Presto di mattina /
Una pace disarmata e disarmante
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Presto di mattina. Una pace disarmata e disarmante
“Iddio non si dà pace”
«Odo la primavera nei rami neri indolenziti. Si può seguire solo a quest’ora, passando tra le case soli con i propri pensieri. È l’ora delle finestre chiuse, ma questa tristezza di ritorni m’ha tolto il sonno. Un velo di verde intenerirà domattina da questi alberi, poco fa quando è sopraggiunta la notte, ancora secchi.
Iddio non si dà pace. Solo a quest’ora è dato, a qualche raro sognatore, il martirio di seguirne l’opera»
(G. Ungaretti, Vita d’uomo. Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1996, 93).
“Iddio non si dà pace”, e con lui alcuni che credono nel suo sogno, a cui è dato testimoniarne l’opera: «Benedetti coloro che non affidano la pace alla forza militare né l’onestà al potere della legge né la giustizia alla rivolta della violenza: preparano una terra non divisa da confini né frantumata da razze e ideologie ma radunata nell’unica fraternità umana» (Umberto Vivarelli).
“Iddio non si dà pace”, lo stesso ha detto in altro modo papa Leone nel primo saluto, accorato e commosso, in piazza San Pietro nel vespero primaverile della sua elezione: «La pace sia con tutti voi!».
«Ma dall’esilio ci libererà/ L’ostinato mio amore»
(ivi, 311)
Un fiume carsico è questa ostinazione per la pace, questo amore fuggiasco che continua a scorrere sotto il terreno di un’umanità violenta che si presenta alla superfice devastata, come è un paesaggio arido, desolato, con distese di roccia nuda, solchi e depressioni, doline e inghiottitoi insidiosi solchi e rocce affilate, camminamenti di trincee reticolate come sul Carso durante la Grande Guerra.
Scorre pace nei sotterranei di questa umanità che si illude, direbbe ancora Ungaretti, di eliminare “la guerra con la guerra”, e così gli uomini continuano a fare “la fila dietro le bubbole”: «Posso essere un rivoltoso, ma non amo la guerra. Sono, anzi, un uomo della pace. Non l’amavo neanche allora, ma pareva che la guerra s’imponesse per eliminare finalmente la guerra. Erano bubbole, ma gli uomini a volte s’illudono e si mettono in fila dietro alle bubbole» (ivi, 521).
L’etimologia ricorda cose gonfiate e inconsistenti, inventate ad arte per ingannare, truffare. ‘Bubbolare’ è anche un verbo che i senesi usano per indicare il brontolare del tuono, mentre per i latini riecheggiava il verso cupo del gufo nella notte.
Una pace disarmata e disarmante
«La pace sia con tutti voi! Questa è la pace del Cristo Risorto, una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante. Proviene da Dio, Dio che ci ama tutti incondizionatamente».
Come a dire: «Il Crocifisso è l’uomo nuovo. È il povero, il mansueto che ha fame e sete di giustizia, il misericordioso, il perseguitato a causa della giustizia, colui che fa la pace. E ha iniziato la nuova storia» (U. Vivarelli, La cattedra dei poveri, 107).
Papa Leone ha così voluto sottolineare l’innesto, l’inclusione della pace di tutti nel mistero pasquale; la sua stessa e universale aspirazione, la sua ricerca e l’impegno per essa, radicati e fondati nella risurrezione del Cristo.
Ha ricordato a tutti come la Pace sia per il Risorto, come dovrebbe essere per noi, un’ostinazione. Gridarne il nome anche quando sembra inascoltato.
Quella sera, alla televisione mi è così ritornato in mente un episodio narrato negli Atti degli Apostoli, il discorso di Paolo agli Ateniesi. Piazza San Pietro come l’Agorà di Atene; e come Paolo anche Leone XIV ha voluto svelare il nome inciso sull’ara dedicata “a un Dio ignoto”, come il Dio della pace, quel «Dio della pace che ha fatto tornare dai morti il Pastore grande delle pecore» (Eb 13, 21).
Molti all’annuncio di Paolo circa la risurrezione lo lasciarono dire e se ne andarono; solo pochi rimasero ad ascoltare. Non diversamente, anche all’annuncio di una “pace disarmata e disarmante” da parte del papa molti se ne saranno andati dicendo «Su questo ti sentiremo un’altra volta» (At 17, 21). E tuttavia un manipolo di umanità irriducibile, ostinata, non si darà pace per la pace.
Sono coloro che hanno uno sguardo samaritano. Il loro vedere non è estraneo, indifferente, distante ma si fa vicino, fissa e si concentra per trovare un varco ed entrare in relazione per una causa comune: l’uomo, la sua dignità. Sono coloro che considerano l’umanità dell’altro come la propria e praticano una cultura samaritana, al plurale, in relazione a una collettività, a un ‘noi’, che può immetterci nella pace come futuro.
