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di Monica Pavani

Avete presente quella scena di ‘Amleto’ in cui il Principe di Danimarca, trepidante e impaurito, aspetta che gli appaia il fantasma del padre per ascoltarne l’anima inquieta? O quando Dante discende nell’oltretomba, e deve affrontare il buio e l’orrore dello Stige, e le creature mostruose come Cerbero, il rabbioso cane a tre teste che si trova a guardia del terzo girone dell’‘Inferno’, se vuole incontrare i peccatori che gli stanno più a cuore? O ancora, le scene di tanti telegiornali in cui qualche creatura umana – munita di spirito eroico – si aggira per trarre in salvo chi è rimasto vittima di un disastro, di un incidente, di un tracollo o di un attentato?

Lo stesso brivido che coglie di fronte a quel proliferare di immagini a cavallo fra il mondo dei vivi e dei morti, non abbandona un istante chi assiste al meraviglioso spettacolo – presentato ieri e in replica questa sera, 14 dicembre, al Comunale nell’ambito della Stagione di Danza – ‘Attends, attends, attends… (pour mon père)’ di Jan Fabre, artista belga poliedrico e geniale. Il traghettatore Caronte, che nella Commedia dantesca trasporta le anime dannate, è il magnifico Cédric Charron (Charron è Caronte in francese), performer nato in Bretagna, che collabora con Fabre dal 2000, e per il quale questo imponente poema visivo è stato concepito.
Su una scena spoglia, volute di fumo si addensano e si diradano come i confini labili di un oltremondo, mentre il gondoliere – più che traghettatore – Charron, tutto vestito di rosso sangue, ma anche rosso amore, afferra brandelli di luce e ombra nel suo lunghissimo viaggio attraverso il tempo, più che attraverso lo spazio. La sua figura leggerissima e vorticosa è dominata da un impeto che spesso caratterizza gli interpreti degli spettacoli di Fabre: la disponibilità alla metamorfosi. Ogni istante sul palco è una rivelazione, un vissuto, un impulso, che Charron asseconda o contrasta. Diventa cane che latra, lupo che guaisce, amante lascivo, figlio addolorato, addirittura compagno di viaggio del padre: “Ti vedo, in piedi, in lontananza. Di spalle” – ripete più volte. L’infaticabile attesa e ricerca di un contatto con il la figura paterna (o patriarcale, o divina) va di pari passo con la scoperta di un tempo che trascende il quotidiano, dove gli istanti sono scanditi dal perpetuo ‘canto del desiderio’.

La consistenza fisica di Charron è data dalle parole, dal bellissimo testo che muove letteralmente gli agili arti del danzatore – intriso di rimandi a Shakespeare, a Beckett, e amplificato dagli echi di tanta poesia francese (pare di sentire anche Yves Bonnefoy che trapela tra i vapori bianchi che agitano la scena). Il performer è avventuroso, provocatorio e a tratti diabolico, ma contemporaneamente aleggia come un angelo estatico su cui si consuma e viene agito il mistero della creazione.
Fra il Padre spirituale (Fabre) e il Figlio (Charron) si tesse un dialogo intimo e vastissimo incentrato sull’intensità della vocazione artistica portata fino in fondo, come emerge anche dall’incontro con Charron che segue lo spettacolo. ‘Attends, attends, attends… (pour mon père)’ in sostanza mette in scena l’indugio necessario di chi si sente chiamato alla guerra pacifica per la conquista della bellezza. E dunque è disposto a spogliarsi di sé, a sprofondare negli abissi distruttivi e creativi del proprio animo, inoltrandosi al cospetto di forze immense, sulfuree e impercettibili, ma così dirompenti.
Un’ora (di spettacolo) passa come un’era, e ci si ritrova – immobili e rapiti – a provare nostalgia per quel restare in attesa – in attesa, in attesa… – dello svelarsi del mondo di Jan Fabre.

La foto di copertina e di Marco Caselli Nirmal

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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