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Questa mattina il sole ha fatto spazio tra le nuvole. È un sole bagnato, che si scrolla dopo un’intera notte di pioggia, lampi e tuoni.
Sulla ghiaia, pozze qua e là. La terra è impregnata, l’aria sfumata di fresco.
Nei capienti, larghi vasi, risaltano i fiori enormi e gialli delle zucchine.
Già… Non ho interrato piante ornamentali nei vasi, ma pomodori, cetrioli, zucchine.
Mio marito ha compiuto un ottimo lavoro mescolando nei contenitori terriccio morbido con stallatico e terra già sfruttata. Ha pure intrecciato le canne, tutori per i futuri ortaggi, usando grazia e maestria. Si vede che è un geometra.
L’afa sembra premere e annichilire le pubescenti foglie dei pomodori, quelle palmate e seghettate dei cetrioli, quelle larghe e urticanti delle zucchine, afflosciandole.
La prima cosa che imparai quando ebbi l’idea di impiantare un orto in pieno campo — tanti anni fa, esperienza conclusa — fu che “la terra è bassa”, come recita un proverbio. Ti costringe cioè a piegarti, di gambe e di schiena, e te le spezza. Perché devi rialzarti e riaccucciarti, continuamente.
E mentre sei lì, a pochi centimetri dalle zolle, ti vengono in mente tutti i pensieri del mondo. E mentre t’insudici i guanti e senti le vertebre schioccare e i tendini friggere, non pensi poi più a nulla. Se non alla fatica di vivere.
E non è raro accorgerti di scricchiolare tra i denti un granello di terriccio, finito in bocca chissà come.
Allora un po’ ti chiedi di chi era, quella consistenza. Se fu sempre polvere di rocce sfarinate o polvere di altri esseri, vegetali o animali, vertebrati o invertebrati, esseri terrestri, acquatici o volanti, morti qui o qui trasportati dalle forze della natura. Scorie accumulate a strati, nel corso degli anni, dei secoli, magari ritornate in superficie con lenti sommovimenti d’impasto. Polvere di pelle, pelo, penne, squame, di carne, di ossa, polvere di escrementi decomposti. Polvere anche delle nostre cellule, dei nostri umori e odori, sparse nel camminare come petali di rose durante una processione.
E capisci allora di toccare la tua origine e la tua fine, di sgranocchiarla proprio, di cibartene. Ti senti un tutt’uno con la mota. Pensi ad una ruota: vita per la vita…
Ho così coltivato pomodori, peperoni, insalate, finocchi, radicchi, zucchine, zucche, meloni, cocomeri, melanzane, fragole e patate. Con dovizia, con amore. Quei frutti di terra che poi in bocca hanno un “sapore” — non so se mi spiego — insieme a quello della ricompensa.
E ho imparato ad accudire le piante — io, un tempo cittadina, con non più di tre gerani in vaso sul balcone, sempre asfittici.
E mi è piaciuto — coltivare — nonostante la fatica. Nonostante le piante crescessero diversamente, a fronte di un impegno uguale e costante verso tutte. Un po’ come per le persone.
E s’impara che non puoi cambiare l’anima di un vegetale né di un essere umano. Se è zucchina, non diventerà mai pomodoro. Puoi solo aiutare, affinché abbia il meglio dalla vita e dia il meglio alla vita, nell’involucro che gli è stato dato, sostenendolo con una cura perseverante, e scuotendo la testa se, dopo tanti sforzi, ripiega le foglie, s’accartoccia, si svilisce, stenta, muore.
La dedizione, il supporto, l’amore.
Per una zucchina come per una persona.
Sarebbe tutto molto semplice, vista così. Come l’aforisma ascoltato oggi per radio: se c’è una soluzione, perché preoccuparsi; se non c’è una soluzione, perché preoccuparsi.
Il problema è convincere qualcuno che, solo per un caso o ad opera di un essere superiore — ma non farebbe differenza — il flusso di vita che doveva sbocciare fu convogliato in lui facendolo nascere essere umano, invece di zucchina.
Che ne tragga le debite conclusioni.

(Carla Sautto Malfatto – tutti i diritti riservati)

In copertina: elaborazione grafica di Carlo Tassi

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Carla Sautto Malfatto

Ha conseguito quasi duecento premi e riconoscimenti per la poesia, la narrativa, la pittura e la grafica in Concorsi Nazionali e Internazionali, tra cui la Targa d’Argento della Presidenza della Camera dei Deputati, la Medaglia del Senato, la Medaglia del Pontefice Francesco I, il Premio Consiglio dei Ministri, il Premio Ministero per i Beni e le Attività Culturali, il Premio UNESCO, il Premio Ministero per l’Attuazione del Programma del Governo, il Premio Provincia di Salerno, il Premio Città di Napoli, Premi alla Cultura, della Critica, della Giuria; il Premio Terme di Salsomaggiore 2002 per la pittura. Collabora con varie riviste di cultura; i suoi testi sono pubblicati in numerose antologie di Concorsi Letterari e ha recensito le opere di diversi Autori. È membro di Giuria in vari Concorsi Letterari. In campo artistico è apprezzata per la pittura (tipici i suoi “simbolismo-surrealismo” e “reale personalizzato e comparato”, così definiti dal critico Antonio Caggiano) e per la grafica. È stata membro di Giuria in Concorsi Artistici. Diverse sue opere d’arte fanno parte di collezioni pubbliche e private e sono riprodotte su copertina e all’interno di riviste culturali e libri. Per molti anni ha compiuto volontariato fornendo materiale e insegnamento artistico in scuole materne e primarie pubbliche e private, in pediatria oncologica a Bologna, in corsi per disabili psichici. Ha pubblicato la raccolta di racconti “Farfalle e Scorpioni” (Este Edition, 2015) e la silloge di poesie “Troppe nebbie” (Edizioni Il Saggio, 2019), entrambe pluripremiate. www.carlasautto.it

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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