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2 Aprile 2014

Il bambino blu

Tempo di lettura: 11 minuti


Una storia inventata insieme ai bambini di una classe seconda, già pubblicata sul numero 63 de “La Gazzetta del Cocomero” (febbraio 2012) e che diffondiamo volentieri oggi, 2 aprile, Giornata mondiale per la consapevolezza dell’autismo, durante la quale, allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica, tutti i monumenti del mondo si illumineranno di blu.

C’era una volta una classe di bambine e di bambini o meglio… c’era una volta una classe di bambine e di bambini tutti rosa.

A dir la verità non erano proprio tutti rosa, infatti qualcuno era rosa, altri erano rosa chiaro e altri ancora, quelli che stavano di più al sole, erano rosa scuro quasi marrone.

Anche le maestre e i maestri erano di un bel colore rosa antico.

E tutti insieme erano di un normale colore rosa.

Un giorno, alla maestra di quella classe, arrivò una telefonata; era il direttore della scuola, il quale avvertì che il giorno dopo sarebbe arrivato un bambino nuovo che veniva da lontano; il direttore sembrava volesse parlare ancora ma non aggiunse altro se non un po’ di imbarazzato silenzio.

Quando le maestre raccontarono ai bambini che il giorno dopo sarebbe arrivato un nuovo compagno in molti pensarono: “Speriamo diventi mio amico”, “Speriamo che giochi con me”, “Speriamo non sia un bullo”, “Speriamo sia simpatico”, “Speriamo tifi per la mia squadra”.

Il giorno dopo arrivò presto, insieme a lui arrivò anche il nuovo bambino ed insieme al nuovo bambino arrivò una super delusione ed un mega stupore.

Quando i bambini della classe videro sulla porta della loro aula il nuovo compagno rimasero senza parole nella bocca, pieni di domande negli occhi e con una paura tremenda dentro la testa.

Senza che nessuno sapesse da dove fosse arrivato, si trovarono sulla porta un bambino alto come loro, grosso come loro ma diverso del tutto da loro.

Lui era… lui era strano, molto strano davvero.

Intanto era tutto blu, sotto la maglietta ed i calzoncini aveva la pelle tutta blu.

E poi aveva anche tre occhi!!!

Due erano allo stesso posto in cui li avevano i bambini della classe ed uno ce l’aveva in mezzo alla fronte…

E poi aveva quattro braccia e naturalmente quattro mani!!!

Due erano allo stesso posto in cui le avevano i bambini della classe e altre due crescevano da sotto le ascelle.

E poi aveva quattro gambe e naturalmente quattro piedi!!!

Due erano allo stesso posto in cui le avevano i bambini della classe e altre due crescevano dietro le altre.

E, per finire, ad uno dei quattro polsi aveva uno strano orologio molto grande.

Il bambino blu dimostrava di non pensare a niente.

I bambini della classe si ritrovarono ad essere stupiti, curiosi, impauriti, pensierosi.

Anche la maestra si trovò un po’ a disagio ma poi, con la voce gentile e con i pensieri accavallati, chiese al bambino blu, scandendo bene le parole, come si chiamava.

Il bambino blu però sembrava non capire e non rispose.

Allora la maestra invitò il bambino blu, sia con le parole che con i gesti, ad andarsi a sedere dove voleva.

Il bambino blu però sembrava non capire nemmeno i gesti e non si muoveva.

Allora la maestra provò a cambiare tecnica e chiese a qualcuno dei bambini della classe di invitare il bambino blu a sedersi vicino a loro.

Ma nessuno dei bambini aprì bocca perché nessuno voleva stare vicino a lui.

La maestra allora si avvicinò al bambino blu e appoggiandogli una mano sulle spalle provò a spingerlo per mandarlo verso il banco di Sandro, un bambino grande e grosso che tutti chiamavano Sandrone.

Sandro era seduto all’ultimo banco e, con gli occhi allargati, la bocca stretta e storta, sembrava dicesse in silenzio: “No, ti prego, non qui vicino a me!”

Il bambino blu, aveva l’aria di chi ha la testa per aria, camminò vicino alla maestra e poi arrivò vicino a Sandro e si sedette in silenzio.

“Meno male” pensò la maestra.

“Per fortuna che non si è seduto vicino a me” pensarono i compagni di Sandro.

