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A Mile in my Shoes 2 Photos Kate RaworthPrima di giudicare un uomo, cammina per tre lune nelle sue scarpe. Proverbio indiano

Tante, belle, brutte, facili, difficili, semplici, complesse, queste sconosciute, a volte amiche, a volte nemiche. Le storie, soprattutto quelle degli altri che servono a capire anche la nostra. Si chiama anche empatia, la capacità di percepire i sentimenti degli altri. O meglio Outrospection. Qualcuno, infatti, come l’inglese Roman Krznaric, intellettuale illuminato e scrittore originale (oltre che ex docente di Cambridge nominato dall’Observer tra i più eminenti filosofi popolari della Gran Bretagna), ne ha compreso il valore più di altri e ha coniato un neologismo, quello appunto di Outrospection, che il Collins definisce come “un metodo per conoscere sé stessi sviluppando relazioni e pensiero empatico con gli altri”, comprendendo e immedesimandosi nel punto di vista altrui.

Roman Krznaric
Roman Krznaric

Ma Roman non si è limitato a creare una nuova parola, che assomiglia alla parola italiana estrospezione (l’osservazione delle cose esterne alla propria mente, al contrario di introspezione), ne ha fatto un autentico credo e vi ha costruito un museo. Si tratta del museo dell’Empatia (vedi), inaugurato lo scorso 4 settembre a sud di Londra, in collaborazione con gli abitanti del quartiere di Wandsworth, con l’installazione A Mile in My Shoes (letteralmente Un miglio nelle mie scarpe). Un concetto che ricorda anche la campagna di Medici Senza Frontiere #Milionidipassi (vedi) .

Per sviluppare una maggiore sensibilità verso gli altri, s’invita il visitatore a mettersi nei panni altrui, almeno per un giorno, camminando, lungo le rive del Tamigi, per un miglio con le scarpe usate di qualcun altro, scelte all’entrata (con tanto di calze di ricambio messe a disposizione), per sentire che cosa prova e come si sente. Con le calzature di uno sconosciuto si cammina ascoltando, in cuffia, la storia del proprietario. Tra le registrazioni disponibili ci sono tante vite: dal medico che ha perso la moglie durante un’azione di volontariato in Afghanistan, al lupo di mare che ha girato il mondo in solitaria sulla sua barca fino al proprietario di un locale dove ogni notte succede qualcosa di bizzarro o a una semplice bambina che si racconta. Tutte degne di nota e di immedesimazione.

empathy museum

Il progetto ha origine dal vecchio e noto detto anglosassone “Prima di giudicare qualcuno prova a camminare per un miglio con le sue scarpe” (così come recita anche il citato proverbio indiano) e mira a creare empatia. Come ci si sente a essere qualcuno che ha passato molti anni in prigione, che ha vissuto in difficili periferie lontane, che ha sofferto per amore o per una perdita, oppure che, a causa di un incidente in barca durante una vacanza che doveva essere spensierata, si è ritrovato solo e menomato? Il Museo ci può aiutare a immedesimarci e capire. E quindi a comprendere, accettare, criticare meno, avere meno pregiudizi e problemi spesso inutili. Viviamo in un mondo individualistico e si prova sempre meno empatia, ci si concentra sempre di più su sé stessi e il proprio nucleo ristretto di amici o familiari. Manca la condivisione, la comprensione, manca la compassione, quella che il Dalai Lama considera fondamentale. Empatia significa poi immaginazione (domandarsi cosa può sentire una persona rispetto a un’esperienza), non giudizio (l’esplorazione dell’altro attraverso l’ascolto deve avvenire mettendo da parte i pregiudizi), un’identità forte (l’avere trovato i punti di riferimento personali consente di non perdersi nell’altro e di essere più obiettivi), capacità di sperimentare (fondersi con l’altro in certi momenti e ritornare in noi stessi), discrezione.

museo2 foto Marta Ghelma

Dopo la prima installazione londinese, verrà organizzato un tour itinerante in giro per il mondo (i prossimi appuntamenti saranno, in Australia, al Perth International Arts Festival (vedi) e al Perth Writers Festival, vedi, in febbraio), ma sarà possibile seguire gli eventi del Museo anche a distanza, sul sito web, dove è già stata attivata una libreria digitale, completa di film e libri che, secondo gli organizzatori, contribuiscono a sviluppare la sensibilità di ognuno (al primo posto nei film c’è Quasi amici di Olivier Nakache e Éric Toledano; nei libri la Comunicazione nonviolenta di Marshall Rosenberg).

Un messaggio quasi rivoluzionario e una scuola per molti razzisti e insofferenti di oggi. Se, ad esempio, solo ci mettessimo nelle scarpe di un vagabondo, di un povero, di un profugo, di un migrante o di un rifugiato, potremo forse comprendere meglio?

Probabilmente l’empatia non salverà il mondo, ma, secondo alcuni, è l’attitudine di cui c’è più bisogno in questo momento, di fronte al narcisismo, all’egocentrismo e all’egoismo, stimolati dal paradigma facebookiano, spesso vuoto e inutile, del “mi piace” non riflettuto.

Per guardare il mondo con occhi diversi. Infine.

A proposito di storie leggi anche: (“Intorno a noi ogni vita è una storia” e “I sette principi chiave dello storytelling“).

Museo dell’Empatia: http://www.empathymuseum.com/

Le storie: https://soundcloud.com/user-341792572

schermata storie

Blog di Roman Krznaric: http://www.romankrznaric.com/outrospection

Intervento di Roman sull‘empatia, tramite sintesi visiva: https://www.thersa.org/about-us, https://www.youtube.com/watch?v=BG46IwVfSu8

 

 

Credo profondamente che la compassione sia la strada non solo per l’evoluzione del pieno potenziale umano, ma anche per la sopravvivenza stessa degli uomini, dal concepimento alla nascita, alla crescita. Per questo dico che gentilezza e compassione sono la mia religione. (Dalai Lama)

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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