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L’Europa in guerra nel Nuovo Disordine Mondiale

L’Europa in guerra nel Nuovo Disordine Mondiale

E’ senz’altro scontato, ma vale la pena ribadirlo e ripartire da qui. L’elezione di Trump alla presidenza degli Stati Uniti segna una svolta storica, di grande profondità, paragonabile perlomeno a quella compiuta agli inizi degli anni ‘80 nel secolo scorso con l’elezione di Reagan. Quest’ultima può essere simbolizzata come l’affermazione del neoliberismo, del primato della finanza sulla politica, della nascita della globalizzazione.

I muscoli di Trump

Quella di Trump si segnala per almeno altrettanti punti di novità, che segnano una radicale rottura di continuità: la fine dello Stato di diritto negli Stati Uniti ( e non solo ), l’assoluto dominio della logica mercantile e finanziaria che non solo considera ancillare la politica, ma si sostituisce completamente ad essa, e il tentativo di instaurare un nuovo ordine imperiale nelle relazioni internazionali, basato unicamente sui rapporti di forza e che, dunque, considera il ricorso alla guerra come strumento normale per regolarle.

Come altro leggere l’utilizzo dei decreti presidenziali da parte di Trump, ad esempio, per dichiarare lo stato di emergenza ai confini con il Messico in relazione all’immigrazione oppure l’arresto e la detenzione dello studente palestinese Mahmoud Khalil, colpevole solo di aver organizzato manifestazioni pro-Palestina, se non come un chiaro tentativo di affermare che esiste solo il potere esecutivo, ispirato in questo dal mentore di Silicon Valley Peter Thiel, che dichiara tranquillamente che non credo più che la democrazia sia compatibile con la libertà ? In quanto alla sostituzione della politica da parte di un’impostazione puramente mercatista e finanziaria, basta vedere come Trump e Musk si stanno muovendo, l’uno come puro immobiliarista e l’altro come protagonista della privatizzazione dello spazio.

Allo stesso modo, sul piano delle relazioni internazionali, parla da solo l’atteggiamento di Trump rispetto a come risolvere la guerra in Ucraina, trattata come una questione commerciale, che si basa solo sul conteggio del dare/avere tra il costo degli aiuti forniti e quanto si può recuperare in termini di sfruttamento delle risorse naturali, a partire dalle terre rare.

Questo nuovo paradigma ha però aspetti ancora più inquietanti rispetto all’epoca precedente, ma non può funzionare e rischia di condurci puramente ad un “nuovo disordine mondiale”.
Forse Trump riuscirà a svolgere pienamente un ruolo da autocrate in patria, anche per la fragilità dei cosiddetti contrappesi del sistema americano, troppo sopravvalutati, per il ricorso ad un’ondata repressiva che può far impallidire il maccartismo e per l’inabissamento del Partito Democratico, che appare incapace di reagire e, soprattutto, non riesce a farlo perché dovrebbe rivoltare come un calzino le proprie politiche degli ultimi decenni. Ma non riuscirà certamente a ricostruire un mondo dominato da un’unica grande superpotenza, quella statunitense.

L’illusione americana

Il mondo multipolare è una realtà da cui non si può tornare indietro, e lo stesso dicasi per la forte interconnessione economica realizzata dalla globalizzazione.
Per dirla più banalmente,
oggi la catena del valore di un’automobile è un processo globale che coinvolge decine di paesi. Oggi, nessuna casa automobilistica produce un’auto interamente in un solo paese: la produzione è frammentata tra diverse nazioni per ottimizzare costi, specializzazioni tecnologiche e logistica. Hai voglia di mettere dazi e favorire il ritorno a casa delle produzioni, ma tutto ciò non sarà mai sufficiente a ricreare il “bel piccolo mondo antico”.

Analogamente, le scelte di politica economica, interna ed internazionale, prospettate da Trump non vanno da molte parti: come evidenziato da molti osservatori, ad esempio, la politica dei dazi, nella migliore delle ipotesi, riaccenderà l’inflazione negli Stati Uniti, danneggiando la gran parte della popolazione, costretta ad acquistare merce che costa di più, oppure, in quella peggiore, quella di una vera e propria guerra commerciale, con il proliferare di dazi e controdazi tra i vari Stati, rischia di innescare una vera e propria recessione su scala mondiale.

Non va meglio per quanto riguarda l’idea di guardare al rapporto tra gli Stati in termini di puri rapporti di forza: sia perché il mondo è costellato ormai non solo tra 2 o 3 grandi potenze globali, ma da tante medie potenze di carattere regionali, ma tutte dotate di forte identità e non disposte a subire passivamente la legge del più forte, sia perché, a partire da quest’assetto, il rischio di moltiplicare i focolai di vera e propria guerra, con la possibilità che si espandano in guerra globale, diventa assai realistico.

Il punto di fondo è che Trump non si rassegna ad uno scenario in cui gli Stati Uniti non sono più la più grande superpotenza, come è stato perlomeno negli ultimi 30 anni; ma quest’idea oggi viene riaffermata in un contesto in cui essi, a differenza del passato, non sono in una fase di ascesa, ma di declino (basti pensare al fatto che gli USA sono il Paese più indebitato con il resto del mondo e hanno un deficit pubblico interno tra i più alti nel mondo). Insomma, non sono più in grado di esercitare una reale egemonia nei confronti degli altri Paesi (intendendo con ciò che anche questi ultimi riconoscono la primazia del Paese più potente), ma devono ricorrere ad un’idea di dominio, con tutto quello che ne consegue in termini di conflitto e di ricorso alla guerra.