Non è “un’utopia spirituale”
La pace è una casa da costruire dentro ogni comunità cristiana. Per questo occorrerà avviare un’educazione, una fase si apprendimento con percorsi di pace nelle parrocchie e nelle unità pastorali. Al centro dell’evangelizzazione sta il vangelo della pace, come al centro del vangelo e della pastorale stanno i poveri: due polarità, un’ellisse che deve ispirare, guidare e attuare il cammino della fede dei cristiani.
Non è questo solo un auspicio, ma proprio l’orientamento chiesto con fermezza e non più differibile da papa Leone, la linea che egli ha impresso al cammino della Chiesa italiana nell’udienza ai vescovi il 17.06.2025.
Una cattedra per la pace
Il testo del papa suona come un invito a disporre percorsi di educazione alla nonviolenza nelle diocesi, iniziative di mediazione nei conflitti, progetti di accoglienza che “trasformino la paura dell’altro in opportunità di incontro”. Istituire finalmente una cattedra della pace, ma non accademica, rinchiusa in qualche ateneo, bensì itinerante in ascolto dei testimoni lungo la via, affinché ogni comunità diventi “casa della pace”.
Anche questo testo indirizzato ai vescovi come quello scritto per la Giornata dei poveri (17 novembre) lo sento decisivo, tanto da volerlo porre a tema del discernimento e delle riflessioni dei nostri consigli pastorali e strumento per supportare l’educazione alla pace nei nostri centri di ascolto Caritas.
Papa Leone ricorda ai vescovi italiani che «la relazione con Cristo ci chiama a sviluppare un’attenzione pastorale sul tema della pace. Il Signore, infatti, ci invia al mondo a portare il suo stesso dono: “La pace sia con voi!”, e a diventarne artigiani nei luoghi della vita quotidiana.
Penso alle parrocchie, ai quartieri, alle aree interne del Paese, alle periferie urbane ed esistenziali. Lì dove le relazioni umane e sociali si fanno difficili e il conflitto prende forma, magari in modo sottile, deve farsi visibile una Chiesa capace di riconciliazione. L’apostolo Paolo ci esorta così: “Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti” (Rm 12,18); è un invito che affida a ciascuno una porzione concreta di responsabilità.
Auspico, allora, che ogni Diocesi possa promuovere percorsi di educazione alla nonviolenza, iniziative di mediazione nei conflitti locali, progetti di accoglienza che trasformino la paura dell’altro in opportunità di incontro. Ogni comunità diventi una “casa della pace”, dove si impara a disinnescare l’ostilità attraverso il dialogo, dove si pratica la giustizia e si custodisce il perdono. La pace non è un’utopia spirituale: è una via umile, fatta di gesti quotidiani, che intreccia pazienza e coraggio, ascolto e azione. E che chiede oggi, più che mai, la nostra presenza vigile e generativa».
La persona è relazione e mistero
Queste le coordinate per la Chiesa italiana: «Annuncio del Vangelo, pace, dignità umana, dialogo». E pure, in questa casa del vangelo della pace, molteplici sono le sfide da affrontare per la promozione e la difesa della dignità umana. È infatti in atto un processo di trasformazione sia della percezione come dell’esperienza della vita umana grazie all’intelligenza artificiale, alle biotecnologie, all’economia dei dati e ai social media. Il rischio è l’oscuramento, l’appiattimento di questa dignità se su di essa prevalgono o si sostituiscono “funzioni, automatismi, simulazioni”.
E così prosegue il papa: «la persona non è un sistema di algoritmi: è creatura, relazione, mistero. Mi permetto allora di esprimere un auspicio: che il cammino delle Chiese in Italia includa, in coerente simbiosi con la centralità di Gesù, la visione antropologica come strumento essenziale del discernimento pastorale.
Senza una riflessione viva sull’umano – nella sua corporeità, nella sua vulnerabilità, nella sua sete d’infinito e capacità di legame – l’etica si riduce a codice e la fede rischia di diventare disincarnata. Raccomando, in particolare, di coltivare la cultura del dialogo.
È bello che tutte le realtà ecclesiali – parrocchie, associazioni e movimenti – siano spazi di ascolto intergenerazionale, di confronto con mondi diversi, di cura delle parole e delle relazioni. Perché solo dove c’è ascolto può nascere comunione, e solo dove c’è comunione la verità diventa credibile. Vi incoraggio a continuare su questa strada!».
“Diventare Chiese di Pace in tempo di guerre”
Nella collana dei Quaderni del CedocSFR presso la biblioteca della parrocchia di S. Francesca Romana sono usciti gli Atti del XXV Convegno di Teologia della pace svoltosi a Ferrara presso l’Istituto di Cultura “Casa Cini” il 15-16 novembre 2024.
A introduzione del Quaderno 54 così scrive Piero Stefani: «In un mondo pieno di guerre e di violenza interumana, in cui nella natura e nella società il pesce grande mangia il piccolo, c’è qualcuno che dice di no. Nell’animo umano è racchiusa la possibilità di non appiattirsi sul reale così com’è. “Vi lascio la pace, vi dò la mia pace. Non come la dà il mondo…” (2Gv 14,27).
