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Ogni giorno, gli abitanti di Hong Kong si muovono per la loro città brulicante e affollata, accompagnati sempre dal loro ombrello, per proteggersi dalla pioggia scrosciante ma anche dal sole cocente. Dallo scorso fine settimana, invece, gli studenti che si battono per chiedere, oltre al suffragio universale, una maggiore autonomia dalla Cina, ne hanno fatto il loro simbolo. Con essi si sono protetti dai lacrimogeni lanciati dalla polizia per disperdere i manifestanti, giovani, pacifici e disarmati. O meglio, armati solo dei loro telefonini. E vedremo con che potenza li hanno usati… Ma quali sono le ragioni della protesta?

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Il logo della rivoluzione

Dal 1997, Hong Kong, ex colonia britannica, è una Regione amministrativa speciale con una certa autonomia, ma, nella pratica, controllata dalla stessa Cina. Gli accordi siglati a suo tempo tra Cina e Inghilterra prevedevano che la regione diventasse gradualmente sempre più democratica con le prime elezioni a suffragio universale a partire dal 2017. Queste elezioni avrebbero dovuto scegliere il capo del consiglio esecutivo che governa la città. Attualmente la carica è assegnata da una commissione elettorale composta da 1200 persone e totalmente filocinese. Per la Cina le elezioni libere rappresentano una concessione che potrebbe convincere altri Stati ad avanzare simili rivendicazioni. Così, al posto di normali votazioni democratiche, il governo cinese ha deciso che a contendersi la poltrona di capo dell’esecutivo saranno solo tre candidati che necessiteranno comunque dell’approvazione di Pechino. Da qui sono iniziate manifestazioni e proteste. E l’ombrello è diventato il simbolo, sul web, dei ragazzi che protestano. Il tutto partito, secondo l’Huffington Post, da un tweet del reporter di Abc News, Auskar Surbakti, che ha segnalato un grafico anonimo che si è servito di un ombrello inserito nel simbolo della pace per disegnare il “logo” di questa rivoluzione.

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Joshua Wong Chi-fung

I leader del movimento sono identificati in due giovani universitari, Joshua Wong Chi-fung e Wong Hon-leung ein, che avrebbero fondato il movimento #OccupyCentral, nel 2011. Joshua ha diciassette anni, occhiali neri e viso da bravo studente. Un giovane ‘apparentemente innocuo’ che la Cina sta dipingendo come una minaccia, magari pure una spia al servizio di potenze straniere quali gli Stati uniti (la fantasia dei governi in certi casi non ha limite). E’ stato definito dalla autorità cinesi come un “estremista”, e pure pericoloso. La sua popolarità è aumentata quando è stato arrestato durante gli scontri. Rilasciato due giorni dopo, è ora considerato la “voce” dei giovani della rivoluzione, sorvegliato speciale della Cina.

La manifestazione è iniziata fra il 27 e 28 settembre scorso, quando gran parte delle vie principali del quartiere d’affari Admilralty sono state invase. Il 28, i giovani manifestanti hanno occupato la sede del governo. E qui, i lacrimogeni hanno trovato gli ombrelli. Quando è scesa la notte sulle vie invase da tante anime, i manifestanti si sono serviti della luce dei loro smartphone per formare un’onda luminosa, quasi a formare un cerchio magico.

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I manifestanti © AFP
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I manifestanti © Alex Ogle/AFP/Getty Images

I social media hanno, in generale, giocato un ruolo fondamentale, come spesso è avvenuto nelle rivoluzioni degli ultimi anni (si pensi a Facebook durante la primavera araba). Si è, infatti, parlato delle “reti della rivolta”. Le riunioni e gli appuntamenti in strada si organizzano con WhatsApp o con FireChat, l’applicazione creata dalla società californiana Open Garden del francese Micha Benoliel per aggirare la censura. Quest’applicazione è particolarmente innovativa: servendosi del dispositivo della rete Mesh che permette d’inviare messaggi a persone vicine che usano la stessa rete, tramite intermediari-ponte, senza passare per il proprio operatore e con la semplice connettività Bluetooth, essa permette di comunicare “off the grid” (funziona quindi anche se non vi è alcuna connessione a Internet). Tuttavia, secondo Lacoon mobile security (un gruppo di ricercatori sulla sicurezza mobile) pare che sia stato recentemente inventato un virus in grado di colpire, per la prima volta, il sistema mobile di Apple per “creare caos” fra i mezzi di comunicazione dei manifestanti di Hong Kong. La guerra è aperta, pure su questo fronte.

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Il governo reagisce con la schiuma e lacrimogeni
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Le notizie hanno rimbalzato sui social network

Anche Twitter è stato un mezzo potente per diffondere immagini e messaggi. Oltre a Facebook. “Per una rivoluzione servono occhiali, una mascherina e FireChat”, scrive su twitter Stanislav Shalunov, un matematico russo esperto di internet, menzionando l’applicazione che consente oggi ai manifestanti di Hong Kong, e ad altri in futuro, di comunicare fra loro anche in assenza di segnale. Un’ulteriore dimostrazione che la tecnologia, ancora una volta, può aiutare a riunirsi, parlare, dimostrare, protestare e a far conoscere la realtà. A tutti, senza distinzione. ‘Affaire à suivre’, direbbero i francesi.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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