“E adesso come faccio! Voglio andare a casa mia!” pensò Sandro.

“*<§#ç<<]” sembrava pensare il bambino blu.

La maestra tornando alla cattedra, con mille nuove domande, provò a cominciare la sua lezione.

I bambini si sa, quando si ritrovano ad essere impauriti e curiosi possono fare cose strane e possono diventare davvero dispettosi, maleducati, insomma poco ospitali.

Infatti Celestino, il compagno seduto davanti a Sandro, cominciò a prendere in giro il bambino blu voltandosi e dicendogli sottovoce: “Faccia Blu, il più brutto sei tu!” e dopo: “Bu, bu, bu, al bambino blu”.

Il bambino blu, anche se sembrava non capire le parole, capiva bene il tono di presa in giro con cui erano pronunciate e capiva ancora meglio la faccia brutta che recitava quella formula.

Era facile pensare che lui si sentisse spaesato, triste, umiliato insomma che si sentisse male… ma non era così facile capire che cosa poteva pensare il bambino blu perché lui non diceva niente e non faceva vedere niente.

Mirco gli tirava i pezzetti di carta; Marco andava a fare la punta alla matita e poi rovesciava i trucioli sul suo banco; Rosa per andare in bagno faceva il giro lungo, passava proprio davanti a lui, si girava e gli faceva le boccacce.

Ma il bambino blu aveva sempre la stessa espressione di chi sembra essere lì con il corpo ma con la testa sta viaggiando su un altro pianeta.

Durante la ricreazione nessuno dei compagni voleva stargli vicino, anzi si divertivano a giocare fra di loro cercando in tutti i modi di urtarlo, di spingerlo, di calciarlo facendo sembrare l’urto, la spinta, il calcio come involontari.

Ancora una volta era davvero facile pensare che il bambino blu si sentisse umiliato, triste, estraneo insomma che si sentisse male… ma non era così facile capire che cosa poteva pensare.

Arrivata l’ora di pranzo, la maestra dovette accompagnare il bambino blu al tavolo, tenendogli una mano sulla spalla. Per evitare altri brutti comportamenti lo mise a sedere vicino a lei.

Il bambino blu non mangiò niente dal suo piatto, niente di niente però all’improvviso allungò una delle sue quattro braccia nel cestino dei rifiuti che aveva vicino, prese della carta straccia e, fra lo stupore di tutti, se la mise in bocca e la inghiottì.

Lo fece più volte, così velocemente che nessuno sarebbe riuscito a fermarlo… a dir la verità nessuno ci provò. Restarono tutti ammutoliti per qualche secondo e poi scoppiarono in una fragorosa risata collettiva che forse spaventò molto il bambino blu perché si alzò di scatto e cominciò a correre all’impazzata, ad emettere strane urla che assomigliavano al barrito di un elefante e a buttare per terra tutti gli oggetti che incontrava nel suo percorso.

All’uscita da scuola il bambino blu uscì per ultimo, insieme alla maestra; ad aspettarlo c’era una strana macchina a forma di orologio che assomigliava metà ad un’automobile e metà ad un’astronave. Lì vicino c’era il suo papà… blu anche lui, con tre occhi, con quattro braccia, quattro gambe ma in più aveva un paio di baffi naturalmente blu. Anche il papà, ad uno dei quattro polsi aveva uno strano orologio molto grande.

Il bambino blu, appena vide il papà, gli corse incontro con le sue quattro gambe e poi lo strinse forte con le sue quattro braccia.

Salirono poi sulla macchina a forma di sveglia che, una volta messa in moto, si sollevò ed in un attimo sparì.

Il giorno dopo, a scuola, il bambino blu arrivò tardi.

La situazione diventò subito uguale al giorno prima: tutti lo prendevano in giro perché era blu, perché aveva tre occhi, perché aveva quattro braccia, perché aveva quattro gambe, perché aveva uno strano orologio e poi perché sembrava un po’ fuori di testa.

Senza che la maestra sentisse gli dicevano: “Faccia Blu, il più brutto sei tu!” e poi: “Bu, bu, bu, al bambino blu”; e via di seguito a fargli gli stessi dispetti.

Durante l’intervallo i dispetti si moltiplicavano: Marco e Mirco si disegnavano un occhio sulla fronte e poi si mettevano uno dietro l’altro per sembrare un bambino solo con quattro braccia e quattro gambe.

