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Quando scrive, Albert Espinosa ti dà del tu. È talmente diretto e pratico che non può esserci troppo spazio in mezzo. Braccialetti rossi il mondo giallo (Salani, 2014) è un libro che ha l’obiettivo dichiarato di accompagnare il lettore nella ricerca dei gialli.

Albert, a partire dai quattordici anni, ha passato dieci anni fra ospedali e terapie, ha perso un polmone, un pezzo di fegato e una gamba per la quale ha organizzato una speciale festa d’addio. Sì, perchè le perdite, garantisce Espinosa, sono positive, vanno vissute, “sono conquiste” che aggiungono qualcos’altro.

Braccialetti rossi il mondo giallo è un altro modo di vedere le cose, una capacità di sbirciare dietro l’angolo senza paura e magari trovare una soluzione. La scoperta, infatti, è per Albert Espinosa una meraviglia continua che riguarda se stesso e gli altri. Avete mai provato a stare venti minuti immobili più o meno come si sta quando si fa una tac? Siccome di tac e radiografie Albert ne ha fatte un’infinità, ha imparato ad applicare quel modo di stare fermo e in silenzio anche in piena salute. Un giorno al mese, stacca il telefono, si sdraia, si ripete “non ti muovere, respira, non respirare” per venti minuti e si sottopone volontariamente a speciali raggi X, quelli che non hanno bisogno di macchinari perchè servono per leggersi dentro, trovare soluzioni, stare tranquilli.

Questa è solo una delle ventitrè scoperte che il libro propone, tutte nate da una vita che ha dominato la malattia, si è fatta contaminare da altre vite interiorizzandole al punto che la morte di un compagno di stanza donava altra vita a chi rimaneva, facendo vivere in tanti modi e per sempre chi se n’era andato.

Albert Espinosa è davvero riuscito a ribaltare tutto: la cartella clinica che in dieci anni ha contenuto le annotazioni di oltre venti medici specialisti, un giorno è stata chiusa e se n’è aperta un’altra, una cartella di vita, una specie di diario su cui annotare gioie e sofferenze. Come nella cartella clinica i medici rintracciavano le crisi e le soluzioni, così nella cartella di vita, ciascuno potrà ritrovare se stesso, i cicli in cui si è imbattuto e le vie d’uscita. Ma la cartella va arricchita di oggetti simbolici, frammenti positivi e di una felicità che dovrà restare. Anche per gli altri.

Circa a metà delle ventitrè scoperte, ce n’è una molto bella perchè fa scoprire la capacità di scoprire. Si chiama In cerca del sud e del nord ed è una frase che Albert, in terapia intensiva, ha sentito dire da un’infermiera: “i sogni sono il nord della nostra bussola, quando li hai realizzati, devi andare al sud”. In un viaggio di ricerca continuo da un polo all’altro, Albert Espinosa ha messo in pratica quelle parole e non ha mai smesso di cercare un altro sogno, un altro sud perchè, come cita anche il sottotitolo del libro, se credi nei sogni, i sogni si creeranno.

Unendo tutte le ventitrè scoperte, si è pronti per capire cos’è il mondo giallo e chi sono i gialli. Il giallo lo intuisci, ti attrae per qualche motivo, con lui instauri qualcosa di speciale e non importa quanto durerà quel legame. A metà tra l’amore e l’amicizia, con il giallo ti apri, parli e ti concedi quel contatto fisico fatto di abbracci e carezze abbastanza esclusivo. Il giallo ti dà forza, aiuta a conoscerti, porta bellezza e lascia un segno nell’esistenza.

Nel mondo giallo, dice Espinosa, c’è anche la morte a cui si deve imparare a pensare in termini opposti, cioè di vita a disposizione, di “dettagli concreti di quello che vuoi realizzare a questo mondo”. E allora perchè esprimere desideri e soffiare solo ai compleanni? Il soffio viene da dentro, libera qualcosa, come i desideri. Albert ha soffiato ogni volta che gli facevano un puntura (circa mille iniezioni) e anche dopo, almeno due o tre volte alla settimana, e continua a farlo, ma a una condizione: quei desideri bisogna vederli fino in fondo.

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Riccarda Dalbuoni

È addetto stampa del Comune di Occhiobello, laureata in Lettere classiche e in scienze della comunicazione all’Università di Ferrara, mamma di Elena.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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