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L’obbligo della pace

Dopo tante guerre combattute (e troppe ancora in corso), in teoria, tutti dovrebbero votare per la pace e deporre tale voto almeno nell’urna invisibile della propria coscienza di essere umano. Ma in molti casi non si è certi che questo voto, a favore dell’unico programma elettorale sensato, venga accompagnato da una effettiva consapevolezza di quali problemi seri e profondi, uno “stato di pace” comporti.

Lo stesso si può dire per quelli che continuano a sostenere la cosiddetta real politik della guerra e che, in nome di Qualcosa ( evidentemente e inspiegabilmente più Grande della vita stessa), ne difendono la causa: anche in questo caso il voto per la guerra non sembrerebbe accompagnato dalla coscienza e dalla conoscenza  degli scenari che alla fine dello “stato di guerra” bisognerà affrontare e comunque: di tali scenari se ne perde subito memoria!

Perché la questione non è semplicemente che ci sia pace  (ovvero che non ci sia guerra) ma è stabilire la vita in vista di uno “stato” che chiamiamo “di pace” (ovvero “di dopoguerra”). E la pace non è mai solo una  “semplice” assenza di guerra ma è molto di più e solitamente del tutto differente da quanto immaginato.

La pace è innanzitutto un modo di vivere, un modo di abitare il pianeta, un modo di essere… esseri umani.

La filosofa Maria Zambrano nel 1990 scrisse già tutto questo (I pericoli per la pace in Le parole del ritorno pubblicato in Italia da Città aperta Edizioni, nel 2003) è definì la pace come quella “…condizione primaria  per la realizzazione dell’ essere umano nella sua pienezza…” perché la vera promessa non è un astratto vagheggiamento al diritto di vivere in pace ma un vero e proprio obbligo: diventare un… essere umano.

Dopo la guerra, dopo qualunque guerra, entrare in uno stato di pace potrebbe essere paragonato a una transizione di fase quella che in fisica è riconoscibile grazie alla formazione di una superficie che si crea, ad esempio, nel passaggio da uno “stato” solido a uno stato liquido (o viceversa).

Nel nostro caso una tale superficie dovrebbe separare nettamente una storia già trascorsa e passata – e dunque un “essere umano” vecchio – con un’altra storia, nuova e ancora da cominciare – e di conseguenza con un nuovo “sentire” e un altro essere umano.

Si tratterebbe dunque dice la Zambrano “…del duplice compimento di quel sogno di rivoluzione pacifica che hanno sognato tanti…” esseri umani compiuti, esseri cioè obbligati a mantenere quella promessa di compiutezza umana.

Compimento duplice perché oltre ad essere una rivoluzione pacifica, avrebbe come contenuto, appunto, la pace. Compiutezza anch’essa duplice perché oltre a mostrarne la possibilità di mantenerla, consente a tutti gli altri esseri umani di potersi confrontare con la “propria capacità e volontà” di realizzarla.

Retrocedere davanti a questa soglia non è possibile. Essere o non essere, vivere in pace o cessare di vivere, questo è il problema. Perché  in questa circostanza è la necessità che obbliga alla morale.”

E come non pensare, a proposito di quest’ultima affermazione della Zambrano, ad un’altra grande intellettuale del secolo scorso, Simone Weil?

 

Tra gli scritti londinesi del 1943  (tradotti in Italia da Franco Fortini nel  1954 con il titolo La prima radice), la filosofa francese introduce un ripensamento critico della nozione  di diritti umani.  La Weil parlando dei bisogni dell’anima introduce l’obbligo come un valido sostituto radicale e naturale del diritto:
“L’oggetto dell’obbligo, nel campo delle cose umane, è sempre l’essere umano in quanto tale. C’è obbligo verso ogni essere umano , per il solo fatto che è un essere umano, senza che alcun’altra condizione abbia ad intervenire…” [ La prima radice, SE Milano, 1990].

E dunque è questo obbligo verso ogni altro essere umano e, più in generale, verso una vita (in pace), che stabilisce la morale.

Fin quando sarà la paura a determinare l’assenza di guerra continueremo a parlare di uno stato ambiguo e pericoloso, uno stato di non guerra. Perché la storia, ci ricorda la Zambrano, ha sempre dimostrato che i timori più fondati, le deterrenze meglio architettate, possono essere cancellati immediatamente in un solo istante di follia.

Una situazione che si sostiene solo sulla paura è priva di sostanza morale, di quella sostanza irrinunciabile che nasce, non dal diritto individuale (quello di vendicarsi, quello di difendersi, etc…), ma dall’obbligo che tutti gli altri, responsabilmente, sanno di avere nei confronti di un essere vivente solo e in quanto tale.

La pace non è un diritto posseduto da qualcuno e come tale suscettibile di essere imposto, persino con la guerra o con la paura. No. La pace è un dovere al quale tutti gli altri devono sentirsi obbligati per mantenere la promessa di un’umanità  davvero compiuta, per consentire la cura della prima e più profonda delle radici: la vita.

In copertina: ritratto di Mario Zambrano

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Giuseppe Ferrara

Giuseppe Ferrara – Nato a Napoli. Cresciuto a Potenza fino alla maturità Classica presso il Liceo-Ginnasio Q.O. Flacco. Laureato in Fisica all’Università di Salerno. Dal 1990 vive e lavora a Ferrara, dove collabora a CDS Cultura . Autore di cinque raccolte poetiche; è presente in diverse antologie. In rete è possibile trovare e leggere alcune sue poesie e commenti su altri poeti e autori. Tiene un blog “Il Post delle fragole”: https://thestrawberrypost.blogspot.com/

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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