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Ferrara film corto festival

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La lunga sosta a cui ci ha costretto la minaccia del virus, poteva essere l’occasione da non sprecare, l’occasione per riflettere e far riflettere tutta la città,.

A me non piace, e non mi è mai piaciuta, questa idea di città per cui ognuno pensa per sé. L’amministrazione governa per sé, per mantenere il suo potere, le istituzioni si amministrano per sé, per assolvere burocraticamente ai loro compiti e niente riesce a divenire corpo, sangue e membra di una città viva, di una comunità di abitanti fatti di persone in carne ed ossa.

Che nessuno si proponga mai di sognare come si potrebbe fare meglio, qualcosa di nuovo da realizzare. Anzi i luoghi creativi sono ancora visti con sospetto e lasciati al loro isolamento. Tutto conviene farlo sempre come prima, anziché sforzarsi di pensare che si potrebbe avere qualche idea nuova di governo, di come stare nella città, di come vivere insieme, gomito a gomito, tanto i guai quando arrivano non risparmiano nessuno, e certo non occorreva il Covid per ricordarcelo.

Allora a me sarebbe piaciuto vedere qualche segnale che qualcosa è cambiato. Una scuola intestata a Gino Strada [Qui] e a sua moglie [Qui], ad esempio. Una scuola che è un luogo di cura, come le vite che ha curato il medico di Emergency, sì, perché anche a scuola le vite si salvano.

E quello che ci è mancato nella pandemia sono state soprattutto le nostre scuole, le scuole della nostra città. Sarebbe stato una sorta di risarcimento, utile soprattutto alla nostra memoria, a non perdere mai di vista l’importanza delle scuole e di quella cura che si realizza al loro interno.

C’è mancata la scuola in questa pandemia, e non vorrei che si scaricasse il problema come sola questione nazionale, come responsabilità lontane da noi e dall’amministrazione della città.

Sarebbe un atto di intelligenza, oltre che di trasparenza e onestà intellettuale, se il Consiglio comunale dedicasse una seduta per riflettere su cosa si sarebbe potuto fare con le nostre forze e non si è fatto per la formazione, l’educazione, la scuola dei nostri giovani cittadini, figli e nipoti di tutti noi. Giusto per evitare di trovarci impreparati la prossima volta.

Da queste pagine, per quello che posso, ho tentato di dare alcuni suggerimenti all’Amministrazione, ma certo non posso pretendere che a Palazzo Municipale qualcuno mi legga. Allora l’occasione da cogliere è ora.

L’Amministrazione interroghi se stessa, senta la voce degli studenti, degli insegnanti, dei dirigenti scolastici, dei genitori e poi si attrezzi per quella comunità educativa invocata dagli indirizzi ministeriali, che altro non è che il rapporto tra scuola e territorio, quali sinergie ci devono essere tra scuole e territorio, tra l’apprendimento e l’apprendimento permanente.

La questione della scuola delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi ci riguarda tutti, riguarda lo spessore sociale della città che abitiamo e il suo futuro.

Ora invece di esternalizzare biblioteche e servizi educativi come se si trattasse di zavorra, sarebbe il caso che l’Amministrazione si occupasse di “internalizzare”, per dirla con gli economisti, di praticare l’insourcing, di utilizzare le competenze e le risorse del territorio per arricchire le opportunità formative dei nostri giovani, facendo delle nostre scuole il perno di una rete di luoghi e di occasioni di apprendimento sempre più ricca e qualificata.

Ma da questo punto di vista nulla si muove, poiché non appartiene alla capacità di veduta di chi è al governo della nostra città.

L’Unesco stima che le chiusure scolastiche abbiano colpito fino al 90% della popolazione studentesca mondiale. Genitori e tutori hanno dovuto assumersi la responsabilità principale di facilitare l’istruzione domiciliare e di organizzare attività di apprendimento per i loro figli.

Genitori e tutori di alunni svantaggiati, più spesso le madri, hanno dovuto affrontare sfide complesse come la mancanza di risorse, attrezzature e competenze, comprese le abilità linguistiche nel caso di rifugiati o nuovi migranti.

C’è bisogno di un risarcimento e questo risarcimento non può che venire dal governo locale della città, è diventato un imperativo.

La crisi prodotta dal pericolo del virus, dalla sua diffusione, la necessità di conoscerlo hanno generato un bisogno critico di migliorare le competenze di tutti.

La città avrebbe potuto implementare programmi online per promuovere l’apprendimento durante la pandemia, al di là del sistema di istruzione formale, e non l’ha fatto, neppure si è interrogata su cosa avrebbe potuto fare.

Certo l’amministrazione comunale non ha giurisdizione sul sistema scolastico formale, ma possiede ed è responsabile di un certo numero di spazi formali di apprendimento dalle biblioteche ai musei, dai parchi alle piazze, inoltre può collaborare con partner di vari settori per progettare, sviluppare e attuare programmi di apprendimento non formale e informale, garantendo che l’istruzione continui e che i programmi di apprendimento siano disponibili per coloro che ne hanno più bisogno.

Difficile? Impossibile? No. Basterebbe essere dotati di un po’ di competenza, almeno un po’ di sensibilità per l’istruzione e la formazione.

Penso che chi governa la città, che sia maggioranza o opposizione, tra le conoscenze utili all’incarico per cui è stato eletto, dovrebbe sapere che esiste da tempo il Global Network of Learning Cities (GNLC) dell’Unesco [Qui].

Fornisce ampie prove di risposte educative efficaci alla pandemia, città che hanno mobilitato l’apprendimento non formale e informale per attuare strategie locali di apprendimento permanente. Queste esperienze sono state presentate in una serie di webinar intitolati Risposte delle città che apprendono al COVID-19, ospitati dallIstituto per l’apprendimento permanente dell’UNESCO (UIL).

Non è che le strade siano obbligate, ma basterebbe un segnale di cura e di attenzione per le nostre scuole, per la formazione delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi.

Non intitolare a Gino Strada una scuola denuncia tutta l’ottusità di questa Amministrazione, perché Gino Strada è Emergency, ed Emergency è monito e un appello che ci riguarda da vicino, l’emergenza di crescere generazioni nell’apprendimento e nella cultura della pace, perché possano vivere in un mondo migliore.

Per leggere gli altri articoli di Giovanni Fioravanti della sua rubrica La città della conoscenza clicca [Qui]

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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