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Vincitore del premio del pubblico al Biografilm Festival di Bologna nel 2013 (che, quest’anno, si terrà dal 5 al 15 giugno, vedi), “Italiani veri – lo straordinario successo della musica italiana in Russia” è un documentario sul successo della canzone italiana in Russia e negli altri Paesi dell’ex Urss negli ultimi ’50 anni.
La pellicola, di Marco Raffaini (classe 1967, parmense che vive a Bologna), Giuni Ligabue (classe 1980, modenese) e Marco Bello (classe 1983, fiorentino), ripercorre la passione dei russi per la musica italiana, che con interesse, simpatia, affetto, rispetto e, perché no, dedizione, la seguono da sempre.

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Il documentario è stato premiato al Biografilm festival di Bologna nel 2013.

I russi cantano italiano, lo amano profondamente e il film ripercorre, con intelligenza, le tappe di questo successo, cercando di spiegarne le ragioni profonde e rintracciandone le radici nell’immenso favore che la cultura italiana gode presso la popolazione russa, fin da quando, nell’Ottocento, gli artisti russi, pittori e scrittori, raccontarono l’Italia, e, più tardi, quando in Unione sovietica si diffusero i film del Neorealismo italiano. Per chi, come me, vive a Mosca, non si può fare a meno di notare questa passione del popolo russo per tutto quanto è italiano in generale e per la musica in particolare. Italiano è sinonimo di eleganza, gusto, saper vivere, delicatezza, bellezza e soprattutto di cultura. Anche se qui la cultura si respira, la nostra è particolarmente amata e sentita. Non si può evitare di ricordare Dostoevskij che osservava come «per duemila anni l’Italia ha portato in sé un’idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di una mente di gabinetto, ma un’idea reale, organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo; l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi la papale. I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano di essere i portatori di un’idea universale, e quando non lo comprendevano, lo sentivano e le presentivano. La scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava di questo significato mondiale». Questo è ancora sentito, in Russia, oggi. E la musica fa parte di quell’arte universale. Una forza, la nostra.
Sullo schermo scorrono le interviste di tanti russi qualunque di oggi, incontrati a San Pietroburgo, come Andrej Groschokiv e Tat’jana Bulanova, che parlano allo spettatore incuriosito, di Robertino Loreti, il bambino prodigio, il cantante delle stelle, che negli anni ’60 aveva conquistato l’Unione sovietica, fino a vendervi oltre 50 milioni di dischi.

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Robertino Loreti

La sua popolarità era talmente grande che Valentina Tereshkova, la prima donna cosmonauta, chiese di poter ascoltare le sue canzoni a bordo della navicella spaziale. La piccola voce bianca delle parole di “Giamaica” e dell’”Ave Maria” incanta tutto il Paese. Ancora oggi Robertino riempie gli stadi in ogni angolo della Russia, un deputato della Duma (Sergej Apatenko) ambisce a duettare con lui, e lo fa. I fan di allora sono quelli di oggi, la passione viene tramandata a figli e nipoti. Tutto continua.

Scorrono le interviste dei testimoni dell’epoca, al simpaticissimo Mikhail, che ricorda come all’inizio confondesse la canzone “Giamaica” di Robertino con “Ma’jka” (maglietta) o con diminutivi di nomi femminili (“Majka, Mishka, Sashka, Alioshka”), o ad Aleksandr, che ricorda la maglietta strappata di Celentano (e lui e i suoi amici avrebbero tanto voluto imitarlo, la erano poveri e strappare una maglia era troppo costoso per loro…).

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Incontro con Albano

Ci sono poi gli incontri con gli artisti italiani maggiormente amati in Unione Sovietica prima e in Russia poi, come Robertino Loreti, Pupo, Al Bano, Toto Cutugno. Si racconta e si spiega, dal punto di vista sovietico, questo enorme successo, fin dagli albori. Le canzoni italiane di musica leggera non veicolavano messaggi politici, sociali o di proteste e potevano, quindi, essere ascoltate senza censure, a differenza di quanto avveniva con i maggiori gruppi rock inglesi e americani, come Rolling Stones o Beatles.

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Incontro con Cutugno

Come ricorda Mikhail, la musica italiana parlava di vita leggera, di amare le donne, il vino, la semplicità di ogni giorno, insomma di godersi la “dolce vita”, non imponeva alle persone di pensare. Mancava il tema del lavoro ma era una musica da giorno di festa. Non veniva zittita (con silenziatori speciali che intervenivano sulle frequenze, come avveniva per la musica del mondo anglosassone), anzi era proposta.

