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La narrazione non è una narrazione, non ci sono protagonisti, non c’è una trama. Ti elencano solo oggetti magici che promettono di cambiarti la vita. Quale non si sa, perché nessuno è più in grado di prospettartene una da vivere. Qualcuno propone delle sequenze, ma mai tutto il film.
È la narrazione di questa campagna elettorale senza storia e senza indice. Neppure la sovracopertina. C’è solo il prezzo che pagheremo noi e il paese.
Uno va alla ricerca del futuro e non lo trova, non trova l’uomo, la sua intelligenza, la sua voglia di vivere, di sfidare il tempo, la generosità e il coraggio delle idee. Solo rumori di fondo, rancori, astio, disprezzo e presunzione.
Non c’è nessuna cittadinanza né della politica né delle persone in questa campagna elettorale. Un paese che ha bisogno di interrogarsi, di risollevarsi, di energia, di spinta e di entusiasmo, anche su questo hanno spento la luce.
Siamo tutti cittadini al governo della democrazia diretta solo da un click del mouse, seduti nelle nostre solitudini davanti al desk di un computer. Gli infatuati del movimento che promette le stelle si rendono conto di questo? Del vuoto umano, del vuoto di pensieri, di idee illuminanti, di creatività, di invenzioni, di confronti aperti che si sta crescendo in questo paese e che si vorrebbe crescere in prospettiva?
L’Europa spaventa perché è uno scenario di apertura, uno scenario impegnativo di itinerari di idee da percorrere e riempire. L’Europa spaventa perché le idee non ci sono, non ce le abbiamo, non ce le ha il paese.
A questa campagna elettorale manca la cultura, non quella del nostro patrimonio di beni e di istituzioni, la cultura del paese, la cultura di cui ha bisogno il paese.
I nostri intellettuali, le nostre università, le nostre istituzioni culturali, non ci aiutano più a crescere, ad esercitare l’intelligenza, a produrre pensieri, non ci aiutano a conoscere cosa si muove alle frontiere della conoscenza dove si formano i saperi. Non ci aiutano ad avere la cultura per pensare al domani, per traguardare il presente.
Questa non è la società della conoscenza fondata sulle risorse umane come capitale per sé e per gli altri. Le risorse umane, giovani e meno giovani, non ci sono in questa campagna elettorale.
Nessuno dice come ognuno di noi può contribuire attivamente per il futuro del paese e cosa possono fare le conoscenze, la ricerca, la creatività, perché il futuro del paese non c’è, nessuno è in grado di pensarlo.
E questa è la maggiore mortificazione nostra, della nostra intelligenza e della cultura. Trattati come ingombranti utenti da amministrare, non come la risorsa preziosa su cui puntare per rilanciare città e sistema paese.
Non si è cittadini perché si fanno le parlamentarie o si può esprimere una preferenza su una scheda elettorale, ma perché la cultura per pensare e per decidere gira e appartiene a tutti. Perché ognuno è responsabile della propria crescita culturale, è responsabile di combattere la propria ignoranza, perché i saperi sono sempre più accessibili a tutti e perché la conoscenza è ormai divenuta da tempo l’ingrediente fondamentale di ogni cittadinanza democratica come l’aria che si respira. Perché politica vuol dire crescere comunità colte, pensanti, dove le intelligenze si nutrono, si diffondono e contribuiscono ad affrontare le sfide sempre nuove della vita e del futuro.
Pare, invece, che ci sia sulla cultura e gli intellettuali il coprifuoco, l’oscuramento, così spuntano le mediocrità, così mediocri da credersi capaci di governare questo paese, senza nutrire nessuna visione che sia un panorama di futuro da crescere nelle sfide e nelle novità, nell’invenzione del nuovo da perseguire. Flat tax, reddito di cittadinanza, respingimenti, Europa sì e no. È questa l’afasia a cui siamo condannati.
Di fronte alla povertà degli orizzonti che le forze politiche riescono a disegnare, alla fine ci si ritrae nell’astensionismo, perché non c’è una narrazione che sia in grado di appassionare.
Perché sei cittadino se sai qual è il tuo ruolo in un progetto di futuro per il quale valga la pena essere coinvolti. La politica non è la retorica dell’uno vale uno, ma assemblare quel tutto che messo insieme è di più della somma delle singole parti.
A noi, invece, si chiede un voto e poi di lasciar fare a loro. Non è più così, perché ormai è tempo che nessuno può più chiamarsi fuori. Il bene comune, oggetto d’ogni governo, è bene di tutti e la rivoluzione politica vera non è che è politico solo chi fa politica, ma che ogni singolo cittadino, in una democrazia matura e colta come la nostra, è politicamente responsabile per la sua parte nella gestione del quotidiano, nel suo lavoro, nella cura di sé e della sua formazione.
Questa è la democrazia diretta, non quella pentastellata. È che la responsabilità di cittadinanza non si delega, ognuno di noi ha la sua e di questa deve rispondere. Con il voto sulla scheda elettorale non si delegano le proprie responsabilità, si affidano solo compiti.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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