Il bicchiere infinito di Italo Calvino:
Il 28 agosto la ventiduesima maratona di lettura alla Biblioteca Bassani
Il bicchiere infinito di Italo Calvino
La ventiduesima maratona di lettura presso la Biblioteca Bassani.
“Il sogno più inatteso è un rebus che nasconde”: questo è il titolo della ventiduesima maratona di lettura che si svolgerà il prossimo 28 Agosto presso la Biblioteca Bassani di Ferrara e che sarà dedicata a Italo Calvino.
La frase di Italo Calvino che dà titolo alla maratona, oltre a descrive semplicemente un sogno, ne svela la struttura segreta. Il sogno non è un’immagine da contemplare, ma un enigma da attraversare.
Non si offre, si cela. Non si spiega, si decifra. È una forma che contiene altre forme, un linguaggio che si piega su se stesso per generare senso.
Calvino ha sempre cercato il punto in cui il visibile si fa soglia dell’invisibile. Il sogno, per lui, è una macchina combinatoria, un dispositivo poetico che non rivela ma costruisce. Come nei rebus, dove l’immagine e la parola si intrecciano in un cortocircuito semantico, anche il sogno calviniano è un gioco di specchi, una grammatica dell’ombra.
In Le città invisibili, ogni città è un sogno che si finge racconto. Zaira, che è memoria; Fedora, che è possibilità; Berenice, che è desiderio. Ogni città è un rebus, un sogno inatteso che si nasconde dietro la geometria delle parole. E Marco Polo, il narratore, è il decifratore che non risolve, ma moltiplica gli enigmi. Il viaggio non è verso la verità, ma verso la proliferazione delle forme.
Calvino ci invita a leggere il mondo come un testo cifrato, dove il senso non è dato, ma costruito. Il sogno non è evasione, ma architettura. Non è fuga, ma forma. E in questa forma si cela la poesia: non come ornamento, ma come struttura portante dell’universo.
“Il sogno è il luogo dove il senso si nasconde per rivelarsi.”
Questa visione del sogno come rebus si avvicina all’idea zen del koan: un enigma che non si risolve con la logica, ma con la trasformazione interiore. Il rebus non è da sciogliere, ma da abitare. Il sogno non è da interpretare, ma da vivere. E forse, proprio qui, si apre il ponte verso un’estetica molto vicina a quella giapponese,
Calvino non è mai stato un autore dell’esplicito. La sua scrittura è fatta di soglie, di interstizi, di silenzi che parlano. Il sogno come rebus è anche una metafora della sua poetica: una poetica dell’allusione, della leggerezza, della precisione. Una poetica che non cerca di spiegare il mondo, ma di renderlo più misterioso, più abitabile, più vero.
Calvino scrive anche che “La poesia è l’arte di far entrare il mare in un bicchiere” e in questa immagine, Calvino condensa la sua idea di poesia come concentrazione dell’immenso. Il mare è l’infinito, il caos, la vastità del mondo; il bicchiere è la forma, il contenitore, la misura. La poesia, allora, è il gesto che rende visibile l’invisibile, che dà corpo all’evanescente, che trasforma l’indicibile in figura.
Calvino non cerca la poesia nell’enfasi, ma nella precisione. È un poeta della leggerezza, ma anche della geometria. Nelle Lezioni americane, la leggerezza non è superficialità, ma profondità senza peso. È il modo in cui il pensiero si fa volo, in cui la parola si fa ala. E il bicchiere non è una limitazione, ma una sfida: come contenere l’oceano in una forma finita?
Questa tensione tra vastità e misura è il cuore della sua poetica. Come nei suoi racconti combinatori, dove l’invenzione nasce dalla regola, dalla costrizione, dalla struttura. Il mare non si perde, si distilla. La poesia non è dispersione, ma concentrazione. È il punto in cui il mondo si raccoglie in un’immagine, in una parola, in un gesto.
“La poesia è il luogo dove l’infinito si lascia misurare.”
E qui, come accade ad esempio in un haiku, il mondo intero può stare in tre versi. Il bicchiere diventa il verso, la forma breve, la miniatura. E il mare è il tempo, la natura, il silenzio che vibra sotto le parole. Calvino, pur non scrivendo haiku, ne condivide lo spirito: la ricerca dell’essenziale, la contemplazione del dettaglio, la rivelazione dell’universo in un frammento.
