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E’ davvero molto bello e accattivante questo film dai colori rosa tenui ma anche rosso e viola acceso, ambientato nei primi anni del novecento, che ci racconta la storia di Gustave H., il portiere di un lussuoso albergo nella lontana Repubblica di Zubrowka, un paese immaginario in Europa, e della sua amicizia con il giovane immigrato-aiutante-apprendista Zero Moustafa.

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una scena alla pasticceria Mendl’s

A colpire maggiormente lo spettatore sono l’ambientazione da favola e l’abituale cura meticolosa dei dettagli da parte del regista: dalle scatole rosa di amaretti e dolci della pasticceria Mendl’s, alla giacca viola di Gustave, fino alle stanze variopinte abitate da curiosi personaggi.
I dialoghi sono così veloci che spesso ci vuole un attimo in più per capire le battute.
Allo stesso tempo, siamo di fronte a un film pieno di sparatorie, inseguimenti, fughe e colpi di scena, percorriamo un intenso e simpatico viaggio nell’immaginazione di uno dei registi più creativi in circolazione, in un albergo leggendario simbolo di eleganza e lusso, raggiungibile solo da una teleferica in un magnifico non-luogo sospeso…
Dopo l’omicidio della duchessa Madame D (interpretata da una magistrale Tilda Swinton), anziana amante del professionale e serio Gustave (Ralph Fiennes), lui e Zero sono coinvolti nelle indagini della polizia e nella lotta per aggiudicarsi l’eredità lasciata dalla ricchissima signora.

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la locandina del film

Gustave è un uomo gentile, dai modi eleganti, delizioso, che sembra disegnato con lo zucchero filato e una siringa d’alta cucina, quasi ripieno come una caramella. I colori tenui degli ambienti ricordano la casa di Hansel e Gretel, viene voglia di mangiarli. Poi, c’è la dolce Agatha, la giovane pasticcera che sposerà Zero, con una voglia a forma di Messico sulla guancia destra.
Altri protagonisti fondamentali (e ingredienti, per restare in tema di pasticcini…) sono la delicata e signorile acqua di colonia, che Gustave, tombeur de femmes, si spruzza spesso addosso, la tenace difesa di Zero, profugo di guerra e amico, l’ironia, i flashback, un giovane scrittore (Jude Law) che prepara la storia che vediamo, i killer, l’eredità (e un prezioso quadro), le fughe rocambolesche, ma, soprattutto, l’albergo e la montagna magica su cui fiabescamente si erge.
Nei titoli di coda, Anderson confessa di essersi ispirato alle opere di Stefan Zweig, lo scrittore ebreo austriaco suicidatosi nel 1942, in Brasile. The Grand Budapest Hotel non è un film storico: non ci sono nazisti o comunisti, anche se le iniziali ZZ sulle uniformi ricordano, ironicamente, quelle delle SS. Ma ci insegna che, anche tra crimini, assassinii e ingiustizie, si nascondono sempre bontà, gentilezza d’animo e solidarietà fra gli esseri umani, e che, contemporaneamente, ovunque esista il bene, permane anche una malvagità di fondo.

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una scena del film

Le inquadrature da cartolina, uno stile inconfondibile, quasi picaresco, una storia d’amore commovente (quella di Zero e Agatha), gli effetti speciali e un cast d’eccezione completano il quadro di un film che vuole essere anche una riflessione sull’arte del narrare. Un’arte che può permettersi di parlare della realtà, approfittando di quanto di meno realistico si possa inventare.

di Wes Anderson, con Ralph Fiennes, F. Murray Abraham, Mathieu Amalric, Adrien Brody, Willem Dafoe, Jeff Goldblum, Harvey Keitel, Jude Law, Bill Murray, Edward Norton, Saoirse Ronan, Jason Schwartzman, Léa Seydoux, Tilda Swinton, Tom Wilkinson, Owen Wilson, Tony Revolori, USA 2014, 100 mn.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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