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Nel ventennale della scomparsa di Giorgio Bassani serve ancora oggi capire come ogni suo libro che comporrà quel testo definitivo chiamato Il romanzo di Ferrara vada letto, adoperandosi a riconoscere oggetti, pitture, luoghi che l’autore incontrò nella sua esistenza e che saranno trasformati in quell’universo autoriale, di cui lo scrittore è l’unico creatore e l’unico responsabile. Bassani fu sempre molto attento a tenere distinti i piani della creazione artistica e ritrovare i segni del ‘reale’ nella scrittura e oltre, che permettano di concludere e interpretare questa creazione. Così come Micòl non può essere la copia di qualche giovane donna incontrata nella sua avventura esistenziale, ma tutte queste servono a creare la vera Micòl, quella che solum è sua e di cui può dirsi il creatore. Così l’esistenza offre la capacità necessaria  a ‘scegliere’ e a integrare il modello vivo nella mente dell’autore.

Un oggetto che nella sua necessaria consistenza diventa integrante al suo lavoro di scrittore è la sua macchina da scrivere, che lo seguì in tutta la sua vita e che generosamente fu donata ad Anna Ravenna dalla segretaria di Bassani alla sua morte ed ora è visibile al Centro studi bassaniani di Ferrara. Nel romanzo Il giardino dei Finzi-Contini il protagonista si è trasferito nello studio del professor Ermanno Finzi Contini, generosamente messogli a disposizione dopo che è stato cacciato per le leggi razziali dalla Biblioteca Ariostea:
“Cosa combini? Stai già ricopiando? – gridò allegro. Mi raggiunse e volle vedere la macchina. Si trattava di una portatile italiana, una Littoria, che mio padre mi aveva regalato qualche anno prima, quando avevo superato l’esame di maturità. Il nome della marca non provocò il suo sorriso come avevo temuto. Anzi. Constatando che ‘anche’ in Italia si producessero ormai delle macchine da scrivere che, come la mia avevano l’aria di funzionare alla perfezione, parve compiacersene.” ( GIORGIO BASSANI, Il giardino dei Finzi-Contini in Opere a cura e con un saggio di Roberto Cotroneo, Mondadori, I Meridiani, Milano 1998, pp.494-495.)

foto di Lorenzo Caruso

Storie di Jor.
Nel Giardino si legge:
“Di là dal muro si levò a questo punto un latrato greve e corto, un po’ rauco. Micòl girò il capo, gettando dietro la spalla sinistra un’occhiata piena di noia e insieme d’affetto. Fece una boccaccia al cane, quindi tornò a guardare dalla mia parte.
– Uffa! – sbuffò calma . – E’ Jor.-
-Di che razza è? –
-E’ un danese. Ha un anno soltanto, ma pesa quasi un quintale. Mi tiene sempre dietro. Io spesso cerco di confondere le mie tracce, ma lui, dopo un poco, sta pur sicuro che mi ritrova. E’ ‘terribile’ ” (Il giardino dei Finzi-Contini in op.cit, p.356).
Si presenta così uno dei personaggi principali della storia di Micòl che fedelmente accompagna la padrona e il narratore alla scoperta dell’universo segreto del giardino e della magna domus.
La presentazione, che si conclude con quel ‘terribile’, proprio del finzi-continico di Micòl, si riallaccia nella realtà a una serie di cani posseduti, amati, spartiti tra la tribù dei Bassani e soprattutto allevati, protetti e difesi da Dora, la madre di Paolo, Jenny e Giorgio. Le storie di questi pelosi, raccontatami con le fotografie qui accluse da Dora Liscia che qui ringrazio, si estendono nel tempo e non contemplano solo i cani Bassani, ma si ampliano a una possibile altra discendenza, quella esibita dal ramo Magrini della famiglia di Andrea Pesaro, che esibiscono anche loro uno Jor. L’unica differenza la I iniziale al posto della J.

Ferrara, casa Magrini. Albertina Bassani Magrini, Silvio Magrini, Andrea Pesaro e Renata Pesaro e il cane Ior

Per la famiglia Bassani fondamentale fu il rapporto con Lulù, un fox- terrier fotografato qui in braccio a Paolo; poi nella seconda foto assieme all’elegantissima madre dei fratelli Bassani e ancora lungo un canale. Dori Liscia racconta che alla partenza di Ferrara Lulù, già vecchio, non voleva abbandonare la casa di via Cisterna del Follo, ma un provvidenziale malore lo fece morire prima del trasloco. Un’altra Lulù entrò poi nella vita dei Bassani, questa voluta da Jenny, che la trovò incatenata presso un contadino nella campagna toscana. Il marito, dottor Liscia, pronunciò solennemente che mai un cane sarebbe entrato in casa sua, ma quando la moglie ritornò con Lulù il giorno dopo dormivano nel letto assieme e, come asserisce la figlia, per tutto il tempo che visse il padre stava sulla punta della seggiola per non disturbare la reginetta di casa.
Altri cani vennero a rendere più lieta la vita della famiglia: dal bassotto Mimì, al barboncino Kiki e ai meravigliosi afgani del fratello Paolo. Quando nella vecchiaia della madre lo scrittore veniva a trovarla a Ferrara, sempre la trovava con un cane in grembo, finché s’accorsero che quel cagnolino aveva perso quasi completamente il pelo e la Jenny di nascosto lo sostituì con un altro.
Dei cani direttamente posseduti dallo scrittore poco si sa ma è fondamentale capire come la vita di tanti pelosi reali crearono l’immagine di Jor il compagno fedele della castellana del mitico giardino.