Lasciando da parte il suo significato proprio, il detto di Gesù potrebbe essere trascritto nel senso che chi ama la pace non si rassegna alla maniera in cui va il mondo. La realtà non dovrebbe essere quella che è. Nella coscienza umana il “dover essere” prevale sull’essere.
Quanto stringe il cuore è che in questo ultimo periodo sembra che in molti si affievolisca il desiderio di pace. Ciò avviene non tanto perché si voglia la guerra, quanto per il fatto di essere sempre meno turbati dalla constatazione che le guerre ci siano».
(Il pdf è scaricabile dal sito https://santafrancesca.altervista.org/materiali/quad54.pdf).
Il pensiero emerso nelle riflessioni post convegno che riflettevano come dare continuità, dopo il 25°, a questo cammino è stato di cercare non tanto altri contenuti su cui confrontarsi, ma piuttosto di ripensare un Convegno di TdP “in uscita”, itinerante, plurale, che sia in grado di proporre a chi si lascerà coinvolgere, momenti e percorsi di pace a partire dalla nostra città verso le situazioni mondiali che ci toccano da vicino. Rivelatore è stato l’incontro di ascolto e di preghiera in Santa Maria in Vado la sera del 23 giugno scorso in collegamento con il card. Pierbattista Pizzaballa: «Creiamo una rete tra le persone che vogliono la pace».
“Puntiamo sui risorti”
Come non ricordare qui la beatitudine di don Tonino Bello rivolta ai Costruttori di pace all’Arena di Verona nel 1989: «In piedi, costruttori di Pace. “Beato” è colui che sta in piedi, vittorioso come Cristo risorto (cfr. Ap 5,6) e come i santi dell’Apocalisse: «Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello» (Ap 7,9).», in piedi, dunque “i risorti”.
Sono state 14 le associazioni e i gruppi promotori della serata in S. Maria in Vado, tra cui le sorelle Clarisse, l’Azione cattolica e La Comunità papa Giovanni XXIII e il card. Pizzaballa ci ha ricordato che «contro la logica dell’odio puntiamo sui “risorti”. In un mare di odio e diffidenza crescenti, non mancano tra ebrei, cristiani e musulmani i “ponti di pace”. «Nel nostro territorio – ha detto – si incontrano ancora tante persone – ebrei, cristiani, musulmani, israeliani e palestinesi – che sanno pensare ancora in maniera diversa, inclusiva, che sanno che il futuro o è insieme o non è».
Pace, la partita del cuore
Giunta alla sua 34ª edizione la “Partita del cuore” si è svolta all’Aquila il 15 luglio e i cantanti hanno battuto i politici 8 a 6. Finalizzata a sostenere il “Progetto Accoglienza” della Caritas Italiana per l’assistenza alle famiglie dei bambini ricoverati all’ospedale “Bambin Gesù” provenienti da tutta Italia e dall’estero, l’iniziativa è stata preceduta da un video messaggio di papa Leone:
«Mi viene in mente un’altra partita, quella raccontata in un film, Joyeux Noël, e in una canzone di Paul McCartney, giocata il 25 dicembre 1914 da alcuni soldati (tedeschi, francesi e inglesi) nella cosiddetta tregua di Natale, nei pressi della cittadina di Ypres, in Belgio. È ancora possibile — è sempre possibile — incontrarsi, anche in un tempo di divisioni, di bombe e di guerre. È necessario costruire le occasioni per farlo. Sfidare le divisioni e riconoscere che questa è la sfida più grande: incontrarsi».
Pipes of peace
Cornamuse di pace è il titolo del testo di Paul McCartney
Accendo una candela al nostro amore
in amore i nostri problemi scompaiono
ma dopo tutto scopriamo presto
che uno e uno è tutto quello che desideriamo sentire
In tutto il mondo
vengono messi al mondo bambini
dobbiamo dargli tutto quel che possiamo
finché la guerra non è vinta
poi avremo fatto il nostro dovere.
Aiutiamoli a imparare
(aiutiamoli a imparare)
canzoni di gioia invece di “burn, baby burn”
mostriamogli come suonare
cornamuse di pace
suoniamo cornamuse di pace.
Aiutami a imparare
canzoni di gioia invece di “burn, baby burn”
mi farai vedere come suonare (come suonare)
cornamuse di pace (cornamuse di pace)
suoniamo cornamuse di pace.
Che ne dici? (Che ne dici)
La razza umana sarà spacciata in un giorno?
(in un giorno?)
O qualcuno salverà questo pianeta
sul quale viviamo?
È l’unico che abbiamo.
Cosa abbiamo intenzione di fare?
Aiutiamoli a vedere (aiutiamoli a vedere)
che le persone qui
sono come te e me (come te e me)
mostriamogli come suonare (come suonare)
cornamuse di pace (cornamuse di pace)
suoniamo cornamuse di pace.
Accendo una candela al nostro amore
in amore i nostri problemi scompaiono
ma dopo tutto scopriamo presto
che uno e uno è tutto quello che desideriamo sentire.
Cover: immagine tratta da https://pixabay.com/it/images/search/free%20image/
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