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“Nulla accade per caso”.
Ce lo ripetiamo come mantra consolatorio davanti agli insuccessi, con un fondo di speranza compensatoria in ciò che seguirà, oppure lo diciamo con convinzione intrisa di felicità, nel caso di un successo. Caso? Energia? Destino? Tentiamo di dare risposte razionali a quegli eventi non pianificati o attesi che irrompono, tentando di scoprire e rendere manifesti i fili invisibili che uniscono luoghi e persone, circostanze e fatti ma tutto resta inspiegabile: accade e basta.
Nel 1950 Gustav Jung formulava la ‘Teoria della sincronicità’, asserendo che il vincolo tra più avvenimenti che sembra casuale, nasconde un profondo significato per la persona che lo vive, costituendo una forte esperienza con valore simbolico. Sono fatti che accadono spesso, compaiono all’improvviso, inaspettati, e molto spesso cambiano il corso della nostra vita. Non esistono le coincidenze con collegamento causa-effetto: esiste un’intima connessione che unisce l’ambiente, l’inconscio collettivo che accomuna tutti gli esseri umani, la singola persona, e bisogna fidarsi e affidarsi all’istinto per aprire le porte della sincronicità, sgomberando pensieri e atteggiamenti rigidi, cinici e rinunciatari. Tutto è collegato, le cose fluiscono, una dopo l’altra, in un ambiente in cui tutti sono connessi: possiamo prendere decisioni, operare scelte, porci obiettivi ma poi gli eventi interferiscono, l’inaspettato si manifesta scompigliando, orientando altrove.
In letteratura troviamo frequentemente situazioni sincroniche senza le quali la narrazione non avrebbe senso o si appiattirebbe su una realtà poco credibile, perché la vita reale stessa è fatta di eventi voluti e pianificati intercalati con fatti e accadimenti indipendenti da una nostra consapevole scelta razionale.
Nei ‘Promessi Sposi’ (1827), di Alessandro Manzoni, Renzo e Lucia vengono sballottati tra numerosi scherzi del destino, e quello che doveva essere un matrimonio senza complicazioni, diventa un’epopea intensa. Fra’ Cristoforo indirizza Lucia verso l’Innominato, il quale tradisce le aspettative di don Rodrigo; ogni personaggio deve fare i conti con il ‘caso’, il ‘destino’, la sincronicità, l’interdipendenza dei fatti. “Se non fosse successo quello, non si sarebbe arrivati a questo…” .
In ‘Il nome della rosa’ (1980), il celebre romanzo di Umberto Eco, il giovane Adso da Melk, discepolo di Guglielmo da Baskerville, trova i brandelli di libri e pergamene dopo l’incendio alla biblioteca dell’abbazia e li considera come tesori sepolti nella terra da salvaguardare e studiare con amore. “[…] Come il fato mi avesse lasciato questo legato. Più rileggo questo elenco e più mi convinco che esso è effetto del caso. Ma queste pagine incomplete mi hanno accompagnato per tutta la vita che da allora mi è restata da vivere, le ho spesso consultate come oracolo […]”.
Nel ‘Decameron’ (1350-1353), di Giovanni Boccaccio, apparente disordine e casualità sembrano prevalere nelle storie dei personaggi delle novelle, che compaiono slegate e distanti l’una dall’altra. Ma Boccaccio riesce a dar loro un ordine, una gerarchia, un senso, rifacendosi a volte al volere divino, altre alla capacità umana.
Italo Calvino, nel romanzo ‘Il castello dei destini incrociati’ (1969), usa una tecnica combinatoria per eliminare il disordine di tutte le trame possibili da percorrere e sviluppare. Parte da un mazzo di tarocchi le cui carte vengono distribuite su un tavolo e tutto diventa un gioco di combinazioni in cui il significato di ogni carta dipende dal posto che essa occupa nella successione di carte che la precedono e la seguono.
Dagli incroci che si formano, prendono vita le storie. In ‘Insonnia d’amore’ (1993), di Nora Ephron, Sam, vedovo inconsolabile, decide di trasferirsi con il figlioletto Jonah da Chicago, che gli ricorda ogni momento la giovane moglie, a Seattle. Il bambino, che vive la solitudine e sofferenza del padre, si rivolge a una radio facendo conoscere la loro storia e cominciano ad arrivare numerosissime lettere da pretendenti di ogni dove. Tra esse, quella della romantica giornalista Annie Reed di Baltimora, che il bambino ha estratto tra decine e decine. A molti altri inaspettati eventi, seguirà un appuntamento a New York tra Sam e Annie. “Non è incredibile? Prendi milioni di decisioni e un sandwich ti cambia la vita” esclamerà la protagonista, convenendo che nell’universo, minuscole variazioni portano ad evoluzioni inattese.
Laura Barnett in ‘Tre volte noi’ (2016), ci consegna due personaggi e due storie parallele che improvvisamente si incrociano. E’ il 1958, Eva e Jim, due studenti di Letteratura e Giurisprudenza a Cambridge, si incontrano inaspettatamente a causa di un cane sfuggito al padrone e un chiodo che fora la gomma della bicicletta della ragazza, intenta a schivare l’animale. Jim accorre in aiuto, e da quel momento tutto cambia. Eva lascia che il giovane entri nella sua vita, lascia un fidanzato in grado di permetterle un futuro nel mondo degli scrittori,  e tutto prenderà una traiettoria nuova che durerà tutta la vita, malgrado altre trame possibili.

Caso e necessità si intrecciano nelle nostre vite e non si tratta di destino ineluttabile né accidentalità, se vogliamo leggerne il messaggio. Ci piacerebbe, a volte, tornare indietro dopo un fatto, rimettere le lancette dell’orologio all’inizio per vedere altri scenari, altri effetti, altre opportunità ma i ‘se’ e i ‘ma’ sono sterili se non cogliamo l’importanza di ciò che è già accaduto. Possiamo solo vivere nel presente, con le nostre certezze e le nostre sliding doors, con uno sguardo attento attraverso le porte aperte e un atteggiamento plastico nel coglierne  messaggi e opportunità.

 

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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