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Le mille luci di New York, al centro di un mondo dal cuore di tenebra

Le mille luci di New York, al centro di un mondo dal cuore di tenebra

Un immigrato di origine indiana e ugandese nato a Kampala, 34 anni, musulmano, che si autodefinisce socialista, è appena diventato sindaco di New York. Il suo nome è Zohran Kwame Mamdani.

Prova a rileggere la frase sopra. Leggila lentamente. Presta attenzione alle origini, al credo religioso, all’età, all’ideologia professata, alla città. Prova a pronunciare il suo nome. Vai a vedere dov’è l’Uganda.

Se qualcuno avesse ipotizzato una cosa del genere solo un anno fa, gli avrei riso in faccia. Avrei ritenuto molto meno fantascientifico che una fumata bianca annunciasse un Papa nero. New York è la città in cui, 24 anni fa, un gruppo di musulmani suicidi ha costretto due aerei di linea a fare rotta contro le Torri Gemelle del World Trade Center e a schiantarvisi contro, causando quasi tremila morti, l’immagine tragica più iconica del ventunesimo secolo. New York non è una città capitalista, è la città capitalista. New York è la città in cui risiede il più elevato numero di miliardari in dollari, i billionaires. New York è la città al mondo, fuori da Israele, in cui risiedono la maggior parte delle persone di ascendenza ebraica: circa due milioni. La parola “socialismo” in questa città è sempre suonata più blasfema della parola “fascismo” . New York è la città di Donald Trump, il politico-imprenditore-presidente bianco più ricco, gaglioffo e capitalista del pianeta, la cui elezione è sembrata meno incredibile agli italiani che agli statunitensi, semplicemente perché noi ci siamo passati prima di loro.

Un anno fa Mamdani godeva dell’uno per cento dei consensi nella corsa a sindaco. E’ riuscito a conquistare il consenso del 51% dei votanti, che sono andati alle urne in massa, come non succedeva da 50 anni. Tutto questo è accaduto nonostante, durante la campagna elettorale, Mamdani sia stato accusato di ogni nefandezza: di essere comunista (negli Stati Uniti è un insulto),  jihadista, antisemita, immigrato.

Di fronte a queste accuse, Mamdani non ha annacquato nessuna delle sue convinzioni. Ha ribadito di essere un socialista, ma non ha mai detto di essere comunista. Ha rivendicato con orgoglio il suo essere musulmano, ma non ha mai parlato di sharia. Ha precisato che riconoscerebbe Israele così come riconoscerebbe ogni stato che assicurasse pari diritti a ognuno dei suoi cittadini, a prescindere da razza e religione, e non praticasse l’apartheid (nota: qualcuno chiese di “riconoscere” il Sudafrica razzista che teneva in galera Mandela? Il Sudafrica esisteva, e basta. Non aveva, al tempo, bisogno di riconoscimenti, piuttosto di boicottaggi e sanzioni). Quanto all’immigrato, ricevere quest’accusa da gente che è immigrata per definizione, perchè se non lo fosse sarebbe il discendente di un Navajo, di un Apache o di un Seminole, è veramente comico: ma di questi tempi l’ICE distingue tra immigrati bianchi, i buoni, e colorati, i cattivi (compresi i nativi americani, a volte oggetto di espulsione dalla terra che i loro antenati abitano da millenni). Tra i buoni, annoveriamo Donald Trump, Elon Musk (che non è nato negli Stati Uniti, esattamente come Mamdani), David Zuckerberg. Tra i cattivi, tutti i colored, a meno che non siano ricchi. Negli Stati Uniti il colore della pelle è sempre un problema, a meno che non diventi ricco e di successo: allora, la pelle si sbianca.

Che la comunità musulmana della Grande Mela lo abbia votato in massa non sorprende, ma ovviamente non sarebbe bastato per vincere. Si stima che un ebreo newyorchese su tre abbia votato per lui, e che i 3/4 dei giovani sotto i trent’anni abbiano votato per lui. Il suo programma è incentrato sulla restituzione di New York a tutti i suoi cittadini, anziché solo a quelli che se la possono permettere, che sono sempre di meno: congelamento degli affitti, asili nido universali, trasporti pubblici gratuiti, edilizia popolare – 200.000 immobili in dieci anni. Come trovare i soldi? Prevalentemente, attraverso un aumento delle tasse sui ricchi (tax the rich).

