Le voci da dentro /
Con il rugby si può cambiare
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Le voci da dentro. Con il rugby si può cambiare
Thomas Arnold, da molti considerato il padre dello sport moderno, nella sua visione dello sport si poneva l’obiettivo educativo di preparare gli uomini del domani attraverso i giochi di squadra, soprattutto il rugby.
Le tre caratteristiche del suo pensiero erano: prediligere l’equilibrio, irrobustendo il corpo e frenando gli impulsi; sviluppare il senso della responsabilità personale attraverso il rispetto verso l’avversario; adottare soluzioni impreviste di fronte alle situazioni variabili in modo da prepararsi alla vita.
Per dar forza al suo pensiero, Thomas Arnold diceva che “Nel rugby si gioca con un avversario non contro un avversario”.
Mi sembra che questa sia una frase molto significativa che riassume chiaramente il senso di rispetto che esiste nel rugby.
Credo anche che quegli obiettivi prefissati da Arnold tanti anni fa si adattino perfettamente sia ai bisogni educativi della società attuale e, allo stesso modo, possano essere elementi trainanti di un progetto di reinserimento sociale, coerente con l’articolo 27 della nostra Costituzione.
Uno di questi progetti nazionali è Rugby oltre le sbarre, perché ha l’obiettivo ambizioso di contribuire alla risocializzazione delle persone detenute, attraverso l’applicazione concreta dei valori educativi caratteristici di questo sport: il sostegno al compagno, il valore della disciplina ed il rispetto delle regole, dell’avversario, dell’arbitro.
I risultati delle tante esperienze del progetto Rugby oltre le sbarre dimostrano evidenti effetti positivi sul consolidamento dei rapporti umani dentro il carcere attraverso una nuova percezione dell’altro e soprattutto, grazie al rispetto delle regole. Tutto ciò porta anche ad un abbassamento significativo della recidiva, che è fra le principali finalità di una buona rieducazione.
Proprio nell’ambito di questo progetto, sabato 3 maggio 2025, nel campo sportivo della Casa Circondariale di via Arginone, è avvenuto il debutto ufficiale della squadra Rugby27, i cui giocatori sono ragazzi detenuti nel carcere di Ferrara, che ha incontrato i Cinghiali del Setta di Bologna.
Rugby27 è un’associazione sportiva nata a Ferrara su iniziativa di un gruppo di volontari, tecnici, atleti e dirigenti nell’estate del 2021 mentre i Cinghiali del Setta fanno parte della rete italiana di rugby Popolare, alla quale aderiscono diverse realtà su tutto il territorio nazionale che condividono una visione dello sport, antirazzista e antifascista, basata sull’inclusività e sul rispetto, senza limiti di età, capacità, sesso, religione, provenienza o etnia.
L’iniziativa di sabato, più che una partita, è stato un altissimo momento di incontro, sia sportivo che umano, che è potuto accadere grazie all’impegno di Stefano Cavallini, responsabile del progetto, dei tecnici Ulderico Montanari e Francesco Cavallini, con la collaborazione indispensabile della direzione, della comandante, del personale dell’area educativa, della polizia penitenziaria della Casa Circondariale di Ferrara, con il patrocinio del Comune di Ferrara.
La partita è stata di buon livello e, a riprova del fatto che il risultato sul campo conta meno sia dell’impegno comune che del capire che “libertà è partecipazione”, l’ultimo dei tre tempi da dieci minuti è stato giocato dalle due compagini “rimescolate”: in pratica alcuni giocatori de “i Cinghiali del Setta” hanno preso l’iniziativa di andare a far parte del “Rugby27” e viceversa.
È stato sorprendente assistere allo scambio delle maglie a partita ancora in corso e non alla fine, come nel calcio.
È stata la metafora stupenda del “mettersi nei panni dell’altro” per far capire che, nella vita, un cambiamento è possibile, accettando di condividere gli stessi valori, scegliendo di vivere impegnandosi, rispettandosi e sostenendosi.
Insieme al classico terzo tempo, credo che questo sia stato un momento che di grande insegnamento; non è un caso che, dal rugby come sport di “sana e robusta Costituzione”, ci sia davvero molto da imparare.
Nel mio piccolo, da ex giocatore di rugby, ho imparato in prima linea, che…
Nello sport più sociale, si gioca in tanti perché c’è bisogno di diversi contributi e punti di vista per raggiungere l’obiettivo… come nell’inclusione.
Nello sport più strano, la palla non è rotonda, per cui non bisogna solo saperla lanciare e colpire con la giusta forza, ma occorre soprattutto saperla ricevere… come nell’accoglienza.
Nello sport più collettivo, chi deve ricevere la palla sta più indietro rispetto a chi la porta per osservare la strada che ha fatto chi è venuto prima di lui e, grazie al suo aiuto, proverà a trovare il proprio percorso originale… come nella cooperazione.
Nello sport più educativo, si valorizzano le capacità e le abilità di ciascuno… come nella solidarietà.
Nello sport più combattivo, occorre lottare per difendere i propri spazi … come per i beni comuni.
Nel rugby, per arrivare alla meta, occorre sudare, scontrarsi, soffrire, sostenersi, stringersi… insieme, come nella vita.
Le immagini della cover e nel testo dell’articolo sono state dall’autore durante la partita
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Mauro Presini
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PAESE REALE
di Piermaria Romani
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
Non ho l’ età e soprattutto il fisico ma posso fare il tifo. Si: Nel rugby, per arrivare alla meta, occorre sudare, scontrarsi, soffrire, sostenersi, stringersi… insieme, come nella vita.