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In un paese come la Russia, dove il balletto fa da padrone e permea molte serate di intellettuali e gente comune, è quasi inevitabile riprendere in mano alcune letture sul tema. Un must, un richiamo vero e proprio a ripercorrere storie di ballo e di legami anche con il nostro Paese. Il ricordo va subito alla grande, unica e indimenticabile Carla Fracci e alle sue esperienze con i russi Michail Baryšnikov o Rudolf Nureyev.

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La copertina

Chi ama la danza non può non ricordare il suo primo libro “La mia vita sulle punte. Come diventare ballerina”. Per anni quelle pagine mi hanno accompagnato nei sogni più lontani, stropicciate tanto le sfogliavo, le guardavo e riguardavo. Non sono diventata una ballerina, ma molti di quegli insegnamenti su disciplina, tenacia e coraggio li ho portati stretti gelosamente a me. Con “Passo dopo passo“, Carla ci accompagna, con la dolcezza e la delicatezza che la contraddistinguono, nella sua storia che è allo stesso tempo personale e intergenerazionale. Anzi, se permettete, direi nazionale, perché parte importante della storia culturale del nostro paese, della sua splendida tradizione di bellezza e di arte.
Nel libro la Fracci ripercorre gli oltre duecento personaggi da essa interpretati nella sua lunga e ricca carriera, le loro storie, la varietà delle sensazioni e dei sentimenti da essi ispirati, le scene e i palcoscenici calcati e ricalcati, scavati dalla forza e dall’energia dei passi, pervasi da forti scambi di emozioni. Un’autobiografia intima e intensa che ci coinvolge e ci mantiene incollati alle pagine in queste serene feste natalizie. Un libro che letteralmente divoriamo.
Chi ama e segue questa donna, sa delle sue origini, del padre tranviere e della madre operaia, dei sacrifici di quei corsi che iniziavano alla mattina presto, quando si usciva di casa con poca luce, “schiscetta” in cartella e gelo che pizzicava le guance rosee. Sono belle quelle immagini di chi guarda all’insù nella piazza antistante La Scala per vedere e osservare curiosi le ballerine che si riflettono sui vetri delle finestre, pensando che dietro vi siano solo giovani fanciulle serene e leggiadre quando invece vi si nascondono ore e ore di esercizi alla sbarra, sacrifici, dura disciplina e impegno. Altrettanto magica è l’immagine di Carla bambina che vede una piccola figura elegante vestita di nero uscire dalla galleria Vittorio Emanuele e scomparire sotto il portico del caffè Biffi. Sembra un personaggio da fiaba, ed è Margot Fonteyn, divenuta maestra, collega e amica. Per un attimo ci siamo trovati immersi nella magia, abbiamo sfiorato anche noi un mantello e una bacchetta magica. Dai primi ruoli, come quello di Cenerentola di Prokof’ev (che caso, sottolinea anche Carla, quello di un primo ruolo, proprio di Cenerentola, dato ad una bambina povera che non sapeva cos’era la danza..), attraverso le grandi interpretazioni di Giulietta, Giselle, fino a quelle di Francesca, Odette, Gelsomina e della Filumena del grande Eduardo, il passo e’ breve. Festival di Nervi, London Festival Ballet, Teatro dell’Opera di Roma, American Ballet Theatre di New York, Teatro San Carlo di Napoli, l’Arena di Verona, il Bol’šoj di Mosca sono solo alcuni dei grandi palcoscenici che hanno accolto Carla, sempre a braccia aperte, sempre con un successo di pubblico caloroso e spesso clamoroso.
Il compagno e marito, Beppe, dice sempre a Carla che la sua anima di ballerina è fatta di tre G: Giselle, Giulietta e Gelsomina. Anima di donna intensa e forte, spirito di donna vera traboccante di amore e passione autentica. Quella stessa che non riesci a dividere donna e artista, perché danza ciò che è ed è ciò che danza. Una fusione totale e completa fra personaggi e artista, una trasposizione, quasi una trasfigurazione mistica e illuminata. La danza assomiglia alla poesia per il modo in cui supera ogni limite, l’assenza di parola, a differenza del teatro, rende il balletto più penetrante e per certo verso più potente. Alla sua chiusura si ride, si piange, ci si abbraccia, si condivide la forza e l’energia. Con la danza di Carla c’è però anche la famiglia, gli affetti, la maternità, l’amicizia. Tanto amore.
Gli incontri più emozionanti restano per me quelli con Rudy e Misha. Rudolf Nureyev, il primo, è lo scambio intenso di emozioni fra ballerini poco più che ventenni nell’autunno di una grande Londra. Rudy dal temperamento tenace e forte, desideroso di sfida che l’aveva portato a vincere l’ambiente duro in cui era cresciuto, soprannominato il Muzik, il paesano, perché veniva da una famiglia povera e semplice della Siberia. Rudy spesso capriccioso, vibrante, aggressivo, che obbligava ad impegnarsi fino allo spasimo per essere degni di lui, ma anche coraggioso, imprevedibile, partner generoso e, alla fine, amico-complice. E poi Misha, Michail Baryšnikov, e la Medea di Spoleto del 1975, un’altra donna, gelosa e tormentata, che vive la passione intensamente. Misha che chiamava Carla “la bella” e che rimaneva abbagliato da una Firenze illuminata, dalla quale era fuggito per la troppa bellezza. Forse colpito dalla Sindrome di Stendhal…
Mi piace vedere Carla mentre sceglie con accuratezza le sete del suo tutù, parte di un suo personale rituale. Mi piace sentire il profumo delle fresie e dei gelsomini emanare dalla sua corona di fiori che cinge i lunghi e lucidi capelli neri. Mi piace immaginarmela curare i fiori e le piante della sua terrazza, affondare le mani affusolate nella terra appena smossa dei vasi, quasi immersa nel ricordo della sua terra lombarda umida e nebbiosa. La vedo percorrere i corridoi della sua casa milanese piena di quadri e statue, le sue foto appese al muro, le cornici affollate di ricordi ed amici preziosi e vicini. Qui osserviamo tanti eroi di un mondo che non c’è più, valori antichi che stanno scomparendo, la nostra storia che se ne va. Un ricordo ed una memoria che dobbiamo sicuramente preservare e trasmettere.
Il libro si conclude con una riflessione che dovrebbe essere monito per tutti: l’impegno è la base del successo, in tutti i campi, serietà ed applicazione sono le parole chiave. E poi la disciplina, i programmi, le regole, l’eleganza, la semplicità, e un appello per tutti: “la cosa più importante in un paese è un impegno serio per il futuro dei giovani. Ogni italiano di buona volontà ha il diritto di farsi una cultura”. (…). Carla vorrebbe che in Italia nascesse una Compagnia nazionale di balletto, una compagnia che possa girare il mondo con le nostre eccellenze, perché la forza dei danzatori è il gruppo. Ma anche per questo serve il sostegno delle istituzioni che pare non arrivare. Se l’unione fa la forza, non possiamo pensare che il patrimonio che Carla porta con sé non si tramandi, che i suoi insegnamenti rimangano isolati e per pochi. Se la sua esistenza è circondata da poesia e musica bellissime, da indimenticabili e unici maestri di lavoro e di vita, lei vorrebbe che tutti i ragazzi avessero la sua stessa fortuna e la forza di non smarrire la strada. Bisogna agire per non farli sentire soli e abbandonati. Mai stanchi. Chi deve capire capisca.

Carla Fracci, “Passo dopo passo. La mia storia”. Mondadori, 2013, 207 p.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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