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L’attesissima presentazione del romanzo di Elettra Testi, “Il segreto di Barbara. Un delitto alla Corte estense”, Minerva, 2019 che si è svolto nella sala dei Comuni in Castello è stato organizzato impeccabilmente da Ethel Guidi. Dialogava con l’autrice l’ottimo Fabrizio Fiocchi e le letture erano affidate a Riccarda Dalbuoni. E’ già difficile nel mestiere di critico essere obiettivo con chi non si conosce se non per la sua opera; ancora di più se l’autore, come in questo caso, è legato da profondissima amicizia tanto che se non sei capace di equilibrio critico può accadere che più che parlare del libro finisci per parlare di te stesso.
Questo è il terzo romanzo della Testi; i primi due si titolano, ‘La sorella. Vita di Paolina Leopardi’ (1992) e ‘Tavor’ (2005).
Così il profilo della scrittrice:
Elettra Testi, di nobile origine romagnola, vive da quarant’anni a Ferrara, città che adora e che coccola con attività culturali di vario genere. A Ferrara ha a lungo insegnato negli istituti superiori. Nel 1992 con la casa editrice La Luna di Palermo ha pubblicato ‘La Sorella. Vita di Paolina Leopardi’, romanzo che le è valso il premio Bellonci con la segnalazione quale libro di lettura per le scuole. Oltre a Ferrara adora gli amici, suo marito e gli animali, però ha un debole per le pellicce.

