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Dopo il debutto l’estate scorsa a Cervia (nell’ambito del Ravenna Festival) e varie tappe in giro per l’Italia (Teatro Carcano a Milano, teatro Carignano di Torino, Teatro India di Roma, Teatro Stabile di Torino, per citarne alcuni), è tornato, a Ferrara, Il duce delinquente. Il giornalista e scrittore Aldo Cazzullo e l’uomo di teatro Moni Ovadia portano in scena i crimini e i tradimenti che Benito Mussolini riuscì a ordire nella vita professionale e privata. Nel giorno del ricordo.
Treno veloce e siamo andati, non c’è Sanremo o altro impegno che tengano, teatro pieno, pienissimo, grande emozione e commozione, molti applausi durante e alla fine dello spettacolo. Ci sono anche molti silenzi di un pubblico che ascolta attonito e incredulo il racconto lineare e secco dei peggiori giorni, mesi e anni della nostra vita, a piena dimostrazione che è utile rinfrescare la memoria.
Tramite la rievocazione di fatti di cronaca e documenti, si ricompone il ritratto di un Duce che scardina quella diffusa convinzione italiana di “abile statista” che, “fino all’errore dell’alleanza con Hitler”, delle leggi razziali, della guerra, le ha azzeccate quasi tutte. Aldo Cazzullo, anche autore del libro Mussolini il capobanda (Mondadori, 2022) da cui è tratto lo spettacolo, e Moni Ovadia dimostrano che non è così.
Nel libro Cazzullo aveva anche demolito un altro luogo comune: non è vero che tutti gli italiani sono stati fascisti. L’Italia non era tutta fascista, ricorda, né poteva dirsi antifascista senza rischiare la pelle come dimostrò Antonio Gramsci con i suoi 11 anni di carcere. I poeti scelsero i loro silenzi in versi, da Eugenio Montale a Umberto Saba, altri, come Curzio Malaparte, salirono sul carro del vincitore.
Il duce delinquente è un’incredibile storia a due voci: Aldo Cazzullo racconta, Moni Ovadia legge, con un registro canoro potente e imponente, i discorsi, gli ordini, i telegrammi e i dispacci di Mussolini e i testi delle sue vittime, con musiche e canzoni dell’epoca eseguite e interpretate dal vivo da Giovanna Famulari al pianoforte e violoncello (a tratti suona anche l’armonica). Ovadia è magistrale. Recita e canta in italiano, greco, spagnolo, tedesco. Un vero istrione.
Il racconto parte con la narrazione di uno stupro anonimo che vale per molte, con donna Rachele presa alla famiglia sotto la minaccia di una pistola, mentre la narrazione si alterna fra le note e parole di “Parlami d’amore Mariù” e “Abat-jour”. Di come Mussolini trattava le donne se ne parlerà spesso durante lo spettacolo: dalla tassa sul celibato alla loro esclusione da molti posti di lavoro (al massimo un dieci percento con un bel novanta percento di “quote azzurre” (sul tema, vi consiglio di leggere Mirella Serri, Mussolini ha fatto tanto per le donne! Le radici fasciste del maschilismo italiano, Longanesi, 2022).
Prima del 1938, Mussolini aveva provocato la morte di Piero Gobetti (aiutato a fuggire in Corsica da un Avvocato un po’ stravagante, Sandro Pertini, per il quale parte un applauso spontaneo), Antonio Gramsci, Giovanni Amendola. E ancora dei fratelli Carlo e Nello Rosselli e di don Minzoni, che “attendeva la bufera”.
Si ricorda anche, Giacomo Matteotti e quando, il 30 maggio 1924, dopo aver preso la parola alla Camera dei deputati per contestare i risultati delle elezioni tenutesi il precedente 6 aprile, terminato il discorso disse ai suoi compagni di partito: “Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il mio discorso funebre”.
L’elenco dei caduti è ancora lungo. I numeri delle vittime crescono.
Il Duce, continua la narrazione, aveva fatto morire in manicomio la donna che aveva amato, Ida Irene Dalser. e il proprio figlio Benitino (Benito Albino), anch’egli rinchiuso in un istituto psichiatrico a Mombello di Limbiate (l’allora manicomio provinciale di Milano), dove morì nel 1942, a causa della tubercolosi (consiglio Vincere di Marco Bellocchio, del 2009, con una bravissima Giovanna Mezzogiorno nel ruolo di Ida).
