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La storia corre sui binari

Forse l’immagine del treno è proprio quella di Paul Verlaine, dove “il treno scivola senza mormorio, ogni carrozza è un salotto in cui si parla sottovoce.” Sicuramente lo è stato l’Orient Espress, il treno a lunga percorrenza messo in servizio nel 1883 dalla Compagnia Internazionale des Wagons-Lits, che collegava Parigi Gare de L’Est a Costantinopoli, l’attuale Istanbul. La sua storia si interruppe durante le due guerre mondiali e definitivamente nel 2009, assumendo successivamente trasformazioni e ridefinizioni del tragitto.

Oggi esistono diversi progetti che ripropongono le atmosfere dello storico convoglio, su itinerari da Parigi alle Alpi francesi e dall’arco alpino al Sud Italia, su 16.000 km di ferrovia, tra scorci panoramici suggestivi e ogni sorta di comfort.

Negli Anni Trenta, l’Orient Espress visse l’apice della sua fama per il lusso del suo arredamento, la raffinata cucina, il sevizio permanente notturno e la sapiente assistenza di viaggio. Nobili, reali, diplomatici, uomini d’affari e la borghesia ricca erano i viaggiatori privilegiati di questo treno straordinario e vennero perfino aggiunte carrozze-letto che da Londra raggiungevano Calais, proseguivano per Parigi e si collegavano con l’Orient Espress.

Un treno che ha fatto sognare e fantasticare generazioni, riempendo pagine di letteratura e cinematografia come ambientazione di storie e narrazioni, dove accanto a personaggi loschi, ricchi annoiati, assassini e spie, transitavano cartomanti, camerieri inappuntabili, rampolli scapestrati di famiglie importanti, imbroglioni di passaggio, faccendieri, sognatori romantici e maggiordomi ineccepibili.

E se dalla fervida fantasia di Agatha Christie è nato Assassinio sull’Orient Espress (1933), nella storia del famoso treno avvenne veramente un omicidio. Era il 1935 e la direttrice di una scuola di moda di Bucarest, Maria Farcasanu, fu derubata e gettata dal treno in territorio austriaco. L’assassino, Karl Strassar, venne identificato grazie a una stola di volpe argentata appartenuta alla vittima e venduta incautamente a una signora svizzera.

La fantasia e l’immaginazione sono legati anche al treno della Transiberiana Mosca-Vladivostok, la linea ferroviaria costruita in 10 anni nel 1891, procedendo contemporaneamente dai due capolinea per 9228 km di paesaggi affascinanti e sempre mutevoli. Occorrevano 3-4 mesi per percorrere tutto il tragitto sulla più lunga strada ferrata del mondo; oggi bastano 9 giorni per attraversare 7 fusi orari.

Nei primi anni di servizio i binari si interrompevano dopo Irkutsk in Siberia dove, sulle rive del lago Bajkal, i vagoni venivano imbarcati su due traghetti rompighiaccio e ricollocati sui binari sulla riva opposta. E proprio su questo treno, il 17 marzo 1938 nacque il più grande ballerino di tutti i tempi, Rudolf Nureyev, mentre la madre raggiungeva il marito in servizio nell’Armata Rossa. La ferrovia trasportò almeno 4 milioni di contadini attratti dal miraggio delle terre ad est, contribuendo a disegnare la nuova mappa della vasta Russia.

Con un altro treno storico, il Treno Blu di Tito, sulle rotaie corre anche un pezzo di storia dei balcani. Dal 1959 fino alla sua morte, Josip Broz Tito viaggiò su quel convoglio da Belgrado in ogni angolo della allora Jugoslavia e anche fuori dai confini nazionali, per 600 mila chilometri, ospitando personalità di tutto il mondo, tra cui Arafat, la regina Elisabetta, Nehru.

E fu lo stesso treno che riportò per l’ultima volta a casa il padre della Jugoslavia socialista, deceduto a Lubiana il 4 maggio 1980. Folle intere in lacrime, allineate sulle banchine delle stazioni lo attendevano e al suo passaggio rendevano omaggio al Presidente. Oggi lo storico treno ha riacquistato gli antichi splendori per i turisti che desiderano conoscere quei luoghi.

Su un altro celebre treno corre il destino della storia: il Treno di Lenin. Era un convoglio, organizzato dalla Germania con non poche difficoltà e rischi, per riportare Lenin in Russia dopo aver lasciato la Svizzera, dove viveva la condizione di esule. Un treno partito da Zurigo il 9 aprile 1917, alla volta di Mosca, dove Vladimir Il’ič Lenin avrebbe organizzato e dato l’avvio alla Prima rivoluzione bolscevica.

Viaggiava in un vagone piombato con status di extraterritorialità, accompagnato dalla moglie Nadezhda Krupskaja e anche dall’amante, la rivoluzionaria Inessa Armand, insieme ad altre 32 persone fedelissime. Lenin rifiutò una carrozza di lusso e ne chiese una con i sedili di legno e scompartimenti di 2^ e 3^ classe. Si viaggiava solo di giorno per motivi di sicurezza.

Arrivato in Flinlandia, lo statista inviò ai suoi un telegramma: “Arrivo. Informate la Pravda”. Archi di trionfo sui binari, un picchetto d’onore dei marinai del Baltico, bande e fiori, i colori oro e rosso della vecchia bandiera russa apparivano dappertutto e accompagnavano l’ultimo tratto del viaggio.

La storia corre anche sui binari del dolore e il Binario 21 della Stazione Centrale di Milano ce lo ricorda. Da quel binario partivano i treni con i deportati, destinazione i campi di concentramento. Erano gli anni tra il 1943 e il 1945 e 23 treni, originariamente treni postali, vennero destinati a diversi lager con il loro vergognoso carico umano: Mathausen-Gusen, Bergen-Belsen, Ravensbrück, Flossenberg, Auschwitz e anche i campi intermedi di Fossoli, Verona e Bolzano.

Trasportavano ammassate migliaia di persone, ebrei, perseguitati politici e religiosi, dissidenti, partigiani. La posizione del Binario 21 era nascosta agli occhi dei passanti perché era al di sotto del livello stradale, per permettere operazioni di trasporto e partenza indisturbate. I vagoni venivano poi sollevati da un montacarichi e collocati sulla rotaia, pronti per il loro viaggio di morte. Oggi il Binario 21 ospita il memoriale della Shoah.

I treni sono da sempre attraversati da storie e narrazioni fantastiche, curiose, dolorose, leggendarie, affascinanti, incredibili, gioiose, e le stazioni ne costituiscono la loro casa e immagine speculare.

Le stazioni sono una mia vecchia passione” diceva Tiziano Terzani. “Potrei passarci giornate intere, seduto in un angolo, a guardare quel che succede. Quale altro posto, meglio di una stazione, riflette lo spirito di un Paese, lo stato d’animo della gente, i suoi problemi?”

Cover: l’Orient Express in Polonia (foto Wikimedia Commons)

Per leggere gli articoli di Liliana Cerqueni su Periscopio [vedi qui]

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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