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I Greci ne erano maestri tanto da non poterne fare a meno. Dopo la pratica ritualizzata del banchetto, durante il quale si mangiava insieme condividendo il cibo e socializzando anche con chi non si conosceva, era tradizione avviare il momento del simposio, culmine di piacere e trasmissione di conoscenza.

Ma in Italia le cose andavano diversamente. Gli aristocratici etruschi, a partire dal VII secolo a. C., furono toccati con profondità dalle attività simposiali in uso nelle non distanti città greche. E’ soprattutto grazie alle ceramiche attiche raffiguranti scene di simposio che gli Italici poterono apprendere le caratteristiche di questa particolare usanza orientale. Talvolta, però, quando una civiltà impianta nel proprio mondo costumi inizialmente estranei, accade che le novità siano reinterpretate e adeguate al nuovo contesto. Per questo i simposi etruschi iniziarono sin da subito a differenziarsi sempre più dagli originali greci, fino a determinare il classico cliché greco e romano dell’etrusco dedito alla mollezza dei costumi.

In Etruria, infatti, anche le donne avevano un proprio ruolo all’interno del simposio, il quale piuttosto che concentrarsi su politica e filosofia dava maggiore spazio a giochi, musica e spettacoli. Centrale era il consumo di vino, attorno al quale esisteva una vera e propria ritualità, eredità questa tipicamente greca. L’inebriante bevanda, naturalmente, veniva servita e bevuta miscelata con l’acqua, così come in Grecia, dove si riteneva che solo i barbari bevessero il vino puro. A seconda dell’anfora che lo trasportava, inoltre, era possibile riconoscerne l’origine e dunque la qualità, ma in qualunque caso fu proprio il vino a permettere l’iniziale diffusione dello stile di vita ellenico.

Il simposio etrusco, che si svolgeva all’aria aperta, costituiva l’occasione migliore per ostentare la propria ricchezza, attraverso le suppellettili utilizzate, le vesti indossate e gli ornamenti esibiti. Svolgendosi rigorosamente di sera, non poteva mancare l’illuminazione dei candelabri bronzei, simbolo anche di luce nell’eternità, in una atmosfera profumata da essenze bruciate negli incensieri. Quasi come sottofondo per le varie attività possibili, dalle recitazioni ai giochi da tavolo, era senza dubbio la musica, suonata da flauti, cetre e crotali, compagna significativa per gli Etruschi in diversi momenti della vita quotidiana. Già gli autori della classicità ci testimoniano il ricco panorama sonoro che dipingeva il mondo etrusco, forse addirittura senza eguali nei secoli. Ad avere un accompagnamento musicale erano anche le semplici azioni di tutti i giorni, come preparare i pasti o frustare la servitù. Per non parlare della caccia: gli Etruschi, avvalendosi di dolci melodie suonate da strumenti a fiato, erano in grado di catturare gli animali facendoli cadere nelle trappole. Ma alcuni vasi conservati dal Museo Archeologico Nazionale di Ferrara nel Palazzo Costabili ci raccontano un’altra storia. Spina ha fornito ai nostri archivi molti recipienti con una iconografia musicale risalenti al V e IV secolo a. C., che essendo di provenienza elladica ci mostrano vari contesti di musicalità in Grecia, lì attestata sin da prima dei Micenei.

Se in Etruria padana ci si divertiva con il ‘còttabo’ (un gioco a carattere augurale usato anche per trarre presagi) è perché anche i Greci vi giocavano durante i simposi, con un sottofondo suonato e danzato. Non era infatti necessario un grande impegno mentale: si dovevano scagliare contro un bersaglio, con il polso, le ultime gocce di vino rimaste nella coppa, e chi vinceva poteva accaparrarsi lauti premi di gola o persino piaceri sessuali.

Mito e musica furono da sempre profondamente intrecciate nella storia greca, basti considerare l’arcaica epica omerica, testimone di canti mitici rielaborati e riproposti da cantori che li interpretavano generalmente a suon di lira. L’innovazione nell’arte inventata da Orfeo proseguì poi con la lirica monodica e corale: la musica non era più appannaggio dei professionisti, ma entrò di buon grado nel sistema educativo, fino a sfociare nel celebre teatro greco. L’audace fantasia del mito greco e l’innata giovialità dell’animo italico sono concentrate e compresenti nei reperti di Spina, costretti da allora in un silenzio che non gli appartiene del tutto.

 

Museo Archeologico Nazionale di Ferrara
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Ivan Fiorillo

“Lo Scettico”: un divulgatore non convenzionale alla ricerca della verità.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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