opporre a Erdogan. Per quanto riguarda la lotta all’Isis, il governo sembra avere un atteggiamento ambivalente: dopo il viaggio negli Usa della settimana scorsa, Erdogan sembrava deciso a partecipare alla lotta contro l’Isis: due giorni fa il parlamento di Ankara aveva ha approvato la missione militare per fermare l’avanzata degli jaidisti dell’Isis a Kobané (città al confine con la Turchia), ma in pratica non ha fatto nulla, Kobané è stata presa, con il conseguente esodo di circa 160.000 civili curdi oltre il confine, ma Ankara ha rifiutato di assistere i miliziani dello Ypg (Unità di difesa del popolo curdo), in quanto imparentato con il Pkk, considerato gruppo terroristico.”
Questo il quadro, che spiega bene la scelta del titolo dell’incontro “Erdogan pigliatutto”: è un leader indiscusso che ha il 50% dei voti, guida il Paese da dodici anni con un governo monocolore autoritario, ma aspira ad entrare nell’Unione europea; dice di voler collaborare con la Comunità internazionale per fermare Assad, ma da tre anni permette l’ingresso dei miliziani armati che dalla Turchia si inseriscono in Siria.

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Pinar Selek

Ansaldo comincia l’intervista da Pinar Selek, non solo perché è donna ma anche perché è delle ultime ore una notizia che la riguarda direttamente, l’unica buona notizia dalla Turchia da diverso tempo: il tribunale penale di Istanbul ha ordinato il ritiro della richiesta del carcere a vita nei confronti della sociologa e attivista turca rifugiata in Francia (e non il ritiro del mandato d’arresto, come si legge erroneamente sui giornali italiani). Pinar Selek, è perseguitata da 16 anni dalla giustizia turca, che l’accusa di aver partecipato a un attentato nel 1998, accusa che l’interessata smentisce categoricamente.

A Pinar Ansaldo chiede “Che fine ha fatto il movimento spontaneo di Gezy Park del 2013, voce del dissenso contro il regime, represso con la violenza e con un bilancio di otto morti?”. Pinar si dice subito ottimista, e colpisce per l’incredibile energia e passione, sembra stia parlando in una piazza davanti a centinaia di manifestanti: “I movimenti non si sono spenti. Nonostante il contesto repressivo influenzi moltissimo le attività, i movimenti di contestazione si muovono in un meccanismo dinamico. In realtà, questa deriva autoritaria a noi non ha fatto molto effetto, siamo abituati a questo tipo di regime. Il fatto che Erdogan abbia oscurato l’informazione e tolto YouTube non ci stupisce e non ci spaventa, troveremo altre strade. Dovete immaginare la Turchia immersa in un contesto di Paesi, come l’Iraq e la Siria, che vivono da decenni nella repressione e nel terrore. Come movimenti sociali abbiamo sempre dovuto adattarci, fin dagli anni ’80. E anche oggi, gli spazi militanti che ci stiamo ritagliando stanno operando degli adattamenti tattici. Proprio “grazie” alla repressione di Gezy Park, si sono costruite nuove alleanze, come con le minoranze curde e armene, con le femministe, ecc. e stiamo costruendo delle reti di militanti, anche a livello internazionale. Dai movimenti non bisogna aspettarsi che portino tutto e subito, sono meccanismi più incontrollati rispetto a quelli della politica dei partiti, ma io credo possano portare a risultati importanti nei prossimi anni.

