Lavoro povero e lavoro ricco, un divario da colmare
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Lavoro povero e lavoro ricco, un divario da colmare
Negli Stati Uniti quando ci si presenta si fa anche capire quanto si guadagna. Un’usanza che non esiste in Europa e nelle altre culture. In Cina si dice quanti figli si hanno. Gli americani, condizionati da una religiosità calvinista ed evangelica, giudicano le persone in base ai talenti (che si devono tradurre in soldi), premiati dalla “grazia” e, come tali, meritevoli. I poveri hanno così uno stigma: è colpa loro. Il cristianesimo, alla base della cultura europea, non ha nulla a che vedere con questo approccio e si basa su principi di fratellanza, uguaglianza, amore, e rispetto dei poveri. Forse per questo negli Stati Uniti c’è una forte disuguaglianza tra i salari e ancor più tra redditi e patrimoni che si riscontra così intensa solo nei paesi poveri, mentre normalmente più un paese si arricchisce, più le differenze tra i salari si riducono.
La tabella sottostante tratta dal rapporto ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) di fine 2024 mostra i principali indici salariali nei paesi ad alto reddito, medio-alto, medio-basso e basso. L’indice di Palma mostra come esso diminuisce più un paese diventa ricco. Tra i poveri è 5,28, tra i ricchi è 1,44. Così è per gli altri indici (D9 diviso D1, significa il rapporto tra il 9° decile e il 1° -il 10% più povero- nella distribuzione dei redditi). Dal 2008 al 2024 ILO mostra una crescente tendenza nel mondo all’eguaglianza salariale, nel senso che tutti questi indici si riducono per quasi tutti i paesi, ma non per gli Stati Uniti dove il 10% dei lavoratori più pagati aumenta ancora rispetto ai meno pagati. In Europa avviene il contrario e ciò mostra una delle qualità dell’Europa: una crescente cultura egualitaria a favore del fatto che i salari (che hanno differenze anche forti) sono sempre meno sperequati.
Vale anche per l’Italia, la quale però ha visto ridursi i propri salari reali (post inflazione) dal 2008 al 2024 dell’8,7%, mentre tutti gli altri paesi del G-20 (escluso UK, Giappone e Messico) hanno visto una crescita che è stata molto forte soprattutto tra i Brics.
La forte crescita dell’occupazione in Italia dopo il 2021, proprio a causa dei bassi salari, non riesce ad aumentare il reddito netto reale delle famiglie che è infatti sceso da valore 92 del 2019 a 88 nel 2023 (fatto=100 il 2003) e scende anche dal 2022 al 2023, come si può notare dalla figura. (https://www.istat.it/comunicato-stampa/condizioni-di-vita-e-reddito-delle-famiglie-anni-2023-e-2024/)
L’Italia ha subito come Spagna, Portogallo e Grecia due ferite: a) l’allargamento del 2004 che ha fatto entrare nella UE 100 milioni di lavoratori a basso salario dell’est; b) la recessione “americana” di 4 anni dal 2008 al 2012. Come si desume anche da Eurostat (dati non deflazionati) il salario mensile è attorno ai 2.500 euro, lontano dai 3.127 dei tedeschi o 4.582 della Norvegia. Sono cresciuti molto quelli dei polacchi e dell’est Europa. Se la Germania ovest ha aiutato la Germania est, il Sud Europa ha aiutato l’Est. Una conferma viene anche dai dati OCSE che confrontano il 3° trimestre 2024 col 1° trimestre 2021: per Italia e Spagna c’è un calo reale del -7,4% e -4,5%; per Polonia e Ungheria un aumento reale di +7,4% e +12,2%. Maggiori dettagli si trovano anche sull’ultimo Rapporto INPS di settembre 2024 (https://www.inps.it/it/it/dati-e-bilanci/rapporti-annuali/xxiii-rapporto-annuale.html).
