“Mia madre…ha fatto di tutto, lei, per farmi campare, è il nascere che non ci voleva. …Durante la giornata non c’era da stare allegri. Ricevevo più ceffoni che sorrisi, in bottega. Chiedevo perdono a proposito e a sproposito, ho sempre chiesto perdono di tutto….Soltanto una cosa avevamo in comune nella nostra famiglia, l’angoscia della pagnotta. Un’angoscia enorme. Fin dal mio primo vagito, io l’ho sentita. L’anima, per noi, era la tremarella. In ogni stanza, la paura di non farcela trasudava dalle pareti…” E’ un estratto da “Morte a credito”, di Louis Ferdinand Cèline, un luogo letterario senza scampo, in cui anche morire non è gratis.
Nei prossimi mesi (non dico anni solo per una irragionevole botta di ottimismo) un numero imprecisabile ma imponente di persone e di aziende, concetti che in alcuni casi coincidono, si troverà senza soldi. Sospetto infatti (per una ragionevole botta di pessimismo) che i soldi a fondo perduto dell’Unione Europea saranno a disposizione quando le nostre tasche saranno già vuote da un pezzo.
Però ci sono le banche, potrebbe dire qualcuno. Se hai bisogno di carne vai dal macellaio, se hai bisogno di frutta vai dal fruttivendolo. Se hai bisogno di soldi vai in banca, anche perché con i soldi della banca puoi andare ancora dal macellaio, altrimenti ti tocca diventare vegano per forza, che non è chic come sceglierlo.
Sfortunatamente, le banche ti danno soldi quando si verificano due condizioni, una specifica e una generica.
La specifica ti riguarda, ed è se la banca ha ragionevoli speranze che tu glieli possa ridare. La generica riguarda tutti, te compreso, ed è se la banca ha abbastanza patrimonio per prestare soldi. (NdA: la presente nota prescinde dai numerosi casi di malagestio bancaria, in cui soldi sono stati dati per ragioni di clientela anche se non c’erano i requisiti. A Ferrara ne sappiamo qualcosa).
Sotto questo profilo, i rigidi requisiti di patrimonio richiesti alle banche dalla normativa europea non avranno determinato, ma indubbiamente hanno favorito, negli anni della crisi 2008 e seguenti, l’alimentarsi di un gorgo: aumentano le sofferenze bancarie (i crediti non più restituiti alla banca), aumentano gli accantonamenti di bilancio a presidio dei crediti che vanno svalutati (in quanto non verranno incassati, in tutto o in parte), diminuisce il patrimonio disponibile.
Risultato finale: diminuisce il nuovo credito erogato a famiglie e imprese. Proprio quando famiglie e imprese ne avrebbero più bisogno, il che assomiglia allo spaccarsi una gamba il giorno di Natale, alla rottura del condizionatore il giorno di Ferragosto, o alla famosa scenetta di Totò cui il direttore di banca chiede quanti soldi può mettere a garanzia del prestito che sta chiedendo. Questo è il famoso credit crunch.
C’è una speranza di invertire la direzione del gorgo, o almeno di indebolire la corrente del mulinello che ci trascina a fondo. Una speranza teorica, ma sicuramente meglio di un calcio nel sedere. Memore di quanto successo dalla crisi Lehman Brothers – mutui subprime in avanti, ma soprattutto consapevole che la crisi Covid è una crisi di sistema, la Commissione Europea ha proposto modifiche di legge ai requisiti minimi di patrimonio per le banche. Le più importanti sono due.
La prima: se un prestito o un fido diviene deteriorato, ma è garantito da ente pubblico (SACE, CDP, MCC), per i primi sette anni la banca non deve accantonare somme a bilancio per quella esposizione. Zero.
La seconda: viene richiesta minore ponderazione del rischio per i prestiti garantiti dalla cessione del quinto di stipendio o pensione.
Queste due misure dovrebbero per un verso impedire il blocco del nuovo credito a causa del (sicuro) aumento del credito deteriorato, e per l’altro favorire il credito al consumo. La Commissione Europea ha inoltre “raccomandato” alle banche di non aumentare gli accantonamenti tout court all’aumentare dei ritardi nei pagamenti, ma di partire dall’assunto che tali ritardi(così come le moratorie deliberate sui mutui) saranno temporanei, e che quindi la probabilità di default a lungo termine non cambia.
E’ chiaro che l’azione combinata di questi provvedimenti (le emende di legge necessitano del concorso di Commissione, Parlamento e Consiglio Europeo) mira a sterilizzare il secondo elemento della catena viziosa, cioè l’aumento degli accantonamenti a bilancio delle banche.
E’ altrettanto chiaro che le banche, salvo eccezioni, sono società per azioni private, e tutta questa corrente elettrica data all’albero (la catena della liquidità) non fa automaticamente brillare le lucette dei rami (le banche) come se fosse la Vigilia di Natale. Tuttavia trasmette il segno di una consapevolezza che si tradurrà, speriamo, nel fatto che almeno qualche bastone tra le ruote delle banche, e di conseguenza delle famiglie e delle imprese, verrà rimosso.
Resta l’enorme problema dei tempi di messa a regime di tutto questo, e della necessità assoluta, per una fascia importantissima della società, di affiancare a queste misure anche l’accesso a sovvenzioni, vale a dire denaro senza obbligo di restituzione. Un regalo solo in apparenza, in realtà un salvacondotto per il sistema contro l’ulteriore penetrazione della criminalità e contro l’esplosione della ribellione per fame.
In copertina: elaborazione grafica di Carlo Tassi
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Nicola Cavallini
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani
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