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Gaio Mecenate
Gaio Mecenate

Gaio Cilnio Mecenate, influente consigliere dell’imperatore Augusto, ha spesso rappresentato il modello di coloro che sostengono attivamente attività artistiche e culturali. Per il suo incoraggiamento alla produzione artistica di grandi intellettuali e poeti, quali Orazio o Virgilio, che diedero anche grande lustro all’immagine di Roma, oggi, per antonomasia vossianica, viene definito “mecenate” colui che sostiene attività culturali in senso lato, incluse opere di restauro di monumenti o di spazi culturali abbandonati.

Se Lorenzo il Magnifico, nel Rinascimento, aveva rappresentato un altro grande e illuminato esempio di mecenatismo italiano, seguito da altri sovrani o aristocratici illustri, tanti altri imprenditori italiani sarebbero entrati nella lista. Va, però, subito precisato che il vero mecenate non è semplicemente un filantropo che dona parte della propria ricchezza senza curarsi dei modi del suo utilizzo. “Mecenate” è tipicamente un imprenditore che pone risorse e know-how imprenditoriale al servizio di una causa di interesse collettivo. Esemplare al riguardo era stato, fra tanti, il caso dei lanaioli di Firenze che realizzarono la progettazione, la costruzione e il finanziamento del Duomo, come ricorda l’economista Stefano Zamagni.

Adriano Olivetti
Adriano Olivetti

In Italia, gli anni ’50 e ’60 furono quelli del mecenatismo industriale di Adriano Olivetti e di Enrico Mattei. I due imprenditori non erano accomunati solo da una reale convergenza di valori (fra questi, un’attenzione particolare alle relazioni con gli uomini della propria azienda, animati da valori etici comuni) ma anche da una grande passione per la cultura. Nella visione olivettiana l’arte è parte del processo aziendale e spesso nasce all’interno della stessa fabbrica come espressione di una “comunità di cervelli”. Artisti di fama internazionale, letterati e poeti sono stati chiamati a collaborare con l’ufficio tecnico di pubblicità di Olivetti, creato nel 1931, per dare il nome a un nuovo prodotto, per progettare lo stand di una fiera, o per creare la vetrina di un negozio, luogo dove meglio si esprime la collaborazione tra discipline: arte, architettura, grafica, design, ma anche la visione comunitaria alla base di ogni progetto, senza firma, ove ciascuno degli autori possa di volta in volta ricoprire ruoli diversi. Il negozio Olivetti progettato da Franco Albini e Franca Helg a Parigi, del 1958, ospitava opere di Marc Chagall, Paul Klee, Mario Mafai, Ottone Rosai, Giorgio Morandi. Ci si trovava in uno spazio aperto, di confronto, avvolti dall’arte.

Enrico Mattei
Enrico Mattei

D’altro lato, per parlare di altra grande azienda italiana, fino a qualche anno fa, immaginare Enrico Mattei nelle vesti di mecenate d’arte poteva sembrare agli storici d’impresa un fatto insolito, ma, nel 2012, sulla base della documentazione dell’archivio storico e del lavoro di catalogazione del patrimonio artistico aziendale di eni, realizzato a partire dal 2009, la responsabile di tale archivio, Lucia Nardi, ha ricostruito, in alcuni scritti, la storia del mecenatismo di Enrico Mattei. O almeno in parte. Di fatto, questa storia è stata inserita nel contesto dell’imprenditoria illuminata dell’Italia degli anni ’50 e ’60, di cui erano esponenti anche Adriano Olivetti, Oscar Sinigaglia e Giovanni Agnelli Sr., che vedeva nel connubio fra arte e industria un potente fattore di progresso sociale. Lo studio ha esaminato le politiche culturali dell’eni anche dopo la scomparsa di Mattei, fino agli ultimi interventi decisi all’insegna della “corporate social responsibility” (o della sostenibilità, per essere più moderni), destinati, mediante partnership con musei e centri espositivi, a far conoscere i grandi artisti al più largo pubblico. Basti pensare al restauro della facciata della Basilica di San Pietro avviato nel 1996 in occasione del Giubileo del 2000 (citato spesso come primo caso di cause related marketing) o a quello della facciata del Duomo di Milano, nel 2003. Ma non solo. Finanziamenti ma anche supporto in termini di progettazione e ingegneria.

In effetti, l’atteggiamento delle grandi aziende nelle relazioni con il mondo dei beni culturali, è, in generale, notevolmente cambiato. Oggi non si parla più di semplice sponsorizzazione, di finanziare l’arte per l’arte, per propria passione individuale e personale, in un’accezione strettamente “filantropica”, di pura liberalità. Oggi si parla di cooperazione, di supporto reciproco, di una tutela e valorizzazione dei beni culturali di cui tutti possano beneficiare. Non si tratta più di sporadici interventi di mecenatismo caratterizzati da finanziamenti occasionali di mostre, restauri o pubblicazioni, ma di interventi che collocano l’azienda al centro di un territorio e di una comunità, in un concetto di dialogo e di partenariato attivo che spesso comporta lo scambio o la messa a disposizione di know-how. La visione deve essere dinamica, attiva e partecipativa. Talvolta l’impresa può anche agire da sorta di “talent scout”, alla ricerca di un dinamismo partecipativo e di un nuovo che possano valorizzare talento ed energia. L’incontro tra le due realtà, artistico-culturale e imprenditoriale, deve diventare una sorta di caleidoscopio, dove poter vedere le interconnessioni e immaginare sviluppi creativi sinergici. Il “mecenate” deve poter ritrovare i propri valori e magari veicolarli attraverso una sapiente e intelligente cooperazione che li metta in evidenza. Se ci si occupa di energia, ad esempio, cosa è meglio di un messaggio sull’importanza di veicolare energia, su come, insieme, si possa essere motori di essa e produrla, su come le varie forme di energia siano parte integrante della vita e della storia di un’azienda oltre che di quella di persone che da essa traggano altra energia? Se si lavora nel campo della formazione, come non veicolare un messaggio di importanza di un valore culturale e d’integrazione laddove si lavori in un determinato territorio e verso o con comunità con esigenze particolari? Il mondo è cambiato, e con esso il suo “mecenate”. Sempre secondo Lucia Nardi, bisogna “buttare giù il muro che si crea tra la fruizione dell’arte e la società. Abbiamo un atteggiamento ‘democratico’ nei confronti dell’arte: speriamo che le cose che facciamo siano viste dal numero maggiore di persone”. Le possibilità di lavorare insieme sono tante, spesso per (ri)creare un capitale culturale comune. Se poi anche i nuovi incentivi fiscali aiutano…

Abbracciamo_la_cultura

Immagine in evidenza, Mecenate presenta le arti ad Augusto (Giambattista Tiepolo)

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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