Lulù
Lulù

Champs (afgano biondo) Kushka ( afgano nero)
Champs e Kiki

Altri luoghi vissuti contribuirono a rendere ‘reale’ il giardino che non esiste a Ferrara dei Finzi-Contini, tra cui il gruppo delle palme del deserto.
C’era in fondo alla radura del tennis, per esempio, ad ovest rispetto al campo, un gruppo di sette esili, altissime Washingtoniae graciles, o palme del deserto, separate dal resto della vegetazione retrostante […] Ebbene , ogni qualvolta passavamo dalle loro parti, Micòl aveva per il gruppo solitario delle Washingtoniae sempre nuove parole di tenerezza. – Ecco là i miei sette vecchioni – , poteva dire, – Guarda che barbe venerande hanno! – (op.cit., p. 408.)
Si sa che la mancanza di conoscenza della flora da parte dello scrittore veniva integrata da accurate escursioni all’Orto botanico di Roma, dove appunto esisteva ed esiste il gruppo delle palme. Una tecnica che anche negli estremi anni della sua vita lo portava a visitare luoghi reali, per poterne trarre materia di racconto. Come racconta Portia Prebys nella casa di Roma davanti al letto c’era una preziosa carta topografica di Roma, quella celebre del Nolli, che ora è stata trasportata al Centro studi bassaniani.

Al suo risveglio, lo scrittore la osservava e, puntando il dito sulla zona di Roma che gli interessava vedere, vi si recava o con la sua macchina, o facendosi accompagnare. E l’antica ossessione del ‘vedere’, superbamente espressa in un famoso passo del Giardino dei Finzi-Contini. Il protagonista sta celebrando con i suoi familiari la Pasqua. Attende con ansia di telefonare o ricevere una telefonata da Micòl e il suo sguardo vaga per la stanza da pranzo della sua casa, ritmato dall’incipit ‘Guardavo’: “Io guardavo mio padre e mia madre[..] Guardavo Fanny[…] Guardavo in giro zii e cugini[…] Guardavo la vecchia Cohen […] Guardavo infine me, riflesso dentro l’acqua opaca della specchiera di fronte, anch’io già un po’ canuto, preso anch’io nel medesimo ingranaggio, però riluttante, non ancora rassegnato” (op. cit., pp.478-479).
Anche qui e a maggior ragione, la specchiera e il salotto di casa Bassani sono reali come attesta questa foto.

Guardare dunque costituisce la fondazione dell’operazione scrittoria. Guardare dunque il reale per vederne le possibilità di creazione.
Molto poi si è scritto delle copertine dei suoi testi che, per tutto il tempo che visse lo scrittore, vennero sempre da lui scelte, come integrazione e commento al testo. Un capitolo affascinante dell’esegesi bassaniana condotta in primis da Anna Dolfi e da chi scrive queste note. Si trattava ancora – e se è possibile – di condurre in modo ancor più raffinato e complesso il rapporto tra vedere e scrivere. Significava in fondo creare, più che un paratesto o un commento, un unicum che giustificasse la creazione. Ancor più paradigmatico il caso della prima edizione del Giardino, dove nel testo viene inserita una celebre litografia di Morandi, che riproduceva il campo da tennis dei giardini Margherita di Bologna, dove nella ‘realtà’ si svolgevano le partite tra Bassani giovane campione e i suoi amici, arbitro Roberto Longhi.

A questo punto mi sembra di poter affermare ancora una volta ciò che avevo scritto nel mio saggio apparso su Vivere è scrivere. Una biografia visiva di Giorgio Bassani, Edisai, 2019: “Nella poetica bassaniana la possibilità rappresentata dalle copertine come modo di spiegare il testo o di metterne in luce le valenze segrete, diventa necessario, senza dover ricorrere a un troppo corrivo paragone di ut pictura poësis. Occorre invece cogliere nelle indicazioni di quelle pitture, di quegli autori scelti, le spie o tracce del modo di narrare dello scrittore e soprattutto del modo di ‘vedere’.” (p.195) .
Dunque una scelta d’autore come dichiarazione di poetica.
Vorrei concludere con un caso assai sintomatico:

Questa copertina riproduce una traduzione nordica de Il giardino dei Finzi-Contini. Il termine italiano del titolo viene sostituito col nome della protagonista, ma soprattutto la bionda Micòl viene rappresentata come una bruna mediterranea scollacciata, secondo l’interpretazione corrente delle ragazze italiane e per questo, come per la macchina da scrivere ‘Littoria’, ha un posto d’onore nella vetrinetta che al Centro studi bassaniani custodisce il manoscritto del Giardino e la macchina da scrivere. Potenza del vedere!

Foto di Lorenzo Caruso per il Centro studi bassaniani di Ferrara
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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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