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Perché capita il bisogno di controllare le emozioni o, peggio ancora, di controllare l’altro? Cosa cerchiamo che ci sfugge? I lettori hanno raccontato a Riccarda e a Nickname come si comportano e cedono di fronte all’inatteso.

Un disagio online

Cara Riccarda, caro Nickname,
sono preso dal controllo di lei. Guardo se è online e lei è sempre online. Ma con chi? Mi trattengo e cerco di non fare vedere questa mia debolezza che però mi mette di cattivo umore e crea mille pensieri negativi.
F.B.

Caro F.B.,
mi chiedo quale bisogno dobbiamo soddisfare, quale sia la mancanza di fondo, perché non la sappiamo individuare e così la trasferiamo direttamente sull’altro.
Dici di essere preso dal controllo di lei, ma è prima su di te che dovresti esercitare un po’ di pulizia. Ha senso mettersi a guardare se lei è online? È chiaro che nel momento in cui vai a vedere cerchi una conferma ai tuoi pensieri già incanalati verso il sospetto. E questo ti logora per tutta la giornata. Un bisogno inquieto che non ti porta da nessuna parte, solo sempre più giù. Prova con una terapia a scalare, come per disintossicarsi, fino ad arrivare al punto zero in cui il bisogno non esiste più.
Riccarda

Caro F. B.,
fino a che la vedi on line puoi stare tranquillo. È quando all’improvviso la troverai off line che dovrai preoccuparti.
Nickname

Sull’onda dell’emozione

Cara Riccarda, caro Nickname,
le emozioni si possono controllare, si possono accettare, subire, guidare, cavalcare come un’onda impetuosa che tutto guida. Ma in tutto questo saranno sempre vincenti loro. La nostra è illusione allo stato puro, anch’essa guidata da emozioni superiori. E’ la morale stessa della vita: cerchi di fare, fai, disfi, programmi, gestisci, costruisci, ragioni, distruggi ed alla fine, senza accorgertene, hai vissuto e non sai come è successo.
Alessandro

Caro Alessandro,
conoscevo una persona che mi diceva sempre “mentalizza”, e io ci provavo pure più di quanto già non facessi. Il risultato era una costruzione mentale, appunto, scardinata dagli eventi che intanto andavano avanti per conto loro. Quando mi trovo a ragionare troppo su una situazione che non capisco (e quindi non mi piace), mi assale quel “mentalizza” che mi ricorda quanto sia meglio per me sospendere il giudizio: i greci la chiamavano epokè, stare sopra alle cose, guardarle un attimo, potrebbero apparirci anche meno grandi.
Riccarda

Caro Alessandro,
credo tu abbia ragione. Le emozioni vincono sempre, anche quando hai l’impressione di dominarle.
Quando ti paralizzano poi non si limitano a vincere, trionfano.
Nickname

L’illusione del controllo

Cara Riccarda, caro Nickname,
il controllo…una rovina, sembra che non ne possiamo fare a meno. La sicurezza che pensiamo di avere nel volerlo raggiungere e ottenere è parimenti snervante alla certezza inconscia di non raggiungerlo mai. Ora non lo cerco più.
Nicola B.

Caro Nicola,
la sicurezza del controllo è tanta quanta l’insicurezza che ci muove nel cercarlo. Non so che meccanismo scatti quando si tenta di non fare scappare nulla al nostro occhio attento, forse succede perché diamo troppa importanza all’oggetto del nostro controllo. Attiviamo forme di vigilanza appesantendo il legame, viviamo male e guastiamo quel che c’è. Tanto le cose vengono sempre fuori, c’è sempre qualcosa di fuori controllo, di non coincidente, non preconizzato. Evitare il controllo credo sia il modo per renderci più morbidi e plastici nel ricevere ciò che arriva, senza farci troppo male se non ci piace.
Riccarda

Caro Nicola,
prendo per buona la tua perentoria affermazione finale, anche se il tono che la precede mi fa pensare che tu abbia qualche difficoltà a tenerle fede. Con simpatia.
Nickname

Potete scrivere a parliamone.rddv@gmail.com

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Riccarda Dalbuoni

È addetto stampa del Comune di Occhiobello, laureata in Lettere classiche e in scienze della comunicazione all’Università di Ferrara, mamma di Elena.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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