Tutti ridevano sonoramente e quando succedeva così il bambino blu si alzava di scatto, cominciava a correre come un matto, ad emettere urla bestiali e a gettare per terra tutti gli oggetti che incontrava.

Un giorno a scuola, durante la ricreazione, si stava festeggiando il compleanno di Sandro.

I bambini si divertivano a lanciare tovagliolini di carta al bambino blu come se fosse un bersaglio, gli mettevano le sportine di plastica in testa e lo chiamavano “Il grande Puffo”, ed invece di cantare la canzone “Tanti auguri a te” a Sandro, la gridavano così forte nelle orecchie del bambino blu che sembravano un coro di scimmie urlatrici ubriache.

Il povero bambino blu correva per l’aula, faceva versi disperati e con le sue quattro braccia dava spinte a tutte le cose che incontrava.

All’improvviso si sentì bussare, o meglio si sentì una specie di assolo di batteria sulla porta.

La maestra aprì e sulla porta c’era il papà blu che con una voce che sembrava una lamiera battuta da un martello, disse minacciosamente pressappoco così:

“OI IV ODEV

ES ETAF I ILLECNOFFUB

IV OMROFSART NI ILLERTSIPIP”

E poi sparì, sbattendo la porta!

Nessuno capì le parole ma tutti si guardarono in faccia spaventati, anche la maestra, e stavolta sembrava avere un’espressione impaurita anche il bambino blu.

La lezione ricominciò a fatica ma durante la ricreazione il fatto di prima era già scordato dai bambini che ricominciarono a prendere in giro il bambino blu e a fargli dei dispetti.

Ad un certo punto, dopo che Rosa aveva spinto la punta di una matita contro la schiena del bambino blu, proprio mentre tutti ridevano forte ed il bambino blu correva, urlava e faceva il disastro, nella classe si alzò una nebbiolina bluastra, si sentì come una vibrazione sul pavimento e, un poco alla volta, i bambini cominciarono a sentirsi strani.

A qualcuno girava la testa, ad altri faceva male la pancia, Sandro aveva il vomito, Celestino doveva fare la pipì, Mirco sentiva male dappertutto, Rosa chiamava la mamma.

Ad un certo punto la nebbia si fece più fitta e scura; un silenzio diverso riempiva l’aula.

Poco alla volta, dalla nebbia uscivano svolazzando dei pipistrelli blu che piangevano e chiamavano la mamma: erano proprio quei bambini che erano diventati pipistrelli!

C’era chi strillava, chi gridava, chi frignava, chi si faceva la pipì addosso.

C’era il caos più totale: l’aula era piena di nebbia e di pipistrelli blu che urlavano disperati frasi di aiuto. La maestra era super stupita e non sapeva proprio cosa fare. Sembrava di essere dentro un film di paura.

Solo il bambino blu aveva l’aria di chi sembrava aver capito ciò che era successo; così fece la cosa più strana di tutte le cose strane che aveva fatto finora.

Andò al centro dell’aula, alzò le sue quattro braccia al cielo e, per la prima volta, anziché urlare, pronunciò queste parole:

ITTEMS ÀPAP EM AL OVAC AD OLOS

ION ITTUT OMAILGOV EREVA ICIMA

Come per incanto, la nebbiolina cominciò a sparire, i bambini pipistrello si appoggiarono a terra e, un po’ alla volta, davanti alla maestra sempre più stupita, i pipistrelli ridiventarono bambini.

“Ma che cosa è successo?” chiesero i bambini dopo essersi abbracciati fra loro.

La maestra allora si mise di fronte al bambino blu e gli disse con tono deciso: “Adesso devi provare a spiegarmi bene. Con le tue parole, con i tuoi gesti ma ho bisogno di capire e ti guarderò ascoltandoti bene”.

Ci fu un attimo di silenzio che sembrava di essere in una fotografia poi, quando tutti si aspettavano il silenzio o le urla, il bambino blu cominciò a dire:

“In questi giorni ho provato ad osservarvi e ad ascoltarvi, così ho imparato la vostra lingua.

Io mi chiamo Bluario, vengo da un pianeta che si chiama Bluturno e la mia lingua è il Bluese.