“Oggi tra noi sta crescendo una concentrazione di potere privato senza eguali nella storia. Tale concentrazione sta seriamente compromettendo l’efficacia dell’impresa privata come mezzo per fornire occupazione ai lavoratori e impiego del capitale, e come mezzo per assicurare una distribuzione equa del reddito e dei guadagni tra il popolo della nazione tutta.”  Sembra una frase di Mamdani che descrive la situazione nel 2025. Invece è di Franklin Delano Roosevelt, ed è stata pronunciata nel 1938.  Eppure, se pensi che sia stato semplice costruire un consenso di massa su un programma di redistribuzione di base del reddito – un programma quindi niente affatto comunista, ma piuttosto rooseveltiano – stai sottovalutando la potenza dei finanzieri e speculatori miliardari, alcuni ebrei, che hanno finanziato la propaganda contro Mamdani. Tutti contro Mamdani, tranne uno: George Soros. E’ incredibile come la definizione di “speculatore ebreo” ridiventi demoniaca quando riferita a George Soros e torni ad essere la naturale descrizione di abili uomini d’affari quando si parla di Bill Ackman o di Vanguard o di Blackrock. E’ incredibile come l’appoggio della famiglia Soros, ebreo ungherese, sia interpretato dai commentatori destrorsi come la prova che Mamdani è finto, è sostenuto dalla grande finanza ebraica, che improvvisamente ridiventa sporca e cattiva quando sostiene un candidato progressista, mentre è rappresentata come l’inevitabile “fine della storia” quando sta dalla parte del privilegio, della ricchezza insensata, della sperequazione priva di freni. E come improvvisamente l’antisemitismo complottista rispunti proprio dalle parti dei grandi difensori del regime e dello stato di Israele, quelli che accusano di antisemitismo chiunque si permetta di criticare l’ideologia sionista e segregazionista che comanda da tempo in Israele stessa.

Dopodiché: vincere delle elezioni, per quanto avere vinto questa elezione appaia già, a me, un’impresa eccezionale, è meno complicato che governare una città come New York.  Alcuni dei punti del programma del neosindaco sono ineccepibili socialmente e moralmente, ma di ardua attuazione. L’aumento dell’aliquota dell’imposta sulle società per allinearla all’11,5% del New Jersey, che farebbe introitare 5 miliardi di dollari; la tassa del 2% in più sulle persone che guadagnano più di 1 milione di dollari, che secondo le sue stime farebbe incassare 4 miliardi di dollari; sono misure che devono fare i conti anzitutto con la governatrice dello Stato,  la democratica e sicuramente progressista (nel capo dei diritti civili) Kathy Hochul, che è in corsa per la rielezione il prossimo anno, la quale ha già escluso di voler tassare i ricchi. Poi deve fare i conti con Trump, che ha dichiarato di voler trasferire il minimo di fondi federali a New York per rendere la vita impossibile al finanziamento dei programmi sociali della città; contro questo ricatto Mamdani ha ingaggiato un plotone di avvocati per contrastare in punta di diritto le minacce del presidente. Infine c’è la possibilità che i billionaires se ne vadano da New York, cercando riparo in qualche paradiso fiscale o semplicemente in qualche località della Florida dove l’obbligo fiscale sarebbe decisamente più blando. Si sa: i ricchi possono spostarsi facilmente, i poveri restano, la classe media anche. In realtà sono già anni che questo “esodo” avviene, e si calcola che abbia eroso la base imponibile di New York di circa 500 miliardi di dollari nell’ultimo decennio.

Appare quindi già chiaro a chiunque non sia pazzo che la corrispondenza, almeno parziale, tra le “promesse” di Mamdani e la loro concreta attuazione passerà necessariamente per dei compromessi. Servirà una gigantesca opera di instaurazione di relazioni diplomatiche con la parte meno avida dell’establishment, per non vanificare le aspettative generate nell’enorme movimento di rinascita dell’entusiasmo per la politica che Mamdami è stato capace di generare attorno alla sua figura.

 

Photos: wikimedia commons

 

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Nicola Cavallini

E’ avvocato, anche se lo stipendio fisso lo ha portato in banca, dove ha cercato almeno di non fare del male alle persone. Fa il sindacalista per colpa di Giorgio Ghezzi, Luciano Lama, Bruno Trentin ed Enrico Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.

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