Bisogna però fare alcune precisazioni per l’Italia. I dati ILO considerano la retribuzione oraria contrattuale che in Italia è crollata a partire dal 2020 per la mancanza di rinnovo di moltissimi contratti. C’è anche una buona parte di lavoratori (le nostre 4mila mini-multinazionali a forte export e molte imprese di Lombardia ed Emilia-R., che da sole depositano più della metà dei brevetti in Italia) che hanno salari reali molto sopra il 2008. Qui si parla infatti di media, il che significa che altrove e nelle imprese deboli i salari sono davvero miseri. Una tendenza negativa dell’Italia (con Francia, Regno Unito e Usa) è che i salari dei più pagati (1% e 5% sul totale) sono cresciuti sopra la media, al contrario di quanto avvenuto nel resto d’Europa (dove sono cresciuti meno).
La media salariale non dice inoltre molte cose, tra cui quanti sono quelli pagati pochissimo. Nei 27 paesi europei i “super sottopagati” sono pochi sul totale di chi lavora (Italia 0,9%, max Danimarca con 4,5%, a parte l’Estonia con 10,2%.). Mentre UK con 5,5% e USA con 9,3% mostrano la tendenza anglosassone ad una forte disuguaglianza salariale (a carico di immigrati). Ancora di più sono i sottopagati in Cina (14%). In Brasile sono 6,5% e in Africa 20-30% (fonte ILO, mentre la tabella è fonte Eurostat). Dati utili per capire come sta l’Italia rispetto ad altri, ma va precisato che per Istat a rischio di lavoro a basso reddito sono il 20% (1 su 5).
Tra il gruppo dei 30 paesi ad alto reddito, 19 sono membri dell’UE con un salario minimo legale (Italia esclusa), paesi in cui si applica l’articolo 5 della direttiva UE sui salari minimi (2022/2041) che richiede che gli Stati membri stabiliscano le procedure affinchè raggiungano il 50% del salario medio lordo o il 60% del salario mediano. Questa è l’Europa che ci piace: ancor di più se facesse una analoga direttiva per far pagare le tasse a tutti (anziché riarmarsi).
I paesi a redditi elevati hanno salari molto maggiori di quelli dei paesi poveri. Per poterli raffrontare ILO li trasforma in termini di potere d’acquisto nazionale (ppp). Nel 2021 in un ipotetico mondo senza nazioni, il 10% dei lavoratori coi salari più bassi guadagnava meno di 250 $ USA ppp al mese per un lavoro a tempo pieno, mentre il 10% dei lavoratori coi salari più alti guadagnava più di 4.200 $ USA ppp. I lavoratori mediani guadagnavano 846 $ USA ppp. I lavoratori dei paesi poveri che guadagnano molto sono paragonabili ai salariati dei paesi ad alto reddito che guadagnano meno. Ciò spiega la forte spinta all’emigrazione per es. di un ingegnere indiano o pakistano che pure guadagna molto nel suo paese.
La retribuzione mediana – la cifra sotto la quale sta la metà dei salariati – per i paesi a basso reddito è 201 dollari, quella nei paesi a medio e alto reddito è rispettivamente 630 e 3.333 dollari USA, tutti in termini di ppp. Ciò significa che il potere d’acquisto del lavoratore salariato mediano nei paesi a basso reddito è circa il 6% del potere d’acquisto del lavoratore salariato mediano nei paesi ad alto reddito.
Ma anche nei paesi a medio reddito, il potere d’acquisto del lavoratore salariato mediano è pari al 20% del potere d’acquisto del lavoratore salariato mediano nei paesi ad alto reddito. Le notevoli disparità di reddito tra paesi spiegano l’elevata diseguaglianza salariale nel mondo, la spinta all’emigrazione e le tensioni geopolitiche oggi di Russia e Cina che vogliono “vincere”, sfruttando gli errori degli Stati Uniti pre Trump (e degli Europei) nell’essersi spinti ad “abbaiare” in un modo che oggi appare un grave errore. L’ allargamento ad Est (fino all’Ucraina) ha spinto la Russia a invadere, rompendo (d’accordo con la Cina) l’equilibrio formatosi a Yalta nel 1945. (In attesa che la Russia sia formata da tanti piccoli Stati retti da filosofi e poeti, è opportuno convivere coi desideri di Putin di ampliare la sfera di influenza della Russia – oltre che all’attuale Bielorussia – anche a parte dell’Ucraina. Questa “spinta” nasce dal fatto che sono storicamente tre le popolazioni slave della Russia: i “Grandi Russi, più numerosi che si insediarono nelle regioni attorno a Mosca; i “Piccoli Russi” o Ucraini, della regione di Kiev; i “Russi Bianchi” o Bielorussi della regione di Minsk).