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Gina Lollobrigida
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Le automibili Lada-Vaz

Film e attrici italiane, come Gina Lollobrigida, erano acclamati e amati. Famose sono le immagini di una bella Lollobrigida che incontra e bacia l’idolo dei tempi, Yuri Gagarin. Nel 1964, è il periodo anche della Lada. La Lada-Vaz, infatti, nacque per decisione del Governo sovietico, che deliberò, in quell’anno, la costruzione di un colossale impianto per la produzione di automobili “popolari” da ubicare a Togliatti (città nota in Italia con il nome di Togliattigrad, nei pressi del fiume Volga, fondata nel 1737 col nome di Stavropol’-na-Volge, e che, il 28 agosto 1964, assunse la denominazione attuale, in onore di Palmiro Togliatti, il segretario del Partito Comunista Italiano scomparso una settimana prima). La costruzione degli stabilimenti, nel 1966, fu affidata alla Fiat. Il nuovo impianto produttivo (270km di linea di montaggio e capacità produttiva di quasi 1 milione di automobili all’anno) fu inaugurato ufficialmente nel 1970 alla presenza del Ministro dei trasporti sovietico Tasarov. L’Italia era anche trasporto e movimento.

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Negli anni Ottanta, la televisione sovietica inizia a trasmettere, ogni anno, la serata finale del Festival di Sanremo, vera e propria finestra e valvola di sfogo sul “libero” Occidente. Questo fa sì che la fama dei cantanti italiani più rappresentativi (Toto Cutugno, Adriano Celentano, Al Bano e Romina Power, Pupo, Ricchi e Poveri, Riccardo Fogli) raggiunga ogni angolo di un paese immenso e sconfinato. E fortemente curioso. Interessante il passaggio sui “cutugnisti” (come Olga Zaitseva, Olga Rybakova, Artemij Pominov e Paven Fuks), un gruppo di fan che, con le canzoni, imparavano l’italiano pur coscienti che la possibilità di recarsi in Italia era per l’epoca quasi impossibile.

italiani-veriGli “intellettuali” si avvicinavano, invece, a Paolo Conte, Branduardi o, soprattutto, a Fabrizio de André, considerato il Visotsky italiano (da Marina Kadzheva). In particolare, sono interessanti le testimonianze dei fans che raccoglievano interi quaderni scritti a mano con le foto e gli articoli dei propri beniamini. I diari contenevano interviste ricopiate a mano, ritagli di foto e di articoli di giornale, spesso con la lametta, dall’Unità.

italiani-veriVi sono anche interviste a cantanti russi e russe che hanno collaborato con Toto Cutugno o Albano (Tat’jana Bulanova, Svetlana Svetikova, Diana Gurtskaja), a esponenti della creativa scena underground pietroburghese (Oleg Garkusha degli Auktsyon, Nikolaj Gusev del gruppo “Strannye Igry”), a critici musicali, giornalisti, professori universitari. Tutto ben documentato. Manca solo l’irraggiungibile, Adriano Celentano, il mito, il fenomeno unico, viveur, al quale Mikhail augura ogni bene.
Lo stesso Mikhail che conclude con una vena nostalgica, perché cose e generazioni sono cambiate, il comunismo è andato ed è arrivato non si sa bene cosa, perché nulla può ripetersi e non si ritorna mai nei dove si è stati felici.

Grazie a Marco Raffaini per avermi dato la possibilità di visionare il film.

Per sapere dove vedere il film, consulta la pagina di Facebook  [vedi].
Per saperne di più sul documentario clicca qui [vedi].

Marco Raffaini
Nato a Parma nel 1967, vive a Bologna. Professore di lingua e traduzione russa all’Università di Parma, traduttore, scrittore, è alla prima esperienza cinematografica. Nel 2012 ha scritto “Eto sluchilos’ so mnoj” (Ѐ capitato proprio a me), romanzo biografia di Robertino Loreti, in via di pubblicazione in Russia. Nel 2003, ha pubblicato il romanzo “Storia della Russia e dell’Italia”, con Paolo Nori (ed. Fernandel) e molti suoi racconti sono stati pubblicati su varie riviste e antologie. Ha tradotto dal russo i romanzi “Manuale di disegno” di Maksim Kantor per Feltrinelli e “Maksim e Fjodor” di Vladimir Shinkarjov per Einaudi. Frequenta abitualmente la Russia per passione.

Giuni Ligabue
Nato a Modena, nel 1980, è autore e regista. Si avvicina al mondo del cinema nel 2003 e da allora ha realizzato e partecipato alla realizzazione di vari progetti (videoclip musicali, cortometraggi, lungometraggi, spot e documentari). Si dedica per passione alla realizzazione di progetti di cinema popolare nelle realtà degli spazi occupati e autogestiti. Collabora con diverse realtà indipendenti principalmente tra Bologna e Roma, ed è attualmente impegnato nella realizzazione di altri importanti progetti.

Marco Mello
Nato a Firenze nel 1983, fin da giovane sperimenta il linguaggio fotografico sia nella pratica del reportage amatoriale, che nello sviluppo della pellicola in camera oscura. Iscritto al Dams nel 2002 si avvicina al mezzo audio video, e, a Bologna, comincia a sperimentare la ricerca del linguaggio fotografico nel cinema. Collabora con varie realtà locali e nazionali come direttore della fotografia.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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Pescando un pesce d’oro
5 titoli evergreen dall’archivio di 50.000 titoli  di Periscopio

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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