Sono venuto in questa scuola perché mio papà e mia mamma sono stati costretti a scappare lontano da casa perché da noi è venuto un turbo temporale planetario.

Nel mio pianeta siamo tutti come me; al braccio noi portiamo un monitor che ci permette di vederci sempre, anche quando non siamo vicini. I miei genitori mi hanno visto qui a scuola, hanno pensato che voi mi trattaste male e mio papà è venuto a minacciarvi.

Voi non avete capito quello che diceva perché lui si è sbagliato nell’imparare la vostra lingua e ha pronunciato le frasi al contrario. Lui voleva dirvi così:

IO VI VEDO

SE FATE I BUFFONCELLI

VI TRASFORMO IN PIPISTRELLI

Quando mi avete fatto ancora i dispetti lui vi ha trasformato in pipistrelli perché mi vuole bene e non voleva che mi trattaste male. Noi nel nostro corpo abbiamo una ghiandola che si chiama IPERIMMAGINALO che ci permette di realizzare i nostri desideri se ci teniamo proprio tanto e mio papà desiderava punirvi.

In questi giorni vi ho osservati ed ho capito che voi avevate paura di me perché io non sono come voi, per questo motivo vi mettevate insieme per prendermi in giro o per farmi i dispetti.

Io però ho anche visto che nessuno di voi da solo mi ha mai preso in giro o mi ha dato fastidio.

Anche io avevo paura di voi, tanta paura di voi che non riuscivo né a muovermi né a parlare; e quando sentivo i rumori forti avevo così tanta paura che non riuscivo a controllare i miei movimenti.

Ma anche io vorrei conoscere degli amici nuovi, diversi da me e sono sicuro che sia la stessa cosa anche per voi.

Con i miei tre occhi ho visto nei vostri due occhi che voi siete curiosi ma non cattivi, siete sinceri e non falsi, avete voglia di conoscere e non di escludere.

Così ho urlato a mio papà in modo che capisse:

SMETTI PAPÀ ME LA CAVO DA SOLO

NOI TUTTI VOGLIAMO AVERE AMICI

Poi vi ho ritrasformato in bambini perché era proprio quello che desideravo: avere altri bambini da conoscere e che avessero voglia di conoscermi.”

Dopo averlo ascoltato i bambini della classe e la maestra, provarono tutti la stessa emozione esagerata!

La maestra aveva anche le lacrime agli occhi.

Venne spontaneo, prima alle femmine e poi anche ai maschi, andare incontro in silenzio al bambino blu e abbracciarlo.

Anche il bambino blu li abbracciava e a lui veniva anche meglio.

Si strinsero così forte che al bambino blu sembrava di aver trovato una nuova casa e ai bambini di quella classe sembrava di sentire un calore megagalattico.

La maestra decise che quel momento andava festeggiato: uscirono tutti nel parco e con un entusiasmo nuovo decisero di giocare a calcio (il bambino blu aveva un gioco di gambe incredibile), quindi a palla prigioniera (il bambino blu catturava tutti), poi a saltare la corda (il bambino blu inciampava sempre).

Allora i bambini chiesero a Bluario quali giochi poteva insegnar loro; e lui insegnò “Alieno comanda color”, “Un due tre pianeta” e “Robot mangia frutta”.

Ai bambini e anche alla maestra quei giochi sembravano familiari; anche per questo sentivano di avere più cose in comune di quanto potessero immaginare.

Poi gli chiesero anche di insegnargli alcune parole nella sua lingua; Rosa gli chiese come si dice “Mamma”, Sandro come si dice “Papà”, Marco come si dice “Ciao” e Mirco come si dice “Pipì”.

Quel giorno si divertirono così tanto che al bambino blu sembrava di essere diventato un po’ più rosa e ai bambini di quella classe sembrava davvero di essere diventati un po’ celesti.

Proprio quel giorno scoprirono che per stare bene insieme occorrono tanti colori: un po’ di quelli che hai, un po’ di quelli che immagini e un po’ di quelli che hanno gli altri.

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Mauro Presini

È maestro elementare; dalla metà degli anni settanta si occupa di integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Dal 1992 coordina il giornalino dei bambini “La Gazzetta del Cocomero“. È impegnato nella difesa della scuola pubblica. Dal 2016 cura “Astrolabio”, il giornale del carcere di Ferrara.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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