Aveva preso e mantenuto il potere nel sangue, perseguitando oppositori, “diversi” e omosessuali, imponendo un clima plumbeo e conformista (manganelli e olio di ricino, bombe e mitragliatrici; incredibile ma c’era anche un inno San Manganello…).
Aveva imposto una cupa e funerea cappa di piombo: Tribunale speciale, polizia segreta, rapaci squadroni d’assalto, confino.
Aveva commesso crimini in Libia, in Etiopia e in Spagna.
Si era dimostrato un uomo narcisista e crudele.
Centinaia di migliaia di morti, antifascisti in montagna, ebrei nei campi di sterminio, mentre la radio trasmetteva “Maramao” e “Abbassa la tua radio per favore”.
Il Duce aveva la violenza come programma, una violenza da lui definita “necessaria”, l’omicidio come politica, ricorda Cazzullo. Dichiarava che “se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono stato il capo di quest’associazione”.
La guerra non era stata ed è impazzimento, è stata ed è lo sbocco naturale del fascismo, la sopraffazione di uno Stato sull’altro e di una razza sull’altra. Aver mandato i soldati italiani a morire senza equipaggiamento in Russia, nel deserto, in Albania è stato un altro crimine, contro il suo stesso popolo. Crimine perpetuatosi, fino a Piazza Fontana o alla strage di Bologna.
È uno spettacolo, secondo Cazzullo e Ovadia, che fa capire perché vergognarsi del fascismo ed essere invece orgogliosi dei resistenti che l’hanno combattuto. E poi l’antifascismo non è un optional, una libera, scelta, ma articolo della Costituzione.
Per Lei tutti i cittadini hanno pari dignità…
Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
e il pensiero è libero…
Quella libertà di pensiero tanto agognata e sofferta nella sua conquista che anche Roberto Benigni ha ricordato pochi giorni fa a Sanremo. Perché non tutti ce l’hanno.
Art.21: tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero
Immagini Zani Casadio
ALDO CAZZULLO
Entra a La Stampa come praticante nel 1988 e, nel 1998, si trasferisce a Roma. Nel 2003, passa al Corriere della Sera dove è inviato speciale e editorialista. Ha raccontato i principali avvenimenti italiani e internazionali degli ultimi 25 anni e ha seguito cinque edizioni dei Giochi Olimpici e cinque Mondiali di calcio. Ha intervistato Bill Gates, Steven Spielberg, Keith Richards, Jacques Le Goff, Don De Lillo, Mario Vargas Llosa, Daniel Day Lewis, Gérard Depardieu, Marine Le Pen e Rafael Nadal oltre ai protagonisti della vita pubblica italiana. Ha dedicato oltre venti libri alla storia e all’identità italiana, sia in chiave critica – come Outlet Italia (2007), L’Italia de noantri (2009) – sia in difesa della storia e delle potenzialità del nostro Paese. Viva l’Italia! (2010), Basta piangere! (2013), Possa il mio sangue servire (2015), Metti via quel cellulare (2017) hanno tutti superato le centomila copie; La guerra dei nostri nonni (2019), le duecentomila. Nel 2020 pubblica A riveder le stelle. Dante, il poeta che inventò l’Italia, grande successo editoriale da oltre 250.000 copie vendute, destinato a diventare uno spettacolo teatrale portato in scena con Piero Pelù da giugno 2021. Nel 2022 è uscito Mussolini il capobanda.
