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Dunque, con sentenza del 18 luglio scorso i giudici della seconda sezione della Corte d’Appello di Milano hanno assolto Silvio Berlusconi dai capi d’accusa che gli erano stati mossi in primo grado, in merito al processo attorno alla ragazza marocchina Karima El Marough, in arte Ruby rubacuori.

L’impianto accusatorio dei pm milanesi Ilda Boccassini ed Antonio Sangermano, che avevano chiesto sette anni di condanna per l’ex premier per i reati di concussione (sei anni) e prostituzione minorile (un anno), è stato completamente ribaltato.

Per saperne di più occorrerà aspettare le motivazioni della sentenza, ma intanto si legge che il collegio giudicante presieduto da Enrico Tranfa ha stabilito che per la prima ipotesi “il fatto non sussiste”, mentre per la seconda “il fatto non costituisce reato”.

In parole povere, la sera del 27 maggio 2010 quando la giovane Ruby fu fermata dalla Questura di Milano per furto, nella telefonata da Parigi che fece l’allora presidente del Consiglio, a seguito della quale la ragazza marocchina anziché finire in comunità venne affidata alla consigliera regionale Nicole Minetti e poi ospitata in casa di una prostituta, i giudici non hanno trovato alla fine alcun elemento di concussione o di costrizione nei confronti dei funzionari di polizia Pietro Ostuni e Giorgia Iafrate.

Lo stesso Berlusconi, inoltre, è risultato convinto che Ruby fosse effettivamente parente del presidente egiziano Hosni Mubarak e quindi preoccupato di evitare un incidente diplomatico.

Da qui il risultato processuale dell’accusa di concussione (dal latino scuotere), e cioè di avere fatto pressioni sulla Questura: il fatto non sussiste.

Si legge poi che nemmeno il reato ipotizzato di prostituzione minorile ha retto al vaglio della Corte d’Appello, perché l’imputato è risultato non essere a conoscenza del fatto che Ruby fosse minorenne. Qui la formula giuridica dell’assoluzione è stata, appunto, “il fatto non costituisce reato”.

Mi viene in mente quello che diceva Roseda Tumiati nelle sue indimenticabili lezioni di diritto: “Attenzione perché le parole non sono mai dette a caso”.

La questione riguarda le famose serate galanti ad Arcore, delle quali la stessa Karima fu ospite. Sono state definite in tanti modi, dal Bunga Bunga, fino all’accostamento fatto dallo stesso Berlusconi al burlesque.

Ora, se le parole che si leggono hanno un senso vuol dire che nel caso quegli incontri fossero stati dei tornei a canasta, a nessuno sarebbe venuto in mente di sollevare il problema della minore età della ragazza. È forse vietato giocare a carte con una diciassettenne?

Si dà il caso, quindi, che le serate non si siano svolte al tavolo da gioco, ma sotto le lenzuola. Qualcuno ha anche detto che la stessa linea difensiva dell’ex Cavaliere, messa a punto dagli avvocati Franco Coppi e Filippo Dinacci, si è svolta sulla base di questa premessa.

Da qui, appunto, la formula giuridica “il fatto non costituisce reato”. È stato contestato il reato, ma non il fatto in sé.

Dicendo questo non si vuole finire nel girone infernale nel quale l’ateo devoto Giuliano Ferrara, non senza ragione, mette i vari guardoni, bacchettoni, pruriginosi, falsi moralisti e voraci usurpatori della riservatezza personale.

Semmai questo sarà un problema per quegli alti prelati e curiali di santa romana chiesa che, per giustificare un’alleanza politica nel nome della difesa dei valori non negoziabili, sono arrivati addirittura a contestualizzare la bestemmia.

Più laicamente, da cittadini è lecito farsi alcune domande sulla vicenda, sempre che le cose che si leggono e si sentono ai tg siano esatte.

Ammettiamo, come scrive ancora Ferrara su Il Foglio (19 e 20 luglio), che queste risultanze processuali siano la dimostrazione di un ventennale “spirito inquisitorio senza prove” ai danni di Berlusconi. “Essenza storica – incalza – del partito dei magistrati e dei giornalisti combattenti, un grumo intimidatorio di antidemocrazia e di illiberalismo”, messo in atto mediante una gogna mediatica praticamente senza limiti e precedenti.

Di questo passo si arriva alla teoria del complotto e del colpo di Stato (tesi scritta e riscritta anche sulle colonne di Libero e Il Giornale), ai danni di Berlusconi (vittima e non colpevole) e della sua azione di governo sempre legittimata dagli italiani, per mano di una sinistra (il mandante) che non avendo mai assimilato pienamente la cultura democratica, non accetta le sconfitte elettorali e cede ripetutamente alla tentazione del ribaltone. Della manovra di palazzo lontano dalle urne, per conquistare il potere (in virtù del principio che la verità è a sinistra), con la complicità di certa stampa intellettual-progressista e di una parte della magistratura. Il tutto a formare un’egemonia culturale di impronta gramsciana, che agirebbe come una pedagogica morsa sulle menti dell’opinione pubblica nazionale.

Da qui anche la domanda che echeggia dopo la sentenza: e adesso chi risarcisce gli italiani da questo gigantesco furto della democrazia?

Volando molto più basso del direttore de Il Foglio, e di tutti quelli che la pensano così, è lecito pensare anche a che razza di presidente del Consiglio abbia avuto questo paese (il più longevo della storia della Repubblica), il quale non sa se chi si porta non solo a casa propria ma sotto le lenzuola sia una minorenne e, peggio, tantomeno è informato se sia o no la nipote di un capo di Stato.

Tanto da intervenire, da una capitale europea nella quale si trova per impegni istituzionali, su una Questura (sia pure lecitamente) e da interessare successivamente un intero Parlamento della questione. Con inevitabili pagine e pagine di giornali e telegiornali, che leggono e vedono anche all’estero questo singolare svarione.

Sorge cioè spontaneo il dubbio come possa una persona così (diciamo?) vulnerabile, leggera e disinvolta al limite del guascone nel curare le proprie frequentazioni personali, pretendere di rappresentare e tutelare un intero paese nelle vesti di una delle più alte cariche dello Stato italiano.

Il punto non sono allora le disinibite frequentazioni personali (ognuno è libero di fare della propria vita ciò che vuole), ma se quei risolini del duo Merkel-Sarkozy in un consesso europeo siano esclusivamente il risultato di una complessiva gogna denigratoria, autolesionista al punto da essere incurante delle conseguenze sulla credibilità delle istituzioni nazionali e sulla reputazione del paese stesso sulla scena internazionale, oppure se Berlusconi non ci abbia messo anche molto del suo, tanto da essere stato percepito da fuori inadatto a governare.

Certamente l’ex premier ha sempre avuto dalla sua le urne piene, a differenza di altri, e questo in democrazia è ciò che conta.

Ma in democrazia non è nemmeno proibito avere dei dubbi sulle qualità almeno istituzionali di una persona, che spesso ha dato invece l’impressione di essere ben al di sotto di quelle aspettative.

Pepito Sbazzeguti

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Francesco Lavezzi

Laurea in Scienze politiche all’Università di Bologna, insegna Sociologia della religione all’Istituto di scienze religiose di Ferrara. Giornalista pubblicista, attualmente lavora all’ufficio stampa della Provincia di Ferrara. Pubblicazioni recenti: “La partecipazione di mons. Natale Mosconi al Concilio Vaticano II” (Ferrara 2013) e “Pepito Sbazzeguti. Cronache semiserie dei nostri tempi” (Ferrara 2013).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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