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Abbiamo atteso tre anni e finalmente è tornato, in presenza e nei luoghi amati della città, il Festival Internazionale Ferrara. Ed è tornato a girare per le vie e le piazze il ‘popolo di Internazionale”, giovani e meno giovani, ferraresi e non, con in mano o nelle tasche di giacche o zaini, il ‘libretto giallo’.

Il primo evento che ho seguito è anche il primo della prima giornata e del Festiva: venerdì 30 settembre, alle 11, nella Sala 1 del Cinema Apollo, subito dopo l’inaugurazione. Le città visibili, un titolo che contiene un chiaro riferimento a quelle <invisibili> di Italo Calvino. “Idee, provocazioni e proposte per trovare soluzioni di vita sostenibili, ecologiche e accessibili. E anche belle” leggiamo nella introduzione all’elenco dei partecipanti: l’architetta Lorenza Baroncelli che sale sul palco col suo bimbo di pochi mesi in carrozzina, il  cantautore Eugenio Cesaro che posa in un angolo la chitarra che, presumiamo, suonerà, il  rappresentante della Commissione Europea Antonio Parenti ed alcuni studenti dei Licei Ariosto e Dosso Dossi di Ferrara  infine lo scrittore Federico Taddia che ha il compito di introdurre e moderare. Un insieme curiosamente assortito i cui interventi, capiremo via via, daranno vita ad un puzzle di elementi atti a delineare la città che desideriamo…)

L’avvio è decisamente stimolante: il video della canzone Ti amo ancora eseguita dalla band Eugenio in Via Di Gioia, camminando tra i versi scritti col gesso sulle vie di Torino e dedicata alla Terra “perfetta essenziale non cerchi clamore sei musica senza parole”. La conduzione da parte di Federico Taddia è brillante, gli ospiti parlano di urbanistica, politica, utopia,  problemi e soluzioni, sogni e disillusioni, luoghi reali e paesaggi immaginati.  Alla fine prende forma una specie di mappa, dentro la quale trovano giusta collocazione le due presentazioni elaborate dagli studenti nei pochi giorni a disposizione dall’inizio dell’anno scolastico.
“La Ferrara (in)visibile dell’ Ariosto” (un immaginato incontro, più di cinque secoli dopo, tra il duca Ercole d’Este e l’architetto Biagio Rossetti che si interrogano su come migliorare la Ferrara del terzo millennio e le risposte vengono visualizzate in una sorta di fotoromanzo proiettato sullo schermo).

Un particolare della presentazione del Liceo Ariosto

E “La città ideale del Dosso Dossi” (un video in cui tre studenti a passeggio nel parco trovano, in una scatola, un cellulare che mostra, videoregistrate, le impressioni di  una ragazza  in visita a una città in cui tutto è magicamente perfetto).

Studenti del liceo Dosso Dossi illustrano il loro lavoro

Ispirandosi alle parole chiave del New European Bauhaus “accessibilità, inclusione, sostenibilità” – così come suggerito dagli ideatori del progetto presentato alle scuole – i ragazzi e le ragazze dei due istituti hanno individuato alcuni problemi  nelle città attuali e ipotizzato soluzioni praticabili: la bruttezza e il degrado di alcune zone (periferiche e/o di accesso alle città) a cui ovviare con operazioni di cura e manutenzione continuative; il traffico automobilistico eccessivo, cui contrapporre il potenziamento o la creazione di parcheggi scambiatori, di piste ciclabili sicure con incentivazione all’uso della bicicletta; l’inquinamento e la scarsa qualità dell’aria migliorabili attraverso realizzazione di boschi verticali e/o vertical farms a livello di edilizia e con il potenziamento dei trasporti pubblici, anche elettrici…

L’incontro si chiude con la scanzonata (ma profonda nei contenuti) performance musicale di Eugenio Cesaro, che già negli interventi parlati ha scosso e incuriosito l’uditorio con ripetuti ed appassionati inviti ai giovani ad osare di più, che esalta il pubblico.

All’uscita dal cinema Apollo mi accoglie la pioggia, che non mi impedisce di incamminarmi, allegra e pensierosa al tempo stesso, nelle vie di questa città che oggi mi sembra un po’ più bella del solito.

Cover: un momento della presentazione “La Ferrara (in)visibile dell’ Ariosto” all’incontro “Le città visibili” di Internazionale Ferrara 2022 (la foto di copertina, come quelle nel testo, sono di  Maria Calabrese)

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Maria Calabrese

Pugliese di Foggia, trapiantata a Venezia, poi a Ferrara, il che dimostra che amo le città belle. Amo altresì i libri, i quadri, i dischi, l’archeologia. Ho studiato letteratura e lingue classiche e le ho insegnate per molti anni con grande passione. Canto in un coro, studio la fisarmonica di papà. Amo scrivere ma ancor più leggere, anzi nel leggere e nell’incontrare scrittori mi capita di trovare linfa per il mio scrivere.

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Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

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