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Seduta in spiaggia, ore undici e trenta, sto guardando il mare. E mi rilasso.
Davanti a me passa un ragazzo di colore sciancato, un ondeggiamento costante e immagino dolente. Lo ricordo, è lo stesso ambulante dello scorso anno. Raggiunge i suoi amici riuniti sotto l’ombrellone. Presso la riva è esposta la loro mercanzia, che ben pochi considerano.
Una signora indugia un’occhiata più lunga sulle borsette e subito un venditore le si fionda appresso. Lei fa per andarsene, ma lui la richiama “Signora! Signora!”. Lei nicchia, poi è costretta a fermarsi e inizia un dialogo a parole mozze e gesti. Lui è insistente, lei impiega almeno tre minuti per convincerlo che non ha bisogno di una borsetta, stava solo guardando, giusto perché ha gli occhi. È cortese, paziente, lui meno, si irrita e, quando lei riprende il cammino, le borbotta dietro nella propria lingua.
Il distanziamento tra le persone e gli ombrelloni è rispettato, anche qui in spiaggia libera, e c’è maggiore pulizia in generale. È piacevole. Peccato ci sia voluto il covid per ripristinare certe attenzioni.
È un venerdì poco affollato di luglio, come in un qualsiasi giorno della settimana che non sia sabato o domenica. Non so come sarà durante il week end.
Ci sono anziani, adulti, ragazzi, piccoli, tutti sparsi in un tempo dilatato e lento, scandito mollemente dalle onde del mare, in una giornata perfetta, né troppo calda né troppo ventilata.
Entro in acqua e vi cammino. Intorno, bambini alzano grida, si tuffano, sguazzano, a loro agio nell’elemento liquido. Tutti si divertono, pur mantenendo le distanze, si rasserenano, dialogando con altri, con se stessi. Un ragazzo e una ragazza amoreggiano, discreti: lui fa la voce grossa fingendosi geloso, lei sta al gioco. Sono bellissimi. Distolgo lo sguardo e mi allontano, accompagnata dalle loro voci, dai loro giochi. I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno… loro sono altrove… nell’abbagliante splendore del loro primo amore. Quando l’acqua mi arriva ai fianchi, il fondale diventa un susseguirsi di rialzi e buche infide. Piuttosto che rischiare una storta, mi immergo, nuoto, faccio “il morto”: il mare mi culla, mi accarezza, mi sostiene, slava i pensieri. Il cielo — mentre l’acqua ottunde le orecchie e intona suoni alieni — è un’immensità invitante. Poi risalgo a riva, mi siedo sulla seggiolina e mi rilasso.
Il vento scompiglia appena le frange degli ombrelloni, disperde i silenzi, le parole — anche quelle di due coniugi che si rimbrottano dandosi la schiena, uno perso tra le righe del quotidiano, l’altra con la faccia immusonita al sole. Mi lascio avvolgere da un torpore distensivo, sonnolento.
A breve distanza, un ambulante avanza lentamente, quindi alza la mascherina sul viso e si avvicina a una coppia di villeggianti. — Ciao, — saluta. A quella voce, l’uomo strabuzza gli occhi, balza dal lettino e si precipita in acqua, mentre la moglie corre invasata dalla parte opposta urlando: — Vai via! Altrimenti chiamo la polizia! Vai via! — Il ragazzo è sorpreso, interdetto, risentito, dice che sta rispettando il distanziamento fisico, che indossa la mascherina… Deve andarsene. Si allontana mugugnando, poi mi vede, si approssima, appoggia la mercanzia sulla sabbia e si siede a due metri da me. — Ciao, bella, hai visto? Non si può fare così. Non sono un appestato, — si sfoga in perfetto italiano. — Non ho fatto niente di male. Ho paura anch’io del covid. Se non vuoi comprare, mi dici di no e io vado via —. E continua a brontolare “che razza di gente! Non sono un cane! Un po’ di rispetto” mentre scrolla la testa. Mi stupisce l’ottima padronanza della lingua italiana, chissà da quanto tempo è nel nostro Paese. Gli rispondo che ci sono persone strane, certo spaventate. Lui replica che conosce le regole, che sta lavorando… — Non ho soldi, — puntualizzo, mettendo le mani avanti. — Non importa, — mi dice, con gli occhi arrossati sul viso d’ebano, — basta anche solo scambiare due parole. Ciao, bella! — E se ne va.
Insomma, al mare ci si rilassa, ripeto. Qualcuno già serra gli ombrelloni, lasciandoli sul posto, i lettini addossati, per il dopo pranzo. Altri sgomberano la loro postazione. La spiaggia è sempre più deserta, il frangersi delle onde passa e ripassa sulla battigia, si protende e si ritira, sottraendo, riportando, avvoltolando granelli lucenti, ipnotico.
Nulla di eclatante, tutto tranquillo, lontano dai soliti pensieri. E io mi riservo momenti di serenità che la vita nasconde nelle piccole cose di tutti i giorni, senza attendere che me li porga, perché non lo farà mai, destinati a chi se li conquista con l’urgenza di goderli, perché non si sa quanto possano durare. Allora me li vado a cercare, me li ritaglio, me li trattengo, me li spalmo addosso come un unguento miracoloso, una coperta di Linus, una carezza amorevole. Come un tesoro da cui attingere. Come per farmi un regalo, una miriade di piccoli regali.
E mi rilasso.

(Carla Sautto Malfatto – tutti i diritti riservati)

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Carla Sautto Malfatto

Ha conseguito quasi duecento premi e riconoscimenti per la poesia, la narrativa, la pittura e la grafica in Concorsi Nazionali e Internazionali, tra cui la Targa d’Argento della Presidenza della Camera dei Deputati, la Medaglia del Senato, la Medaglia del Pontefice Francesco I, il Premio Consiglio dei Ministri, il Premio Ministero per i Beni e le Attività Culturali, il Premio UNESCO, il Premio Ministero per l’Attuazione del Programma del Governo, il Premio Provincia di Salerno, il Premio Città di Napoli, Premi alla Cultura, della Critica, della Giuria; il Premio Terme di Salsomaggiore 2002 per la pittura. Collabora con varie riviste di cultura; i suoi testi sono pubblicati in numerose antologie di Concorsi Letterari e ha recensito le opere di diversi Autori. È membro di Giuria in vari Concorsi Letterari. In campo artistico è apprezzata per la pittura (tipici i suoi “simbolismo-surrealismo” e “reale personalizzato e comparato”, così definiti dal critico Antonio Caggiano) e per la grafica. È stata membro di Giuria in Concorsi Artistici. Diverse sue opere d’arte fanno parte di collezioni pubbliche e private e sono riprodotte su copertina e all’interno di riviste culturali e libri. Per molti anni ha compiuto volontariato fornendo materiale e insegnamento artistico in scuole materne e primarie pubbliche e private, in pediatria oncologica a Bologna, in corsi per disabili psichici. Ha pubblicato la raccolta di racconti “Farfalle e Scorpioni” (Este Edition, 2015) e la silloge di poesie “Troppe nebbie” (Edizioni Il Saggio, 2019), entrambe pluripremiate. www.carlasautto.it

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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Francesco Monini
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