Per questo mio intervento occorre ricordare un articolo che pubblicai nel 2005 su ‘Ferrara. Voci di una città’ dal titolo ‘Un secondo viaggio nella realtà letteraria ferrarese’:
“La lettura come baluardo alla disgregazione della psiche, la scrittura come difesa al male di vivere, l’ironia come medicina dell’anima e del corpo intrecciandosi tra realtà autoriale ed esistenziale sostengono, illuminano, chiarificano le pagine di questo singolare e bellissimo racconto di Elettra Testi, ‘Tavor’ (Minerva Edizioni, Bologna, 2005), che conferma la maturità raggiunta da questa scrittrice e le premesse mantenute del debutto, ‘La sorella. Vita di Paolina Leopardi’ (La Luna editrice, Palermo, 1992).
Se sono stato un fedele lettore delle opere di Elettra l’occasione del libro rinvia ad anni lontani quando entrambi insegnavamo, giovanissimi docenti, all’Istituto per Ragionieri di Ferrara ‘Vincenzo Monti’. Ci organizzammo per prepararci all’esame di abilitazione all’insegnamento con la serietà (forse) degna di miglior causa perché gli esaminatori si rivelarono meno preparati di quello che noi fossimo. Cominciò allora una complicità intellettuale che non si è mai spenta e che ha influito anche sulle scelte esistenziali di entrambi, fosse la garbata presa in giro delle mie ossessioni floreali nel buen retiro della campagna veneta quando alla stagione della fioritura delle gardenie, il Conte, cioè chi scrive, riceveva fasci dell’amatissima pianta fiorita secondo un racconto dell’amica scrittrice o, da parte mia, l’accusa di “slealtà” nell’incantare lettori e ascoltatori con la sua splendida voce – rimasta intatta nel tempo – per attrarli nel suo universo fantastico dove la realtà si tinge di vero e il vero trascende nel fantastico.
La laboriosa preparazione de ‘Il segreto di Barbara’ contempla non solo la lettura di ponderosi volumi il cui accesso è riservato solo agli storici di mestiere, ma anche la minuziosa esegesi di testi che una volta si sarebbero definiti “allotri” cioè estranei alla composizione di un’opera letteraria; vale a dire studi come quello di Stefania Macioce sugli ori nell’arte o di Elisabetta Gnignera sui soperchi argomenti doverosamente ringraziate come tutto il personale della Biblioteca Ariostea.
Ma veniamo al romanzo che così viene presentato:
‘Il segreto di Barbara’ è un romanzo storico nel quale si dipanano personaggi e vicende dell’età rinascimentale a Ferrara. Barbara Torelli, originaria di Montechiarugolo, una piccola contea vicino a Parma, sposa senza amore il capitano Bentivoglio, di origine bolognese, che la porta a vivere a Ferrara. Se l’amore per la città aumenta, il rapporto con il marito si fa sempre più difficile finché Barbara s’innamora del grande poeta e giureconsulto ferrarese Ercole Strozzi che ricambia il sentimento. La situazione precipita al punto che Barbara organizza, per sé e per la figlia una rocambolesca fuga dal tetto coniugale. Dopo la morte del marito Barbara sposa Ercole Strozzi, il cui assassinio notturno con 23 pugnalate è rimasto impunito. Non si trovò o non si volle trovare il colpevole. In base alle proprie ricerche l’autrice, per la prima volta, ne svela il nome…”
Il tema dunque s’incentra su un fatto indubitabile come la stessa consistenza storica dei personaggi e la verità letteraria segnata dal sonetto della Torelli tra i più grandi risultati della letteratura italiana del Rinascimento e oltre. Questi fatti si trasformano nella scrittura di Elettra Testi in un universo fantastico dove Barbara è l’autrice e l’autrice è la protagonista. Il tutto avviene per vis stilistica che a mio avviso rappresenta la novità e la bellezza del romanzo: la contemporaneità come prodotto del passato e nello stesso tempo indicazione per il futuro.
La dedica ‘A Giampietro’ nasconde nella semplicità dell’enunciazione una lunga connivenza tra l’autrice e il marito che condividono tutto, anche il nome se non nella vocale finale: Giampietro Testa, Elettra Testi, Nella ricostruzione della scrittrice è stato il marito a farle conoscere il personaggio Barbara e nel primo intento il romanzo doveva essere scritto a quattro mani; ma secondo prassi l’intento non ebbe un seguito e di Giampi rimane solo la dedica, apparentemente ma non solo, come si può riscontrare, in ben più solidi contributi. La lettera a p. 149 che comincia con ‘Amore caro’ non è né della Torelli, né di Ercole Strozzi o di qualche altro letterato bensì de marito. E qui si rivela la capacità stilistica di Elettra che proprio nella “inventio” di una lingua riesce magistralmente a fondere in un’unica, straordinaria prosa lingue classiche e contemporanee, dialetti, piani strutturali diversi fino a ricorrere alla raffinatissima “mise en abyme” o come si suol scrivere anche “mise en abîme”.
Da questo momento l’universo fantastico di Elettra-Barbara si spiega in tutta la sua forza sia nel prato-giardino della Smarrita dove Barbara e la sua “copia” vivono i fremiti e i sogni dell’infanzia-adolescenza:
“Si incamminava per il sentiero dei campi di quella terra parmense che le apparteneva e arrivava fino al limite estremo della proprietà nella spianata del querceto che in casa chiamavano ‘la Smarrita’ […] Era, quel bosco buio, il teatro ideale di una rappresentazione della quale la piccola si appagava di essere l’unica regista e interprete” (p.14). Ecco le parole della trasformazione fantastica affidata ai mezzi di comunicazione contemporanea: “regista e interprete”. Qui è possibile come nei romanzi cavallereschi interpretare le grandi eroine del passato secondo il modello del trobar: Cleopatra, Didone, la fata Melusina, Isotta la Bionda e, of course, Francesca da Rimini. Dalla solitudine fantastica della ‘Smarrita’ fa parte anche il fratello di Barbara Amorotto ‘l’innocente’ che condivide le scelte della protagonista e che nonostante la malattia morirà quasi centenario.
Nel mondo di Barbara-Elettra sfilano paesani e signori, gente umile e potente come l’amica più cara di Barbara che diverrà duchessa di Ferrara: Lucrezia Borgia o le suore e le abitanti del monastero del Corpus Domini. Ma anche la zia Venusta, la mitica zia di Elettra.
E poi Ferrara, che si prende la scena diventando come in Giorgio Bassani la protagonista del romanzo con i suoi palazzi, piazze, cattedrali, castelli. Infine, alla morte dell’amatissimo Ercole, s’apre il mistero che non è giusto svelare e che, pagando pegno, diventa necessità perché chi vorrà svelarlo dovrà leggere fino all’ultima pagina dell’opera.
Brava Elettra!

Nella foto Elettra Testi e Gian Pietro Testa al Premio stampa 2017 (foto Giorgia Mazzotti)

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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