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Ahmet Insel

Ahmat Insel, economista e politologo turco, completa l’analisi di Pinar su cosa ne è rimasto del movimento di Gezy Park: “Non bisogna attendersi che dal movimento di Gezy Park nasca un partito. E’ molto difficile, anche perché il nostro è un sistema elettorale con uno sbarramento del 10%: dall’82, dopo il colpo di Stato del generale Ahmet Kenan Evren, un partito per presentarsi deve avere il 10 % dei voti, soglia altissima. Se una traccia l’ha lasciata, dal punto di vista più prettamente politico, è stata la candidatura del leader curdo Selahattin Demirtas, accreditato con il 10 per cento, candidatura che sarebbe stata impossibile fino a pochi anni fa, ma che è stata possibile grazie all’attività dei tanti movimenti sociali che l’hanno sostenuta. Oggi il sistema di governo della Turchia è un ossimoro: è sulla via della democrazia, gli ingredienti ci sono tutti, la partecipazione è molto elevata, è all’85%, le elezioni non sono truccate. Eppure vediamo che non si tratta di democrazia. In realtà è un caso tipico di autoritarismo democratico, simile all’Ungheria odierna, ad alcuni Paesi dell’America latina. Il problema è come sciogliere questo nodo con strumenti democratici. Il problema principale è che gran parte della società, la più conservatrice e arretrata, ha paura di se stessa perché la Turchia ha una storia piene di violenze, di scontri etnici e religiosi, e non c’è mai stato un lavoro di memoria che potesse sciogliere i nodi più controversi e dolorosi, come invece hanno fatto, per esempio, l’Italia e la Germania. C’è un travaglio fortissimo sull’identità turca. E lo stesso governo sta vivendo una sorta di schizofrenia rispetto alla realtà: vuole entrare nell’Ue, questo è uno dei primi punti nell’agenda politica, ma allo stesso tempo vuole mantenere la forma di governo autoritaria che ha ereditato dalla storia.”

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Cengiz Aktar

Con Cengiz Aktar, Ansaldo affronta proprio la questione dell’entrata della Turchia nell’Unione europea, dal 2005 il Paese è ufficialmente candidato ad entrare nell’Ue. “L’attualità non è incoraggiante, ma ci tengo a ricordare che Erdogan non è sempre stato così. La prima vittoria del 2002 era stata una sorpresa politica senza precedenti, perché per la prima volta si affermava un Islam politico innovativo. Il governo ha varato molte riforme in senso democratico, tanto da indurre i Paesi dell’Ue, Francia e Germania in primis, a riconoscere questa straordinaria apertura e ad invitarlo a farne parte. La presenza di Erdogan è quindi stata utile al processo europeo, e viceversa la candidatura è stata utile alla democratizzazione della Turchia: la società civile si è veramente avvantaggiata con questo slancio di modernizzazione, basti pensare all’abolizione della pena di morte, e al riconoscimento dell’eccidio degli Armeni. E Gezy Park è stata la quintessenza di questo slancio, tanto da dimostrarsi forte abbastanza per affrontare il regime quando si è rovesciato nell’autoritarismo. Indubbiamente si riscontra una grande difficoltà del sistema a democraticizzarsi, ma la società turca sta facendo molto in questo senso, figure come Pinar Selek e Ahmet Insel hanno aperto un dibattito importantissimo, grazie al quale i turchi che potranno finalmente conoscere la grande complessità della storia e del Paese in cui vivono. ”
Alla domanda del moderatore, che chiede se i turchi vogliono veramente entrare in Europa, nonostante ora non se la passi proprio bene, Aktar risponde: “I turchi sono ancora favorevoli all’entrata nell’Ue, ad un sondaggio di due settimane fa il 50% della popolazione ha votato “sì.” Ma – continua – la domanda dovrebbe essere un’altra: l’Unione europea potrebbe procedere nel suo percorso senza la Turchia e altri Paesi dei Balcani e del Mediterraneo, correndo il rischio di vedere scoppiare conflitti come, ne cito solo uno, quello tra Romania e Ungheria che stava scoppiando nel ’94? Io credo che la pace e la stabilità abbiano un prezzo, ma che sia necessario garantirle. La politica dell’ampliamento, a mio avviso, è una delle politiche di maggior successo dell’Unione europea.

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Sara Cambioli

È tecnico d’editoria. Laureata in Storia contemporanea all’Università di Bologna, dal 2002 al 2010 ha lavorato presso i Servizi educativi del Comune di Ferrara come documentalista e supporto editoriale, ha ideato e implementato siti di varia natura, redige manuali tecnici.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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