Con la globalizzazione dal 2006 al 2021 son cresciuti sia il libero scambio che i salari reali nel mondo (ma non in Italia) e la disuguaglianza salariale è diminuita. Il salario reale mediano è aumentato da 525 $ ppp al mese per un lavoro a tempo pieno nel 2006 a 825 $ nel 2021, mentre il livello di disuguaglianza salariale (misurato dal rapporto D9/D1), è diminuito del 28%. Esaminando l’evoluzione della disuguaglianza salariale nella metà superiore e inferiore della distribuzione salariale globale, si scopre che la riduzione complessiva della disuguaglianza salariale è frutto della diminuzione della disuguaglianza nella parte superiore (misurata dal rapporto D9/D5) del 35%. Poiché nei paesi poveri ma anche in quelli a medio-alto reddito la disoccupazione è alta quando si passa dai salariati a tutti i cittadini la quota di persone povere aumenta diventando metà della popolazione.
E’ tuttavia incoraggiante vedere che la disuguaglianza dei salari (reddito da lavoro) va diminuendo nei primi 24 anni del XXI secolo quasi ovunque. Nei paesi a reddito medio-basso il calo della quota di lavoratori a basso reddito è sceso tra il 4 e l’11%. Nei paesi a reddito medio-alto è sceso tra lo 0,1 e l’11%.
Ovviamente i livelli esistenti di disuguaglianza del reddito da lavoro rimangono inaccettabilmente elevati, così come sono inaccettabili i redditi dei ricchissimi al mondo e il fatto che non siano tassati almeno i grandi patrimoni.
In un mondo futuro, che speriamo sia multilaterale e in pace, i salari più bassi nei paesi poveri dovrebbero aumentare e ancor più se ci fosse un impegno, più che a farsi la guerra, a ridurre ovunque le disuguaglianze. I singoli Stati per aumentare i bassi stipendi, dovrebbero (secondo ILO) favorire la contrattazione collettiva e/o la fissazione di un salario minimo legale, oppure favorire un dialogo sociale tra Stati, sindacati e imprese, per favorire l’eguaglianza, l’equità e la non discriminazione. Di positivo c’è anche che si vanno riducendo le differenze salariali tra maschi e femmine. ILO propone di creare un ambiente favorevole per l’imprenditorialità e le imprese sostenibili, un migliore accesso al credito, un forte sostegno pubblico all’innovazione tecnologica e allo sviluppo delle competenze, istituzioni del mercato del lavoro forti ed efficaci e un dialogo sociale, una tassazione progressiva con sussidi ai poveri. Concetti che sono universalmente accettati da tutte le culture e che l’Europa potrebbe assumere come guida mondiale.
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Andrea Gandini
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PAESE REALE
di Piermaria Romani
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
Sinceramente mi sembra che gli stipendi dei grandi manager, spesso ex politici e/o ex sindacalisti, nominati dai politici al governo in Italia siano sempre più alti, e non confrontabili neanche lontanamente con gli stipendi, spesso bloccati per anni e anni, degli operai, dei tecnici e dei funzionari semplici. Se poi si considera che quando una di queste imprese a partecipazione statale ecc.. va in crisi (quasi sempre) paghiamo a loro signori laute buonuscite e pensioni esagerate, io tutto questo miglioramento e riavvicinamento non lo si percepisce. Ma dove gli stipendi medi sono di € 2.500?? Forse all’università del prof. Gandini…oppure in qualche altra impresa, …e me ne rallegro per loro. E per noi donne? Le briciole! Per ILO ci sarà il riavvicinamento, ma sinceramente si fa fatica a crederci.