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Andrei Platonov è stato uno dei più grandi, e misconosciuti, scrittori russi del Novecento: odiato da Stalin, venne imprigionato, ma era un comunista vero e alla cultura destrorsa dell’occidente non serviva per propagandare l’anticomunismo viscerale di tipo maccartista che dominava il mondo al di qua della cortina di ferro. Era un comunista libertario, una specie da evitare come la peste. Il suo capolavoro, “Il villaggio della nuova vita”, pur tradotto in italiano ed editato da Mondadori e, se non ricordo male, da Rizzoli, morì dimenticato sulle scansie delle librerie, sepolto sotto le macerie di una letteratura molto spesso d’accatto. Non doveva essere letto e amato dagli italiani, non si sa mai. Ma il suo fantastico racconto è sempre più inesorabilmente attuale. Narra di un uomo, il quale non accetta la fine della rivoluzione d’ottobre e parte alla ricerca di quella che chiama la sua fidanzata, Rosa Luxemburg, morta – secondo questo matto protagonista- soltanto per la propaganda capitalista. Parte in groppa al suo cavallo dal nome emblematico di Forza proletaria: non arriverà mai a trovare la Luxemburg, ma giungerà in un paese anarchico ai confini delle Russie, dove la gente, in barba alla stupida burocrazia, ogni giorno cambia posto alla propria casa ambulante: qui, in questo nuovo mondo, nuovo e libero, si fermerà. E’ chiara la matrice utopistica del romanzo, ma senza utopie l’uomo dove finirà? Ho ripensato a Platonov leggendo di quella povera donna polacca morta di freddo qui a Ferrara, sotto un ponte, anche lei era arrivata nel nostro paese, non in groppa a Forza proletaria, ma in pullman, alla ricerca di un nuovo mondo, giusto e libero, l’utopia non ha confini: l’Italia giusta e libera? Per carità. Il nostro paese è un concentrato di ingiustizie spesso imbecilli, in mano a coloro che strillano più forte, agli imbonitori da fiera: per favore, si guardino i nostri uomini politici, coloro i quali dovrebbero cambiare il Paese, non hanno programmi, nemmeno sogni, hanno molta voce, strillano come dei pazzi uno contro l’altro. E’ uno scenario grigio quello in cui viviamo. C’è qualcuno che vuole cambiare sistema, che non vuole più essere servo di interessi economici misteriosi e quasi sempre sballati, che voglia crescere delle generazioni solidali, che voglia la giustizia sociale? Utopia? Utopia, meglio che queste urla volgari che sentiamo ogni giorno. Martin Luther King aveva un sogno, i nostri linguacciuti baroni no, non corrono il rischio di essere uccisi, nemmeno – purtroppo – di andare in galera se hanno rubato.

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Gian Pietro Testa


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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