L’Europa confusa e subalterna

E’ in questo quadro che va valutato come si sta muovendo l’Europa e cosa sarebbe utile mettere in campo.
Dopo aver sbagliato praticamente tutto nella vicenda della guerra tra Russia ed Ucraina, stando completamente supina nei confronti delle scelte di Biden e ave
ndo sposato la malaugurata e del tutto priva di fondamento teoria che si trattava di andare avanti fino alla vittoria completa dell’Ucraina, condannandosi così al fatto di non aver voluto avanzare nessuna iniziativa diplomatica e tantomeno una proposta di pace possibile, oggi l’Europa perde completamente la bussola, decidendo di puntare tutto sul riarmo.

Si potrebbe obiettare a lungo e con diversi motivi sugli errori di quest’impostazione: dal fatto che il meccanismo degli 800 miliardi previsti , di cui 650 lasciati alle scelte nazionali, è basato sostanzialmente sul riarmo dei singoli Stati alla constatazione che un simile sforzo finanziario significa compromettere tutte le possibilità di mantenere le spese per lo Stato sociale, dall’istruzione alla sanità, facendo venire meno quel che restava del già appannato modello sociale europeo. Oppure, che la linea della Von der Leyen appare costruita appositamente per sostenere lo sforzo molto forte (fino a 1000 mld. di €) che sta facendo la Germania per il riarmo e il sostegno alle infrastrutture, favorendo ulteriormente i nazionalismi già troppo presenti in Europa, o che, semplicemente, è illusorio pensare di superare la crisi industriale tedesca riorentandola verso l’industria bellica.

Anche perché – ulteriore elemento di non poco conto – una volta prodotte le armi devono essere usate o vendute, e ciò significa alimentare le guerre.

Soprattutto, però, il piano REARM Europa, adesso ribattezzato con un po’ di pudore Readiness 2030, significa rassegnarsi a giocare un ruolo subalterno nello scenario mondiale. Anche spendendo di più in armi (e l’Europa già fa tanto, anzi troppo in questa direzione, visto che oggi le sue spese militari sono superiori a quelle della Russia) non si potrà evitare di fare la parte del vaso di coccio tra i vasi di ferro, se prevale la logica guerresca e dei rapporti di forza.

Un’Europa dei diritti e della pace

E’ questo ciò che va ribaltato. L’Europa deve puntare prima di tutto a un ruolo politico, al rilancio del modello sociale europeo, alla costruzione di un’iniziativa che rafforzi il multilateralismo, proponga una nuova stagione di cooperazione internazionale basata su relazioni commerciali paritarie e sulla ripresa di una stagione di disarmo globale. Insomma, una vera politica per la pace, che, in questo senso, modifica anche l’approccio al tema della difesa e della sicurezza, che non è più la difesa militare ed il riarmo per difendersi da un nemico o da una invasione, ma è il consolidamento di un sistema di relazioni tra stati che cooperano, regolato dal diritto internazionale, con un basso investimento negli eserciti e nelle armi, ed alto investimento nella difesa civile e nonviolenta.
E’ il solito pacifismo delle anime belle, che non si confrontano con la durezza dei fatti e della storia? In realtà, a me pare l’unica prospettiva credibile per evitare una deriva che scivola inevitabilmente verso un periodo prolungato di guerre e di disordine mondiale.

Certo, per realizzare tutto ciò, non possiamo avvalerci dei potenti del mondo, né di una classe dirigente europea che è accecata da se stessa e dai nuovi rivolgimenti del mondo. Serve mettere in campo una vera rivolta di popolo, tornare a far vivere quella mobilitazione che, agli inizi del secolo, in occasione della guerra nei confronti dell’Iraq, era stata definita dal New York Times la “seconda potenza mondiale”. Non so se il mio è solo ottimismo della volontà, ma vedo che sta crescendo la consapevolezza collettiva della necessità di reagire e di far sentire forte l’opposizione a quanto sta succedendo. Mi pare una buona partenza, intanto, quella proposta da diverse associazioni e movimenti europei e nazionali di organizzare un movimento europeo contro REARM Europ ( vedi il sito http://www.stoprearm.org/ ). Mi pare importante riportare il testo dell’appello lanciato che trovo, nella sua brevità, particolarmente efficace:

“Ci opponiamo al piano dell’UE di spendere 800 miliardi di euro in armi. Saranno 800 miliardi rubati. Rubati alle spese sociali, alla salute, all’educazione, al lavoro, alla costruzione della pace, alla cooperazione internazionale, alla transizione giusta e alla giustizia climatica. Saranno un beneficio solo per i produttori di armi in Europa, negli USA e in altri paesi.
Renderanno la guerra più probabile, e il futuro più insicuro per tutti e tutte. Genereranno più debito, più austerità, più confini. Approfondiranno il razzismo. Alimenteranno il cambiamento climatico.
Non abbiamo bisogno di più armi; non abbiamo bisogno di preparare altre guerre. Abbiamo bisogno di un piano totalmente differente: sicurezza reale, sociale, ecologica e comune per l’Europa e il mondo intero.
Organizziamo un movimento europeo contro ReArm Europe! Facciamolo insieme”.

Cover: Dalla favola dei vasi di Esopo,  immagine da letteralmente.net

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Corrado Oddi

Attivista sociale. Si occupa in particolare di beni comuni, vocazione maturata anche in una lunga esperienza sindacale a tempo pieno, dal 1982 al 2014, ricoprendo diversi incarichi a Bologna e a livello nazionale nella CGIL. E’ stato tra i fondatori del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua nel 2006 e tra i promotori dei referendum sull’acqua pubblica nel 2011, tema cui rimane particolarmente legato. Che, peraltro, non gli impedisce di interessarsi e scrivere sugli altri beni comuni, dall’ambiente all’energia, dal ciclo dei rifiuti alla conoscenza. E anche di economia politica, suo primo amore e oggetto di studio.

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PAESE REALE
di Piermaria Romani

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)