MONI OVADIA
Uomo di teatro, attivista dei diritti civili e sociali, nato a Plovdiv in Bulgaria nel 1946, da una famiglia ebraico-sefardita, alla fine degli anni ’40 si trasferisce a Milano con la famiglia. Formatosi come cantante di musica popolare col gruppo Ensemble Havadià, nel 1984 si dedica al teatro avviando una serie di collaborazioni con numerose personalità della scena, tra cui Pier’Alli, Bolek Polivka, Tadeusz Kantor, Giorgio Marini, Franco Parenti. È l’occasione per fondere le proprie esperienze di attore e di musicista, dando vita alla proposta di un “teatro musicale” lungo il quale ancora oggi opera la sua ricerca espressiva. Nel 1993 con Oylem Goylem, creazione di teatro musicale in forma di cabaret, si impone al pubblico e alla critica. Per il cinema ha lavorato con Nanni Moretti, Mario Monicelli, Roberto Andò, Roberto Faenza e altri. Radio, dischi, libri, lezioni universitarie, accompagnano la sua attività principale. Per 5 anni è stato Direttore Artistico del Festival della cultura mitteleuropea di Cividale del Friuli. Da marzo 2021, è Direttore della Fondazione Teatro Comunale di Ferrara. Gli sono stati conferiti numerosi premi alla carriera e all’impegno civile ed è considerato uno dei più prestigiosi e popolari uomini di cultura e artisti della scena italiana. Il suo teatro musicale, ispirato alla cultura yiddish che ha contribuito a fare conoscere e di cui ha dato una lettura contemporanea, è unico nel suo genere, in Italia ed Europa.
GIOVANNA FAMULARI
Musicista eclettica, diplomata al conservatorio di Giuseppe Tartini di Trieste. Violoncellista, pianista, arrangiatrice e produttrice artistica, spazia tra vari generi e stili musicali che vanno dal pop al jazz, dalla musica world alla musica contemporanea passando dal teatro ai concerti e alle colonne sonore. Ha al suo attivo la realizzazione di 90 CD. Per la Rai Radiotelevisione Italiana si è esibita in numerosi programmi tv e radiofonici, oltre ai suoi progetti musicali da solista collabora con diversi artisti nazionali ed internazionali. Ha lunga esperienza teatrale e televisiva dove ha collaborato come compositrice, arrangiatrice e musicista con Peter Stein, Alfredo Arias, Giovanni Veronesi, Carlo Quartucci, Giancarlo Sepe, Lina Sastri, Tony Servillo, Rocco Papaleo, Moni Ovadia, Massimo Popolizio, Erika Blank, Isabella Ragonese, Carlo Quartucci, Alessandro Haber e Claudia Gerini. Ha fatto conoscere il suono del suo violoncello nei più prestigiosi teatri del mondo.
Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.
Se già frequentate queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica dell’oggetto giornale [1], un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.
Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani. Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito. Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.
Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare il basso e l’altocontaminare di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta. Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle “cose che accadono” dentro e fuori di noi”, denunciare il vecchio che resiste e raccontare i germogli di nuovo, prendere parte per l’eguaglianza e contro la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo..
Con il quotidiano di ieri, così si dice, ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Tutto Periscopio è free, ogni nostro contenuto può essere scaricato liberamente. E non troverete, come è uso in quasi tutti i quotidiani, solo le prime tre righe dell’articolo in chiaro e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.
Sembra una frase retorica, ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni” . Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come quelli immateriali frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e ci piacerebbe cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e ogni violenza.
Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”, scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori) a tutti quelli che coltivano la curiosità, e non ai circoli degli specialisti, agli addetti ai lavori, agli intellettuali del vuoto e della chiacchera.
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Nato quasi otto anni fa con il nome ferraraitalia [2], Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Conta oggi 300.000 lettori in ogni parte d’Italia e vuole crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma anche e soprattutto da chi lo legge e lo condivide con altri che ancora non lo conoscono. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante. Buona navigazione a tutti.
Francesco Monini
[1] La storia del giornale è piuttosto lunga. Il primo quotidiano della storia uscì a Lipsia, grande centro culturale e commerciale della Germania, nel 1660, con il titolo Leipziger Zeitung e il sottotitolo: Notizie fresche degli affari, della guerra e del mondo. Da allora ha cambiato molte facce, ha aggiunto pagine, foto, colori, infine è asceso al cielo del web. In quasi 363 anni di storia non sono mancate novità ed esperimenti, ma senza esagerare, perché “un quotidiano si occupa di notizie, non può confondersi con la letteratura”.
[2] Non ci dimentichiamo di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno il giornale si confeziona. Così Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto.
Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it
L'INFORMAZIONE VERTICALE
purtroppo è tutto vero! non è un caso che le squadracce utilizzate dal Duce fossero costituite spesso proprio dai bulli di paese, quelli sempre pronti alle risse e nullafacenti, con un rapporto violento con le donne.