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Nella vita, sarà capitato a tutti di notarlo, certe parti in commedia sono più agevoli di altre, ci si cala in un attimo e con grande con facilità nel personaggio con la recitazione che immediatamente esce fluida e naturale, quasi senza bisogno di leggere il copione. Altre invece sono tremendamente più difficili e si preferirebbe lasciarle ad altri. D’altra parte siamo un popolo di commedianti e da noi la recita a soggetto è un elemento caratterizzante dell’identità nazionale, tant’è che neanche i grandi attori la disdegnano quando capita, in cui ognuno oltre a quello che pensa di questo o di quell’argomento mette in mostra se stesso, per quello che è o, soprattutto, vorrebbe essere. I personaggi sono più o meno quelli classici: il tipo sempre pronto a menare le mani, il presuntuoso Balanzone di turno, i servi più o meno sciocchi, i cavalieri senza paura e senza macchia. Nel dibattito andato in scena nei social network sulla crisi greca, tema per sua natura carico di suggestioni, li abbiamo visti tutti: schierati sia da una parte che dall’altra, ognuno vestendo i panni della propria maschera, ingaggiare lotte senza quartiere ed esclusione di colpi coi nemici.
Alcuni ruoli si addicono a ciascuno di noi meglio di altri: in questo caso sparare ad alzo zero contro l’egoismo cieco dei più ricchi, la rapacità dei banchieri e la grettezza e la scarsa lungimiranza dei politici, descrivendo a tinte forti le condizioni di disagio in cui vive una parte del popolo greco, è una parte in cui molti si sono calati; spesso anche a ragione, finché almeno non venivano superati i limiti del buon senso. Perché è fuor di dubbio che le condizioni imposte alla Grecia, forse più ancora nella forma che non nella sostanza, hanno in sé una valenza punitiva del tutto ingiustificata, che va persino oltre la logica spietata degli affari: una sorta di vendetta compiaciuta da parte delle formiche operose sulle cicale irriverenti e scialacquatrici.
C’è tuttavia nel repertorio della nostra commedia anche la figura del bastian contrario, colui cioè che spesso per solo puntiglio, ma altre volte con piena ragione (almeno così capita nelle storie), contrasta il punto di vista prevalente e ne mette in luce le contraddizioni. Devo dire che da un po’ trovo che quel ruolo mi si addica, più di quello del capitan Fracassa o del Balanzone, che semmai in altre fasi della vita mi hanno attratto maggiormente. Senilità incipiente, dirà qualcuno brandendo una clava e forse non del tutto a torto. Però se è pur da esecrare l’insensibilità delle formiche, oltretutto fin troppo attente a curare i propri interessi, è necessario che anche le cicale ammettano senza infingimenti che con il loro stile di vita non si passa l’inverno. Che le riforme vanno fatte, non solo perché lo chiedono i creditori, ma perché altrimenti non si costruisce una società moderna. Vanno perciò non solo sfamate, ma anche aiutate a mutare le loro abitudini per quel tanto che è necessario a non dover contare in eterno sulla pubblica carità, che è il nome che dopo un po’ assume la solidarietà nei confronti di chi non fa nulla per aiutarsi.
C’è invece chi, forse preso dalla foga e dall’enfasi retorica, è sembrato considerare il sistema greco quasi come un esempio ed un modello virtuoso da difendere di fronte agli attacchi della bieca finanza neoliberista. Un sistema, ricordiamolo, che è la causa principale di una situazione economica insostenibile: debito pubblico alle stelle, pubblica amministrazione inefficiente ed ipertrofica, legislazione fiscale incongrua, welfare e sanità sperequati. Il tutto in un contesto caratterizzato da un’industria quasi inesistente, un’agricoltura spesso arretrata ed un turismo sì sviluppato, ma che grazie alla fiscalità di favore ed all’evasione non contribuisce quanto potrebbe alle casse pubbliche.
E’ però fuor di dubbio che in tutto questo l’Europa ha brillato per la propria assenza, priva com’è di strutture istituzionali in grado di assumere decisioni sulle questioni più importanti. Se il Parlamento europeo non ha avuto modo di esprimersi sulla vicenda greca e se la Commissione ha svolto un semplice ruolo da notaio, ciò non è dovuto ad un golpe messo in atto da Angela Merkel e dal suo luciferino ministro dell’economia, ma al semplice fatto che questi organismi non hanno praticamente alcuna voce in capitolo. Se non si scioglie questo nodo, riprendendo cioè le fila del processo di integrazione politica interrotto dalla bocciatura nel 2005 della bozza di costituzione europea, è ben difficile poter immaginare da parte dei governi europei e, soprattutto, dei partiti che li sostengono comportamenti che non siano condizionati pesantemente dalle loro ripercussioni nella politica interna dei rispettivi Paesi. In una fase come quella attuale che vede una crescita impetuosa un po’ in tutta Europa di movimenti e partiti anti Ue e anti euro e con elezioni alle porte in alcuni paesi era ragionevolmente difficile aspettarsi qualcosa di diverso. Se c’è tuttavia un piccolo risvolto positivo in questa vicenda è che questa necessità sia stata toccata con mano anche da chi fino a ieri riteneva che il mercato e gli accordi di Maastricht fossero sufficienti per governare l’Europa.
Nota a margine. Bisogna smettere di addebitare determinate scelte “ai tedeschi” e non al governo che regge la Germania in questo momento. La differenza non è da poco e sarebbe meglio che, al contrario di quanto è successo in questi giorni, non si manifestassero altri rigurgiti di astio anti-tedesco: rinfocolare l’odio fra i popoli in Europa non credo faccia bene a nessuno. Oltretutto, ci sono milioni di tedeschi che disapprovano il comportamento del loro governo.

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Raffaele Mosca


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

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Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

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