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Lo svarione sul recupero degli scatti di anzianità al personale della scuola è un ennesimo esempio a conferma che l’Italia è ormai un caso serio. Almeno politica e istituzioni lo sono di sicuro.
Il problema pare sempre lo stesso: un groviglio talmente attorcigliato di questioni su ogni tema, da sembrare l’esito premeditato di uffici complicazioni affari semplici che paiono al lavoro, indisturbati, da sempre.

Come si legge sui giornali, la questione “scatti” risalirebbe a quando il governo Berlusconi volle congelare gli aumenti 2010, 2011 e 2012, nell’ambito del perenne problema del taglio alla spesa.
Una complicata trattativa governo-sindacati trovò un accordo: una quota dei risparmi ottenuti con la riduzione degli organici della scuola andava destinata al personale, nel nome della valorizzazione bla bla.

In questo modo nel 2010 le risorse sono finite nelle tasche degli insegnanti.
L’anno successivo, con decorrenza 2012, i soldi non sono bastati e per coprire la spesa si è dovuto ricorrere al fondo per gli istituti.
Intanto a palazzo Chigi c’era Mario Monti perché, si sa, in Italia i governi si succedono alla velocità di una staffetta quattro per cento su una pista di atletica.
Per il 2012, decorrenza 2013, il testimone passa al frazionista Enrico Letta, il quale, a trattativa in corso, decide di prorogare il congelamento delle anzianità per un altro anno.
Così le somme pagate nel frattempo da aprile 2013, un centinaio di euro al mese, in una situazione di vuoto normativo hanno trasformato gli insegnanti in debitori verso lo Stato.

Da qui la decisione, nel novembre dell’anno appena terminato, di trattenere i 150 euro dalle buste paga.
Non proprio un campionato mondiale di eleganza, quindi.
Poi, come noto, lo scambio negli ultimi giorni delle dichiarazioni fra i ministri Maria Chiara Carrozza e Fabrizio Saccomanni.
E qui non c’è bisogno di scomodare il galateo istituzionale per ricordare che frasi come: “Se i soldi li trovi nei risparmi di spesa nel tuo ministero bene, altrimenti non venire a chiederli a me”, di solito non si addicono ad un governo-squadra, innanzitutto legato da reciproca stima.

Comunque, al prezzo di un’ennesima figuraccia, è stata messa la solita pezza e i prof avranno le loro buste paga immacolate, anche se qualche dubbio, secondo alcuni, permane per il personale ata.
Nessuno, a quanto pare, che a questione chiusa si faccia una domanda.
Scatti di anzianità?
Possibile che con tanto vociare al vento di merito e di società meritocratica, stiamo ancora parlando di aumenti di stipendio solo perché, come cantava Luigi Tenco, “Un anno dopo l’altro, il tempo se ne va”?

Probabilmente non si contano più le dimostrazioni di power point di esperti e studiosi, per sostenere che se si vuole riformare davvero la pubblica amministrazione in questo paese scassato, bisogna correlare i premi con i risultati. Invece noi continuiamo imperterriti nel 2014 dopo cristo, a mortificare talenti, intelligenze e impegno, con parametri feudali come parentele, amicizie, raccomandazioni e carte d’identità.

Perché a noi il record mondiale della burocrazia più complicata, stupida e anche utile muro di gomma, non ce lo toglie nessuno.
In Italia, politica e, pure, sindacato, hanno storicamente sulla propria coscienza il problema di una pubblica amministrazione che invece di essere un servizio è un’enorme tengo famiglia e noi siamo ancora qui che parliamo di scatti di anzianità.

Tra l’altro in un settore, la Scuola, che tutti sbraitano strategico per il paese, i giovani, la competitività, la sfida globale della conoscenza.
Vengono in mente le parole di quel tale che si congratulò col prete per l’omelia: “Belle parole padre. Non che io creda ad una sola cosa che lei ha detto, ma belle parole padre”.

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Francesco Lavezzi

Laurea in Scienze politiche all’Università di Bologna, insegna Sociologia della religione all’Istituto di scienze religiose di Ferrara. Giornalista pubblicista, attualmente lavora all’ufficio stampa della Provincia di Ferrara. Pubblicazioni recenti: “La partecipazione di mons. Natale Mosconi al Concilio Vaticano II” (Ferrara 2013) e “Pepito Sbazzeguti. Cronache semiserie dei nostri tempi” (Ferrara 2013).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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