“L’altro piano”
intervista ad Antonio Facchiano sul suo romanzo
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L’altro piano di Antonio Facchiano, (Graus Edizioni) è un thriller che racconta la storia di un uomo coinvolto suo malgrado in un ricatto di predoni ai danni di una Onlus che raccoglie bambini soli e malati. Sullo sfondo la carenza di organi da trapianto e il traffico clandestino di organi e di esseri umani, la determinazione di chi, da solo o in gruppo, combatte questi traffici quotidianamente, e le sofferenze di chi ne è vittima.
È possibile considerare L’altro piano un ‘giallo religioso’? E secondo te esiste un genere che possa essere così definito?
In L’altro piano la componente religiosa è importante ma credo non sia quella predominante. Direi che è soprattutto rappresentato il mondo del volontariato, che collabora spesso con quello religioso ma ha una sua completa autonomia. Il volontariato è a stretto contatto con le povertà e le difficoltà esistenziali, ed è poco presente nel panorama letterario pur essendo una possibile fonte di ambientazioni e storie umanissime, molto coinvolgenti. Nel libro compare il sentimento del tempo che passa malgrado tutto. Compare la pietà verso i ‘cattivi’, che hanno, a dispetto della loro evidente malvagità, caratteristiche nascoste di umanità. In qualche punto può essere presente un riferimento al thriller di ambientazione religiosa di Dan Brown o ai complotti raccontati da Umberto Eco ne Il nome della Rosa, ma ho cercato di armonizzare le diverse componenti in una maniera originale.
Quali sono i diversi significati del titolo del romanzo?
Nel libro i protagonisti mettono a punto un piano per non cedere al ricatto dei predoni africani; ma nel corso della storia si scopre che i piani sono almeno due. Ecco perché ‘L’altro piano’.Tuttavia, nel titolo si fa anche riferimento alla molteplicità dei possibili piani di lettura. C’è il piano di lettura puramente investigativo con i suoi colpi di scena, ma a ben guardare c’è anche il piano della denuncia, che riguarda il traffico di organi; poi c’è il piano più introspettivo che riguarda il sentimento solitario di impotenza di fronte al male, ma anche il piano contrapposto a questo, in cui è protagonista il coro di volontà diverse orientate verso un obiettivo comune. Il coro, il lavoro di team, l’unione di volontà e competenze diverse allargano in maniera imprevedibile i limiti della possibile efficacia contro il male. Nel libro è raccontato anche un coro musicale assolutamente inedito. In più di un punto si racconta il potere della musica sull’animo umano. Inoltre, mi sono divertito ad inserire piani aggiuntivi che lascio scoprire al lettore attento.
Perché il nome di Tommaso per il prete?
La scelta dei nomi non è stata casuale. I nomi hanno un ruolo evocativo e in qualche caso questo ruolo è più evidente.Tommaso è il discepolo incredulo di Gesù, raffigurato dal Caravaggio con una mimica che a me ricorda maggiormente la curiosità piuttosto che la incredulità. E forse proprio per il suo carattere di curiosità, Tommaso mi ha sempre ispirato simpatia. Tommaso è un nome legato a grandi personaggi come Tommaso D’Aquino, Tommaso Campanella. La doppia labiale ‘mm’ di Tommaso e la doppia labiale ‘pp’ di Filippo si adattano al carattere forte e determinato dei due protagonisti maschili; forza e determinazione che nella protagonista femminile sono descritte dall’origine mitologica del nome Diana, dea della caccia e simbolo della Luna. Infine, ‘Tommaso’ in aramaico significa ‘gemello’ e questo ha un potere evocativo molto forte per me, che sono gemello.
Leggendo ho pensato all’inizio di Nero come il cuore’di De Cataldo, poi, procedendo nella lettura, la tematica che emergeva mi ricordava alcune opere di Dostoevskij.
Ho cercato di raccontare una storia basata su un tema principale (denuncia del traffico di organi) associato a temi universali presenti nella letteratura di tutti i tempi (lotta contro il male, relazione genitore-figlio). Tuttavia, nell’intreccio compaiono altri temi (ad esempio, la ricerca del senso da dare alla propria vita) che rappresentano ulteriori spunti di riflessione e stimolano l’attenzione del lettore. Sin dall’inizio per me era chiaro che non volevo scrivere solo un romanzo giallo; volevo invece scrivere un giallo che restasse nel cuore e nella memoria del lettore, che lo coinvolgesse emotivamente. La scrittura di molte pagine mi ha sinceramente emozionato e sarebbe bello se riuscissi a trasferire al lettore quelle emozioni.
A proposito dell’Africa non ho potuto evitare di pensare anche a Cuore di tenebra di Conrad. Ma forse le tue fonti di ispirazione non sono tanto di natura letteraria ma piuttosto legate alla tua professione di medico/ricercatore. È così?
L’ambientazione africana è legata ai riferimenti espliciti alle diverse sofferenze nelle periferie del mondo. Le mie fonti di ispirazione provengono in parte dalla mia professione di medico e di ricercatore nel campo della farmacologia dei tumori. Il mio lavoro è cercare i punti deboli del ‘sistema tumore’ da attaccare con le armi che abbiamo e con nuove armi che stiamo costruendo, per aumentare la nostra capacità di riconoscere il tumore precocemente e per ridurne la aggressività. Nella storia de L’altro piano si parla di cancri non meno pericolosi, che possono essere affrontati con la stessa astuzia e determinazione e con simile coordinazione di competenze diverse. Tuttavia, ho tratto spunti anche dalla mia attività di volontariato presso associazioni e Onlus che si occupano della lotta alla sofferenza e di aiuto a chi è in difficoltà. Ho tratto spunti dalla realtà che quotidianamente ci circonda ed è colma di storie intensissime che spesso passano inosservate. In un punto del libro il protagonista dice: “I romanzi sono pieni di storie finte che ci piacerebbe fossero vere, e la realtà è piena di storie vere che ci piacerebbe fossero finte“.
Qual è il personaggio a cui tieni particolarmente e perché?
Pur essendo questa storia per nulla autobiografica, mi sento particolarmente vicino ai personaggi coinvolti come genitori, Filippo, papà di Giacomo, e Lars e Lucy, genitori di Robin; capisco i loro drammi e condivido le loro paure e le loro speranze. Tuttavia, mi rispecchio un po’ anche nel ricercatore Grossi, che è in parte quello che mi piacerebbe essere professionalmente, e mi piace molto anche il cardiochirurgo Glambert, che salva le vite con le sue mani agilissime. Inutile sottolineare che sono affascinato dalla protagonista femminile Diana, ingenua ed entusiasta come solo i giovani sanno essere.
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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
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(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani
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