Ma questa miniatura dell’infinito non è solo arte poetica ma anche…arte scientifica. Calvino era affascinato dalla fisica contemporanea, dalla teoria dei quanti, dalla cosmologia. In un’intervista del 1984, parlava della sua ammirazione per i fisici che “riescono a pensare l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande”. La poesia, come la scienza, è una forma di conoscenza che lavora per analogia, per modelli, per metafore. Entrambe cercano di contenere l’universo in una formula, in un verso, in un’equazione.
Il bicchiere, allora, può essere anche il laboratorio, il microscopio, il telescopio. È lo strumento che permette di osservare il mare dell’universo, di misurarlo, di raccontarlo. E la poesia diventa sorella della scienza: entrambe cercano il punto in cui il caos si fa forma, in cui l’invisibile si fa visibile.
“La poesia e la scienza sono due modi di guardare il mondo con occhi che non si accontentano.”
E se fosse il…Giappone proprio una di quelle soglie calviniane?
Nel cuore dell’haiku pulsa il vuoto. Non come assenza, ma come spazio generativo. Il silenzio tra i versi è ciò che permette al mondo di risuonare. E in questo vuoto, Calvino avrebbe riconosciuto una forma di conoscenza: quella che non dice tutto, ma lascia che il lettore completi, interpreti, abiti.
Il vuoto è anche una categoria scientifica. Nella fisica quantistica, il vuoto non è il nulla, ma un campo di possibilità. È il luogo dove le particelle virtuali emergono e svaniscono, dove l’energia fluttua, dove l’universo si scrive e si cancella. Calvino, che leggeva con attenzione le teorie contemporanee, avrebbe visto nel vuoto quantistico una metafora perfetta della sua poetica: il mondo come testo che si genera nel silenzio, nella pausa, nell’interstizio.
“Il vuoto è ciò che permette al pieno di esistere.”
Nel Giappone dell’haiku, il silenzio è parte della forma. Il ma — spazio tra le cose — è ciò che dà ritmo e senso. In Calvino, il silenzio è ciò che separa e collega. È il respiro tra le città invisibili, il bianco tra le parole, il tempo sospeso tra le combinazioni. Come nel principio di esclusione di Wolfgang Pauli, che impedisce a due elettroni di occupare lo stesso stato: il vuoto è anche una forma di rispetto, di distanza, di relazione implicita.
La poesia, allora, diventa una forma di fisica del vuoto. Non accumula, ma sottrae. Non spiega, ma lascia intuire. E in questo gesto, Calvino si avvicina all’estetica giapponese: non per imitazione, ma per consonanza. Il suo sogno è un rebus, il suo bicchiere è una forma, il suo vuoto è una soglia.
“Nel silenzio tra le parole, il mondo si fa visibile.”
Italo Calvino ha insegnato a leggere il mondo come un rebus, a contenere l’infinito in un bicchiere, a lasciare che il vuoto parli. Il suo sogno non è mai stato quello di spiegare, ma di moltiplicare le possibilità. Come un fisico che osserva le fluttuazioni del vuoto quantico, come un poeta giapponese che distilla l’universo in tre versi, Calvino ha cercato la forma che rivela senza possedere, che mostra senza esaurire.
Nel suo pensiero, la poesia è sorella della scienza e figlia del silenzio. È il luogo dove il mare si lascia contenere, dove il sogno si fa struttura, dove il vuoto diventa spazio generativo. E in questo gesto, Calvino si avvicina all’estetica giapponese non per imitazione, ma per consonanza profonda: entrambi cercano l’essenziale, entrambi abitano il margine, entrambi ascoltano ciò che non si dice.
“Il mondo non si spiega, si racconta. E nel racconto, si nasconde per rivelarsi.”
Questa maratona, questo omaggio a Calvino potrebbe rappresentare un vero e proprio invito a rileggere questo straordinario autore come un poeta dell’invisibile, come un architetto del sogno, come un haijin dell’Occidente. E forse durante la lunga maratona alla Bassani potrà capitarci di sentire il suono del mare che entra nel bicchiere.
Cover: particolare della copertina de “Le città invisibili” di Italo Calvino
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Avevo in mente Il Calvino di Palomar e non questo accostamento al pensiero e alla poesia orientale. Una interpretazione affascinante. Ci sono molti Calvino ancora da indagare.
Mi risuonano aspetti fondamentali della psicoanalisi: il lavoro onirico, il vuoto come potenziale. Mi è tornata voglia di rileggere Calvino, più vicino di quanto sospettassi. Grazie
La poesia è geometria, architettura dell’ essenziale. La scrittura poetica è un continuo tendere verso una sintesi emotiva ma non sempre ci si riesce e allora ci si riprova. Grazie Giuseppe per questo tuo stimolante ed approfondito contributo.